Venezia: the Day After. Il racconto dell’architetto Giovanni Leone sul disastro dell’acqua alta

In principio fu l’acqua granda, nel 1966. Cinquant’anni dopo cosa è cambiato? Molto e nulla. L’opinione dell’architetto Giovanni Leone sulla tragedia che ha colpito la Laguna nel 2019

Venezia è città fragile abitata da uomini tenaci al punto da scivolare nell’ostinazione. Ieri è stata colpita e affondata. È la seconda volta, dopo l’acqua granda del 1966 quando la marea raggiunse quota 194 centimetri sul medio mare. Ieri erano 187 i centimetri, appena 7 di differenza. Abito a Venezia dal 1981 ma vengo dalle pendici dell’Etna. Veneziani e catanesi hanno un tratto comune: la resilienza, che è la capacità di far fronte in maniera positiva a eventi traumatici e di riorganizzare la propria vita dinanzi alle difficoltà, qualità indispensabile di chi vive luoghi di natura potente davanti ai quali l’uomo non può far altro che inchinarsi rispettosamente. La resa non è un’opzione, ci si rimbocca le maniche e si ricomincia. Ingenti i danni alla città, flagellata da una piena che ha preso la forma della mareggiata con onde alte 2-3 metri, sollevate dal vento di scirocco che soffiava a 100 km orari. Quando si sente un turista parlare di mare guardando l’acqua, lo si corregge: “questa è Laguna non mare, tutt’altra cosa”, ma l’altra sera è stato il mare a entrare impetuoso e irriverente fin dentro le case.

Acqua alta a Venezia - novembre 2019

Acqua alta a Venezia – novembre 2019

IL BILANCIO

Il bilancio del giorno dopo è un bollettino di guerra, parapetti in muratura e con colonne in pietra abbattuti ai giardini di Castello o alla Giudecca, un’edicola che scompare nelle acque del canale della Giudecca, ma specialmente sono stati negozi e botteghe ad essere violati. Colti di sorpresa? Fatalità? Evento inaspettato e imprevedibile? Lo era nel 1966, non cinquant’anni dopo. Cos’ha provocato questa acqua alta eccezionale? 4 fattori: la luna grande e alta nel cielo, la velocità dell’acqua (dovuta alla profondità di bocche di porto e canali), la direzione (scirocco) e la velocità del vento (100 kmh). Gli ultimi due fattori sono riconducibili al quadro generale dei cambiamenti climatici che hanno trasformato i temporali in fortunali, riconducibili all’uomo e al suo modello di sviluppo basato sullo sfruttamento dissennato delle risorse naturali. Anche alla velocità dell’acqua ha contribuito l’uomo. Ma, si sa, la responsabilità è sempre degli altri, sarà allora la lunaticità: la vera causa di quest’acqua alta eccezionale.
L’altezza massima della marea, annunciata alle 18.30 con sirene e sms, era di 140-145 cm per le 23. Approfitto per far uscire Ulisse (il mio cirneco dell’Etna), l’acqua comincia a uscire dalle caditoie in calle, un po’ presto ma non ci ho fatto caso. Dopo qualche minuto, mi sono guardato indietro e la calle si era fatta acqua e a questo ho fatto caso. Il modo in cui l’acqua cresceva era il solito, veniva su placida e inesorabile. Inusuale era invece la velocità e l’anticipo sui consueti tempi di marcia. Alle 20.30 le previsioni vengono rettificate: 155-160 cm., con picco sempre alle 23. Ho chiamato mio figlio, abbiamo indossato gli stivali fino all’inguine e siamo usciti nel vicinato per aiutare chi avesse bisogno di aiuto per sollevare mobili, elettrodomestici o altro. Alle 21.45 la previsione si alza a 170 cm e qui è allarme anche se più di tanto non si può fare, alzare qualche altra cosa se c’è spazio. Si era tutti pronti a difendere la linea Maginot dei 160, corrispondente alla quota delle paratie che proteggono case e negozi, ma con 170 la sconfitta era inevitabile. Alle 22.50, dieci minuti prima della massima prevista, viene comunicato che la marea potrebbe raggiungere 190 cm alle 23.30 ma che fosse alluvione era già chiaro, da ore il vento aveva preso a ruotare e a rafforzarsi soffiando furiosamente, dal borin del mattino si era fatto scirocco e gonfiava onde mai viste.

