Architetti d’Italia. Camillo Botticini, l’internazionale

Emerso sulla scena architettonica italiana degli Anni Novanta, Camillo Botticini ha guardato alla Spagna come modello di riferimento. Luigi Prestinenza Puglisi ne racconta tutta la storia.

C’è stato un periodo, verso la fine degli Anni Novanta, nel quale in Italia si respirava un’aria nuova per l’architettura. Diverse le ragioni. La prima era il clima internazionale che la caratterizzava. In quegli anni venivano alla ribalta personaggi quali Rem Koolhaas, Zaha Hadid, Frank O. Gehry, Daniel Libeskind, producendo capolavori che mostravano come l’architettura potesse rinnovarsi, modificando la banalità dello spazio postmoderno al quale negli anni precedenti ci eravamo assuefatti.
La seconda era l’economia che tirava. La globalizzazione, trainata dalla rivoluzione digitale, generava risultati positivi ed euforia finanziaria con l’apertura dei mercati internazionali e la rottura delle frontiere. La caduta dei muri, tra i quali quello di Berlino il 9 novembre del 1989, sembrava produrre i suoi effetti.
La terza erano le conseguenze positive del dopo Tangentopoli. Nel periodo successivo al 1992 un’intera classe politica, specializzata in malaffare, era stata sgominata per via giudiziaria e, successivamente, attraverso le urne. Nei comuni e nelle realtà locali, la vecchia classe dirigente era stata sostituita dalla nuova, che adesso sembrava avere a cuore le sorti della comunità. Da qui opere pubbliche assegnate con procedure aperte ai giovani, quali i concorsi, che puntavano alla qualità della realizzazione più che ai ricavi illeciti. Città come Milano e Roma, e diverse realtà più piccole, soprattutto del nord, agognavano di diventare capitali o almeno centri dell’architettura contemporanea.
In questo clima, sbocciano nuovi talenti. Alcuni più maturi quali Stefano Boeri (1956), Cino Zucchi (1955), Pietro Carlo Pellegrini (1957), Francesco Garofalo (1956-2016) nati nella metà degli Anni Cinquanta. E altri di una decina di anni più giovani, e non ancora quarantenni, quali Mario Cucinella (1960), Guendalina Salimei (1962), Marco Casamonti (1965), Andrea Stipa (1964), Giovanni Vaccarini (1966), Gianluca Peluffo (1966), Alfonso Femia (1966), Stefano Pujatti (1968).
Nato nel 1965, Camillo Botticini si laurea al Politecnico di Milano nel 1990. Inizia quindi l’attività professionale proprio a ridosso del 1992, l’anno in cui il pubblico ministero Antonio di Pietro chiede l’ordine di cattura per Mario Chiesa, membro di primo piano del PSI milanese, colto in flagranza di reato mentre intasca una tangente. Arresto, questo, che scatena una reazione a catena di proporzioni inaspettate.

Camillo Botticini, Alps Villa, Lumezzane 2014. Photo Nicolò Galeazzi

Camillo Botticini, Alps Villa, Lumezzane 2014. Photo Nicolò Galeazzi

LA FORMAZIONE

Outsider rispetto al mondo dell’architettura, negli stessi anni Botticini batte a tappeto la provincia. Convincendo le nuove amministrazioni comunali dei vantaggi, anche in immagine, di una buona progettazione del territorio. Gli incarichi che ottiene sono per la maggior parte espansioni cimiteriali come quelle di San Gallo e Bagnolo Mella. Nonostante il tema non facile, mostra di essere all’altezza e le realizzazioni servono a generare un passaparola, che nel tempo, consente l’ottenimento di incarichi più delicati, e i pareri favorevoli della critica, tanto da farlo entrare di diritto nelle numerose pubblicazioni che, in quegli anni, pubblicizzano la nascente nuova architettura italiana.
Botticini ha una formazione universitaria rigorosa, che ha come punti di riferimento il razionalismo architettonico e una certa visione, direi milanese, dell’opera di Le Corbusier. Lui stesso, però, sente che questa camicia di forza disciplinare può essergli nociva. Da qui la ricerca di vie di fuga. Una avviene in direzione minimalista, e culminerà con la mensa scolastica a Villafranca, che lo ha portato a integrare le proprie essenziali composizioni con sistemi costruttivi tecnologicamente raffinati, che guardano a Ludwig Mies van der Rohe ma anche a Toyo Ito e alla sua scuola.
Ma a stimolarlo costantemente è la architettura spagnola. A intrigarlo, già dai primi Anni Duemila, sono due progettisti appena più anziani di lui, nati entrambi nel 1959, che si muovono nella penisola Iberica prima sotto l’ombra protettiva di Rafael Moneo e, poi, con sempre maggiore ricchezza di opere, in autonomia: Luis Mansilla ed Emilio Tuñón. Sui due Botticini scrive un libro del 2003 in una collana dedicata ai nuovi talenti che io, allora giovane critico, dirigevo per la Testo & Immagine di Torino.

