Tadao Ando (si) racconta. A Venezia
In occasione della Japan Week in Venice, l’architetto giapponese che si è occupato dei restauri e dell’adattamento degli spazi espositivi della Pinault Collection è stato protagonista di una conferenza al Teatrino di Palazzo Grassi.
Non ama mettersi alla mercé di un solo interlocutore, ma dimostra di essere un animale da palcoscenico quando, accompagnato dal traduttore, si pone davanti al vasto pubblico che gremisce la sala del Teatrino di Palazzo Grassi a Venezia in occasione della Japan Week in Venice. Alla presenza di Umberto Vattani, presidente della Fondazione Italia Giappone – che tra l’altro sull’Isola di San Servolo gli ha consegnato un premio in collaborazione con la Venice International University per il suo contributo al consolidamento dei rapporti fra i due Paesi ‒ e di Giorgio Starace, Ambasciatore d’Italia in Giappone, Tadao Ando (Osaka, 1941) ha parlato in veste ufficiale ma non per questo con piglio distaccato. Anzi, con toni ironici e spesso spiritosi ha raccontato di sé e della sua escalation di portata internazionale, riconoscendo di essere ormai di casa in Italia, grazie anche ad amicizie speciali: da Oliviero Toscani a Giorgio Armani.
L’EX BOURSE DE COMMERCE A PARIGI
Cosa dunque ha detto di sé, in giapponese, l’architetto incaricato dal magnate François Pinault della realizzazione dei luoghi atti alla presentazione delle sue straordinarie collezioni d’arte contemporanea (oltre 4000 opere), a Venezia e, presto, a Parigi? “Ieri ero a Parigi per i lavori della ex Bourse de Commerce. Ci siamo quasi. L’opening è previsto per il giugno 2020”, Ando tiene a rassicurare. “Là ho ricreato un edificio antico inventando un nuovo mondo”, spiega. “Quando un architetto viene chiamato per un incarico, sulle prime pensa di dover intervenire sul nulla; invece a Parigi, come in Italia, mi sono trovato dinanzi un palazzo storico. Voglio avvicinare il passato all’oggi, per mantenere viva la trasmissione della bellezza”. Se infatti la Bourse de Commerce fu costruita nel XVIII secolo dall’architetto Nicolas Le Camus de Méziéres e adibita nel 1881 a tempio degli scambi commerciali parigini, la Dogana da Mar (oggi Punta della Dogana), che nel 2009 giunse a trasformazione sempre per mano di Tadao Ando, è una struttura risalente al Seicento. “Mi chiesi se qui a Venezia, in quest’area, sarei mai riuscito a realizzare un’architettura adatta allo scopo che Pinault si prefiggeva”, commenta.
DAGLI ESORDI ALL’ASCESA INTERNAZIONALE
Il passato è sempre una grande sfida, e ancora di più per l’architetto di Osaka che dopo il ’63, terminate in Giappone le esperienze giovanili (da ragazzo ha fatto anche il pugile), iniziò a viaggiare per il mondo senza avere precise nozioni storiche e artistiche, come egli stesso sottolinea. “A Roma visitai il Pantheon e ad Atene il Partenone. All’inizio non capivo a cosa significassero tutte quelle colonne, e ciò avvenne per il fatto che non avevo studiato abbastanza. A Firenze fui incantato dalla Biblioteca Laurenziana, dove lo scalone inventa lo spazio e apre altre dimensioni. L’architettura deve costruire un mondo che viva dentro di noi. A Ronchamp, per esempio, ho scoperto l’architettura della luce di Le Corbusier”. Aggiunge poi: “Facevo allora molti schizzi e in seguito, grazie a questi, ho capito molte cose”.
Il suo primo progetto fu, nella seconda metà degli Anni Settanta, una casa a Osaka che, pensata per un amico, in seguito divenne il suo studio, “un piccolo universo”, pieno di libri a tutt’altezza e attraversato da una lunga scala: “Qui i miei amici Kenzo Tange e Richard Meier, quando venivano a trovarmi, avevano difficoltà a muoversi in mezzo a tanti volumi”. Parlando delle opere realizzate a cavallo del millennio, Ando cita il Japan Pavillon all’Expo 1992 di Siviglia – “Ideai una scala che puntasse al cielo, agli uomini piace salire molto in alto” ‒ e le strutture museali Benesse Art Site a Naoshima in Giappone, volute dal collezionista d’arte Soichiro Fukutake.
IL RAPPORTO CON PINAULT
Nel 2014, quando Tadao Ando subì l’ennesima operazione chirurgica, Pinault temette fortemente per la sua vita. Nel 2015 lo chiamò e gli chiese “Sei ancora vivo? Allora ti affido un nuovo lavoro a Parigi”. Le sue parole ritornano dunque a incentrarsi sulla ex Bourse de Commerce, cui Ando paragona oggi Punta della Dogana: “Bisogna realizzare spazi che non abbiano pari al mondo. Devono avere un impatto molto forte. Un architetto che non pone problemi non serve. Ma ristrutturare edifici antichi è faticoso.” A Punta della Dogana ha creato un cubo dentro lo spazio esistente. Per la ex Bourse de Commerce, che presenta un diametro di oltre 60 metri, ha ideato sotto la cupola una struttura cilindrica inscritta nella struttura circolare esistente, e uno spazio sotterraneo. “I francesi non erano d’accordo, ma io non parlando francese e non capendo la lingua, ho potuto fare quello che volevo”, sottolinea divertito.
I PROGETTI RECENTI
Dopo la retrospettiva al Centre Pompidou di Parigi del 2018, altri importanti progetti sono giunti a compimento di recente. È il caso di Wrightwood 659 a Chicago, un edificio degli Anni Venti convertito in centro espositivo, che come Punta della Dogana ricorre a materiali come mattoni, cemento, cristallo e acciaio. Anche qui il vuoto d’ispirazione Zen genera l’effetto di assenza di gravità e un accentuato senso di bellezza. Ma l’architetto non rilascia dichiarazioni in proposito. Offre invece una ricetta per vivere e lavorare al meglio: “Vedere cose belle, avere forza fisica, contare su buoni amici”. E accenna anche a ciò che serve a un pianeta in crisi energetica come il nostro: “Scienza, tecnologia e arte”.
‒ Alessandra Quattordio
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