Acqua alta a Venezia - novembre 2019

Acqua alta a Venezia – novembre 2019

LA CRONACA DI UN DISASTRO

Nelle calli l’acqua non sale più dal basso ma scorre impetuosa trasformandole in fiumi in piena. Troppo tardi. L’acqua scavalca le paratie, poi comincia a entrare dalle finestre, non solo dai muri. Non resta altro da fare che stare a guardare una marea che non si alza ma si abbatte a ondate. Siamo andati a vedere cosa succedeva alle zattere, proprio in faccia allo scirocco. Un disastro. In Rio Terà Foscarini gli oleandri sono piegati dall’azione combinata di marea e vento. In campo Sant’Agnese metà di un platano maestoso è rovinata in terra, o meglio in acqua. Girato l’angolo sulle Zattere ai Gesuati, manca all’appello l’edicola, travolta dalle onde e affondata nel canale della Giudecca. Le barche si agitano nervosamente come cavalli legati in presenza di un incendio. Alcune sono alla deriva perché si sono svincolate dai pali a cui sono ormeggiate, troppo bassi per la marea. Camminiamo raso muro mentre le onde ci schiaffeggiano. Tavolini, panchine, bitte in pietra d’Istria, tutte sommerse. Le passerelle per accedere all’imbarcadero di San Basilio sono verticali, mentre quelle per l’acqua alta galleggiano indisturbate dai pesi di cui erano state caricate per evitarlo. Gli stivali alti? Inutili e pieni d’acqua. L’acqua arrivava ormai oltre l’ombelico. Imboccare la calle del vento è stata un’esperienza mistica, è una calle orientata verso lo scirocco in cui dimora il vento. Raggiunto il ponte di San Sebastiano abbiamo visto le onde sbattere sul parapetto in pietra e demolirne una parte. Il ritorno a casa è al buio, senza illuminazione urbana, ma per fortuna sono in molti ad avere gli scuri aperti e c’è un po’ di luce. L’acqua è ad altezza ombelico, non si pensa al freddo, non ci si fa caso, c’è altro a cui pensare le priorità sono altre, contenere i danni, vedere se c’è bisogno d’aiuto. Avevo trasformato un magazzino a piano terra in “cantina”, un caveau per vini selezionati in un arco di tempo di 35 anni, con una vasca in cemento armato rivelatasi insufficiente a proteggerli da un’acqua alta così, la cognizione che sarebbe stata così alta è arrivata troppo tardi, non resta che stare a guardare l’acqua che entra dalle finestre, sgorga dalle prese, filtra dai muri.

Acqua alta a Venezia - novembre 2019

Acqua alta a Venezia – novembre 2019

DAL 1966 AD OGGI COSA È CAMBIATO?

Rispetto all’alluvione del 1966, molto è cambiato e nulla è cambiato. Ci sono meno abitazioni ai piani terra, occupati da attività commerciali. Meno le case violate rispetto al 1966, ma tutti i possessori di botteghe, depositi, magazzini ecc. hanno pagato il loro tributo. La mattina del 14 novembre non c’è un solo negozio aperto, difficile anche bere un caffè. I turisti si aggirano smarriti cercando qualcosa da mangiare. Un clima da day after.
Ci sono anche meno abitanti, molti meno. Dai 121.309 del 1966 siamo ormai a 53.000 abitanti, una manciata d’irriducibili amanti della città d’acqua, la cui qualità più preziosa non è il patrimonio storico-artistico (ridotto a merce in vendita come l’intera città) ma la dimensione civica e relazionale e sociale di una città che è laguna, un ambiente unico, opera d’uomo e natura. Molte, troppe, sono invece le case sottratte all’abitazione per essere destinate a locazioni turistiche e i palazzi trasformati in hotel adeguando l’offerta alla domanda, mentre occorreva fare esattamente il contrario, contenere l’offerta e di conseguenza anche la domanda, per arginare la marea turistica. E non si dica che è la mortalità a determinare il calo demografico, perché il saldo migratorio è pari a circa il 30%, ciò che pesa è che chi va via sono i giovani, per prendere casa e fare una famiglia sono costretti a ad andare in terraferma e insieme a loro via vanno anche i futuri potenziali nascituri cittadini.
Rari gli esercizi commerciali per residenti come panifici o macellerie. Sempre meno anche le botteghe artigiane, orgoglio di Venezia, che lasciano il posto a bar con plateatico, ristoranti, kebabbari, negozi di souvenir e maschere made in China. Prima abbiamo puntato tutto sull’industria, oggi sul turismo, domani? Venezia potrebbe essere un laboratorio della contemporaneità e delle sue criticità, città antica in cui si evidenziano i problemi del presente.