UNO SGUARDO ALLA SPAGNA

L’interesse per l’architettura spagnola, rigorosa ma disincantata e quindi aperta a ogni eccezione, ben eseguita sino al più minuto dettaglio architettonico ma ciononostante cautamente sperimentale, che si inserisce nel contesto urbano e ambientale senza eccessivi mimetismi, segnerà la sua produzione successiva. E contribuirà ad attivare fruttuose partnership, quali per esempio quella attuale con lo spagnolo Francisco Mangado, la cui opera si caratterizza anch’essa per il deciso e insieme prudente spirito innovativo.
Botticini, del resto, capisce che lavorare da solo è scarsamente producente. Da qui la ricerca di forme partecipative che lo vedono affiancarsi a colleghi con i quali condividere il processo progettuale. Ultimo nato ‒ risale al 2016 ‒ è lo studio ARW in cui si è associato con Matteo Facchinelli. Nel recente libro, edito nel 2019 da LIStLab, che racconta la produzione dello studio, i due partner dimenticano, forse, di sottolineare proprio quella che a, mio avviso, è la forza delle opere illustrate. Si tratta infatti di realizzazioni di un elevatissimo livello professionale, nelle quali il riferimento alla architettura spagnola non deriva dall’esterofilia ma perché è stato sul terreno iberico che si sono sviluppate le premesse del professionismo italiano degli Anni Cinquanta e Sessanta, che è poi la tradizione vera alla quale Botticini e ARW si rifanno. Dove la teoria e le assolutizzazioni linguistiche ‒ quelle, per capirci, che invece hanno fatto la fortuna di personaggi così diversi quali Rem Koolhaas, SANAA, Gehry, Morphosis, MVRD ‒ non hanno posto perché il fine da perseguire è tutt’altro: è il sapersi rapportare in modo anche eclettico con le migliori linee della ricerca contemporanea, ma senza affanni e senza palingenesi, con il gusto del sarto e non dell’esploratore.
Questo atteggiamento, in cui l’opera prevale sulla teoria, premia poco nel mondo della critica, che si affanna a stare dietro alle idee più spericolate, alcune delle quali certamente interessanti. E ciò ha portato alla svalutazione di quel professionismo colto e raffinato di cui Botticini è probabilmente uno dei migliori esponenti a livello non solo nazionale.
Detto per inciso: nell’intervista posta all’interno del libro, si chiede a Botticini e Facchinelli chi sia l’architetto che più li abbia influenzati. La risposta lascia senza parole: Herzog & de Meuron. E cioè proprio il duo più cerebrale, insieme a Diller Scofidio +Renfro, del panorama internazionale. Si potrebbe dire: gli anti Botticini.

Camillo Botticini, Cimitero a Induno Olona, 2018. Photo Alessandro Galperti

Camillo Botticini, Cimitero a Induno Olona, 2018. Photo Alessandro Galperti

L’INTERESSE PER L’AMBIENTE

Da qualche tempo il percorso professionale di Botticini e partner vede una sempre maggiore apertura all’ambiente, sia pure nella accezione internazionale promossa dai giovani progettisti danesi, svedesi o finlandesi.
Come nella villa unifamiliare realizzata recentemente sulle Alpi. La casa si dispone in una radura tra gli alberi a 700 metri di quota, in prossimità del “Passo del Cavallo”, vicino a una strada che connette Valtrompia e Valsabbia su un terreno in forte pendenza. È una costruzione in cui convivono principi diversi quali la trasparenza e l’opacità, l’apertura e la chiusura, la domesticità e insieme il distacco, un aspetto a-temporale e nello stesso tempo contemporaneo e, infine, armonia e tensione. La sensazione è di uno spazio integrato e fluido, generoso verso l’esterno e simultaneamente protetto.
Una casa, dotata di rivestimenti con pareti ventilate, sostenibile nell’equilibrio con il paesaggio e nei materiali da costruzione. Da perfetto professionista, Botticini ha capito che nei prossimi anni l’architettura dovrà, se non vuole sparire, confrontarsi con l’ecologia, e quindi, in un modo o nell’altro, con la tradizione organica.

