Balkrishna Doshi, architetto umanista. A Monaco di Baviera
Pinakothek der Moderne, Monaco di Baviera ‒ fino al 29 gennaio 2020. Vincitore del Pritzker Architecture Prize 2018, l’architetto indiano Balkrishna Doshi è protagonista di un’ampia retrospettiva che illustra oltre sei decenni di attività e impegno sociale.
L’architettura in India è una disciplina artistica e sociale necessaria a mettere ordine in un Paese invaso da colori, odori, voci, suoni. Un ordine non soltanto spaziale ma anche spirituale, dove l’architettura diventa portatrice d’armonia nel rapporto con il creato. Dopo il debutto europeo al Vitra Design Museum, la retrospettiva dedicata a Balkrishna Vithaldas Doshi (Pune, 1927), a cura di Khushnu Hoof, è approdata a Monaco di Baviera. Dell’architetto vincitore del Pritzker Architecture Prize 2018 il progetto espositivo racconta l’opera attraverso una selezione di progetti realizzati fra il 1958 e il 2014. Plastici in scala, video, fotografie, documenti, ma anche dipinti, costruiscono una mostra colorata, da scoprire dettaglio dopo dettaglio, così come si scoprirebbe l’India stessa.
IL QUARTIERE COMPATTO
Disciplina strategica nella crescita di un Paese densamente popolato e dalle mille sfumature, l’architettura ha aiutato e sta aiutando a mitigare le problematiche della società indiana. In accordo alla sua essenza, Doshi ha sempre lavorato in un’ottica di spiritualità, (in senso lato) perché spirituale è il popolo indiano. Ahmedabad, Baroda, New Delhi, Srinagar: Doshi ha concepito le città come spugne capaci di assorbire la dimensione locale e globale, in virtù anche del pensiero olistico secondo cui la società è fatta di individui, ma è talmente complessa da non poter essere espressa come la semplice sommatoria dei suoi membri. E questo sono le città indiane, piccoli mondi dove natura, passato, presente, sacro, profano, tecnologia e tradizione convivono fianco a fianco, sulla medesima linea spaziale e temporale. Nella sua idea di quartiere residenziale, anche popolare, non c’è il concetto di periferia, di zona separata, di “ghetto”. I suoi piani urbanistici incoraggiano la socialità, il dibattito e la cooperazione, integrando le tante contraddizioni dell’India in un unico sistema funzionante. In una società dove i veicoli sono in numero inferiore rispetto a carri, rickshaw e pedoni, è necessario sviluppare percorsi stradali paralleli, così come è strategico tenere conto delle distanze da affrontare a piedi, progettando in modo da non costringere i più poveri a camminare per troppi chilometri. La prossimità, il “quartiere compatto”, hanno grande importanza nel lavoro urbanistico di Doshi, che pone sempre al centro le esigenze dell’individuo.
COSTRUIRE LA CIVILTÀ
Cos’è la “casa”? Cosa è pubblico e cosa è privato? Come responsabilizzare la comunità e creare un senso d’identità? Da queste domande prende avvio il lavoro di Doshi, che a partire dagli Anni Sessanta affronta la questione dell’edilizia residenziale (all’epoca una vera e propria emergenza). Ispirandosi ai precetti del Mahatma Gandhi, integrò la tecnologia dei moduli prefabbricati con i metodi dell’artigianato locale, producendo elementi a basso costo, accessibili a tutti e combinabili secondo differenti esigenze e disponibilità economiche; strutture “flessibili” ispirate a quelle dei villaggi antichi, in mattoni coibentati con paglia, argilla e bambù (secondo le tecniche tradizionali), che possono essere facilmente ampliate adattandosi alla crescita delle famiglie.
Permettere a ogni abitante di dar forma al quartiere, all’interno di un piano urbanistico preordinato, fece sì che si riproducesse il concetto di comunità di villaggio e ognuno si sentisse responsabile del decoro pubblico e della sicurezza della zona. Una dimostrazione di come la buona architettura renda gli individui cittadini consapevoli e sia portatrice di buone pratiche civili.
COSTRUIRE NON SUL MA PER IL TERRITORIO
Scuole, ospedali, centri di ricerca, templi, musei, centri culturali, campus universitari: Doshi è stato molto attivo anche nell’edilizia pubblica, nella quale ha armonicamente fuso le tendenze dell’architettura moderna con la necessità di un ancoraggio al territorio e alla sua storia. Si costruisce privilegiando la connessione con la natura, creando ambienti osmotici e utilizzando tecniche locali di isolamento così come per l’aerazione, attraverso canali per il ricircolo dell’aria fredda e calda, assicurando una climatizzazione naturale. Anche gli edifici più imponenti, in cemento e vetro, irradiano la leggerezza dell’armonia. La modernità è un nuovo elemento dell’insieme, non il veicolo per un nuovo insieme. Con questa filosofia Doshi è, ad esempio, intervenuto nel labirintico quartiere della città vecchia di Ahmedabad, realizzando nel 2014 la Bhadra Plaza, dalla quale si accede ai principali monumenti e che, nello stesso tempo, fornisce spazio per i mercati che ogni giorno fioriscono in città ed è luogo di aggregazione culturale e di passaggio per le processioni. L’opera di riqualificazione ha previsto l’abbattimento di edifici abusivi sorti nel tempo, il recupero dello spazio pubblico con la realizzazione dell’area pedonale e l’ampliamento delle aree verdi.
UN PENSIERO CHE HA FATTO SCUOLA
Purtroppo la buona architettura non è riuscita da sola a risolvere i problemi dell’India (anche qui alligna la cattiva politica) ma avendo avuto modo di esprimersi su larga scala è riuscita sicuramente ad arginarli, a ridurne la portata, a migliorare la vita di milioni di cittadini. In Doshi si percepisce l’idea di architettura come disciplina del bene comune, capace di creare interazione fra l’individuo e gli elementi naturali, di rispettare il territorio attraverso edifici a basso impatto energetico, di creare una memoria collettiva abbracciando passato, presente e futuro. Su corde simili si muove lo studio indiano d’architettura Anupama Kundoo (composto da sole donne), che afferma come “aiutando le comunità a realizzare una serie di semplici componenti per l’edilizia, siamo in grado di costruire conoscenza e riportare l’edilizia al servizio delle persone”. Una filosofia assimilabile a quella di Vandana Shiva, che si batte per la tutela dell’ambiente e l’indipendenza economica dei contadini indiani dalle multinazionali. Conservare l’identità è il primo passo per rimanere liberi, ma la si può conservare soltanto attraverso l’indipendenza economica, che permette di rifiutare modelli imposti dall’esterno. E anche l’architettura può contribuire a formare la coscienza degli individui.
‒ Niccolò Lucarelli
Monaco di Baviera // fino al 29 gennaio 2020
Balkrishna Doshi – Architecture for the People
PINAKOTHEK DER MODERNE
Barer Strasse 40
www.pinakothek-der-moderne.de
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