Acqua alta a Venezia - novembre 2019

Acqua alta a Venezia – novembre 2019

LE COLPE DELLA CLASSE DIRIGENTE E LA VICENDA DEL MOSE

Uguale è l’inadeguatezza della classe dirigente a tutelare Venezia e la sua laguna. Subito dopo l’acqua granda ci s’impegnò ad agire sui due fronti della salvaguardia della città e della tutela della Laguna, grazie alla legge speciale per Venezia, uno strumento utile e importante che richiede un aggiornamento. A oggi, la Basilica di S. Marco non è ancora protetta e non si è data completa applicazione alla salvaguardia della Laguna, perno della tutela della città d’acqua, gli interventi di difesa e tutela non sono mai stati completati. Poi c’è il MoSE, un treno lanciato in una corsa impossibile da fermare perché si verrebbe accusati di avere compromesso un investimento la cui efficacia è impossibile da accertare prima del completamento dei lavori. Piacerebbe a tutti che funzionasse, nel rispetto della tutela ambientale della laguna, ma a sedici anni dall’avvio dei lavori gli unici risultati raggiunti sono stati di sottrarre risorse destinate dalla legge speciale alla manutenzione edilizia e urbana e di foraggiare una corruzione di dimensione mai vista, se è vero com’è vero che è stato distratto 1.000.000.000 di euro. Le tangenti sono servite a creare consenso intorno a un’opera non sperimentata che richiedeva aumento dei costi oltre misura, realizzata dal Consorzio Venezia Nuova, concessionario in condizione di monopolio. Appare quindi legittimo dubitare della sua efficacia.
Stupisce sentire il Presidente del Veneto Zaia (che era il vice di Galan, punto di riferimento del Consorzio Venezia Nuova) parlare di 5 miliardi che aspettano sott’acqua e il sindaco Brugnaro sollecitare altri finanziamenti quasi che il mancato completamento del MoSE potesse essere addebitabile a scarsità di fondi – erogati generosamente per un’opera dall’esito incerto con costi più che raddoppiati – piuttosto che a ritardi, inconvenienti di percorso e incertezze tecniche propri del processo di produzione dell’opera.

OPPORTUNO IL PORTO DELLE GRANDI NAVI A MARGHERA?

Inopportuno appare il riferimento fatto dal Sindaco ieri in conferenza stampa all’ipotesi di un porto per le grandi navi a Marghera e allo scavo del canale Vittorio Emanuele che nulla hanno a che fare con l’acqua alta. Peraltro, le modifiche alla morfologia lagunare sono unanimemente considerate dal mondo scientifico una delle principali cause di sofferenza dell’ecosistema lagunare. Le acque alte si sono moltiplicate e i cambiamenti climatici contribuiscono in misura rilevante, molto hanno però pesato gli interventi umani: aver ristretto le bocche di porto e aumentato la profondità ha provocato un’accelerazione dei flussi e lo spostamento dei sedimenti. I canali profondi sono come autostrade in cui l’acqua corre veloce, analogamente a quanto avviene nei fiumi con argini cementati dove l’assenza di vegetazione accelera la velocità dell’acqua. L’acqua che entra in laguna anziché distribuirsi lentamente sulla intera superficie lagunare, imbocca la via più comoda e velocemente la penetra in profondità. Improponibile è poi il rimando agli interventi di deviazione di fiumi, di escavo di canali, della formazione di barene e sacche, realizzati al tempo della repubblica serenissima, non c’è rapporto tra le navi di allora e le navi di oggi, né tra quelle opere e trasformazioni moderne come lo scavo del canale dei petroli, indiscutibilmente fuori scala.

VENEZIA, UNA CITTÀ SPECIALE

Il giorno dopo l’Apocalisse non è giorno di polemiche. Si lavora tutti in silenzio e a capo chino, feriti al cuore ma pronti a ripartire. Questa mattina è la seconda dopo il disastro e la vita ricomincia come su può, apparecchiature e impianti sono fuori uso, da buttare e ci vorrà tempo per tornare a regime. Occorre finalmente riconoscere a Venezia una propria specialità oltre che estetica anche amministrativa. Di speciale, Venezia, dovrebbe avere uno statuto, maggiori margini di autonomia, più risorse da ottenere magari lasciando un paio di punti dell’IVA sul territorio, ma serve soprattutto una classe politica in grado di gestire il presente con una visione di largo respiro, che riconosca alla dimensione sociale la centralità che le spetta.

-Giovanni Leone

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Giovanni Leone

Giovanni Leone

Giovanni Leone (Catania, 1961) è architetto minore di architetture maggiorate. Progettista e Direttore di Lavori, si occupa di sistemazione d’interni, nuova edificazione, restauro, ristrutturazione, architettura bioclimatica, urbanistica, sicurezza del lavoro e antincendio. Strumento dell’attività professionale è la società di servizi…

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