Luigi Prestinenza Puglisi

Architetti d’Italia #1 – Renzo Piano
Architetti d’Italia #2 – Massimiliano Fuksas
Architetti d’Italia #3 – Stefano Boeri
Architetti d’Italia #4 – Marco Casamonti
Architetti d’Italia #5 – Cino Zucchi
Architetti d’Italia#6 – Maria Giuseppina Grasso Cannizzo
Architetti d’Italia#7 – Adolfo Natalini
Architetti d’Italia#8 – Benedetta Tagliabue
Architetti d’Italia#9 – Michele De Lucchi
Architetti d’Italia#10 – Vittorio Gregotti
Architetti d’Italia#11 – Paolo Portoghesi
Architetti d’Italia#12 – Mario Cucinella
Architetti d’Italia #13 ‒ Mario Bellini
Architetti d’Italia #14 ‒ Franco Purini
Architetti d’Italia #15 ‒ Italo Rota
Architetti d’Italia #16 ‒ Franco Zagari
Architetti d’Italia #17 ‒ Guendalina Salimei
Architetti d’Italia #18 ‒ Guido Canali
Architetti d’Italia #19 ‒ Teresa Sapey
Architetti d’Italia #20 ‒ Gianluca Peluffo
Architetti d’Italia #21 ‒ Alessandro Mendini
Architetti d’Italia #22 ‒ Carlo Ratti
Architetti d’Italia #23 ‒ Umberto Riva
Architetti d’Italia #24 ‒ Massimo Pica Ciamarra
Architetti d’Italia #25 ‒ Francesco Venezia
Architetti d’Italia #26 ‒ Dante Benini
Architetti d’Italia #27 ‒ Sergio Bianchi
Architetti d’Italia #28 ‒ Bruno Zevi
Architetti d’Italia #29 ‒ Stefano Pujatti
Architetti d’Italia #30 ‒ Aldo Rossi
Architetti d’Italia #31 ‒ Renato Nicolini
Architetti d’Italia #32 ‒ Luigi Pellegrin
Architetti d’Italia #33 ‒ Studio Nemesi
Architetti d’Italia #34 ‒ Francesco Dal Co
Architetti d’Italia #35 ‒ Marcello Guido
Architetti d’Italia #36 ‒ Manfredo Tafuri
Architetti d’Italia #37 ‒ Aldo Loris Rossi
Architetti d’Italia #38 ‒ Giacomo Leone
Architetti d’Italia #39 ‒ Gae Aulenti
Architetti d’Italia #40 ‒ Andrea Bartoli
Architetti d’Italia#41 ‒ Giancarlo De Carlo
Architetti d’Italia #42 ‒ Leonardo Ricci
Architetti d’Italia #43 ‒ Sergio Musmeci
Architetti d’Italia #44 ‒ Carlo Scarpa
Architetti d’Italia #45 ‒ Alessandro Anselmi
Architetti d’Italia #46 ‒ Orazio La Monaca
Architetti d’Italia #47 ‒ Luigi Moretti
Architetti d’Italia #48 ‒ Ignazio Gardella
Architetti d’Italia #49 ‒ Maurizio Carta
Architetti d’Italia #50 ‒ Gio Ponti
Architetti d’Italia #51 ‒ Vittorio Sgarbi
Architetti d’Italia #52 ‒ Fabrizio Carola
Architetti d’Italia #53 ‒ Edoardo Persico
Architetti d’Italia #54 ‒ Alberto Cecchetto
Architetti d’Italia #55 ‒ Fratelli Castiglioni
Architetti d’Italia #56 ‒ Marcello Piacentini
Architetti d’Italia #57 ‒ Massimo Mariani
Architetti d’Italia #58 – Giuseppe Terragni
Architetti d’Italia #59 – Vittorio Giorgini
Architetti d’Italia #60 – Massimo Cacciari
Architetti d’Italia #61 – Carlo Mollino
Architetti d’Italia #62 – Maurizio Sacripanti
Architetti d’Italia #63 – Ettore Sottsass
Architetti d’Italia #64 – Franco Albini
Architetti d’Italia #65 – Armando Brasini

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Luigi Prestinenza Puglisi

Luigi Prestinenza Puglisi

Luigi Prestinenza Puglisi (Catania 1956). Critico di architettura. Collabora abitualmente con Edilizia e territorio, The Plan, A10. E’ il direttore scientifico della rivista Compasses (www.compasses.ae) e della rivista on line presS/Tletter. E’ presidente dell’ Associazione Italiana di Architettura e Critica…

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