Architetti d’Italia. Adriano Olivetti, il committente
Non fu un architetto, ma un ingegnere chimico. Eppure Adriano Olivetti seppe circondarsi dei grandi talenti della progettazione. Affidando loro opere passate alla storia.
Adriano Olivetti era un ingegnere chimico. Non credo abbia mai preso una matita in mano se non per schizzare qualche scarabocchio. Eppure ci sono pochi personaggi che quanto lui hanno influito così decisamente sulla architettura italiana. Per le numerose costruzioni, per i piani urbanistici e per le opere di design di cui fu committente e ispiratore. Ma soprattutto per un metodo: il metodo Olivetti. Se lo ricordiamo oggi, in questo momento di stucchevole estetismo che ci circonda, è proprio perché Adriano Olivetti ha una lezione da darci. Tutta la sua attività ci racconta quanto sia sciocco ricercare la bellezza come fine a sé stessa. Il problema da risolvere è più ambizioso e impegnativo: è la vita migliore, la ricerca della felicità. Ce la garantiscono i processi ben organizzati e ‒ certamente ‒ ben progettati. Non ha infatti senso produrre solo prodotti perfetti ‒ siano questi una macchina da scrivere o, oggi, un telefonino di ultima generazione ‒ se il prezzo è il sacrificio della qualità della vita della comunità. Perché non ci può essere avanzamento estetico se si trascurano i bisogni concreti e spirituali anche solo di una di queste componenti: coloro che lavorano nella fabbrica, coloro che commercializzano il prodotto e coloro che lo acquistano. Il metodo Olivetti, insomma, ci dice che la bellezza che dà senso all’esistenza è un muoversi incontro all’utopia di un benessere da cui tutti ‒ e non solo i privilegiati ‒ attingono. Un bel prodotto fa parte di un sistema e da solo non può supplire ai mali occorsi per realizzarlo: anche l’egoismo si nutre di estetica, ma il piacere generato a prescindere dal costo sociale produce nevrosi, il delirio di un consumismo estetizzante che apparentemente ci soddisfa ma che poi paghiamo a caro prezzo.
Nel profilo dedicato a Luigi Cosenza abbiamo accennato alla costruzione della fabbrica Olivetti di Pozzuoli. A chi nel 1953 gli faceva notare che era folle costruire nel Meridione una fabbrica tanto ariosa e tanto ben disegnata, in una posizione panoramica, Olivetti rispondeva scherzando che in caso le cose fossero andate male, la avrebbero potuta vendere o affittare passandola per un hotel di lusso per persone anziane. In realtà l’imprenditore sapeva che gli operai avrebbero fatto a gara per venire da lui e, attratti da benefici che la ditta erogava in termini di stipendio e di servizi, avrebbero lavorato con maggior impegno con ovvi benefici produttivi.
I PROGETTISTI DI OLIVETTI
Il ciclo della bellezza di Olivetti nasce nello spazio del lavoro con la progettazione delle più belle fabbriche italiane. Si sviluppa nel territorio attraverso la costruzione di abitazioni e servizi, tra i quali magnifici asili nido, per gli operai e le loro famiglie. Punta a prodotti dei quali andare orgogliosi: da qui il coinvolgimento dei migliori designer per realizzare oggetti praticamente perfetti. Si attua attraverso una commercializzazione capillare con negozi all’altezza del prodotto i quali non vendono macchine da scrivere e calcolatrici pensate come oggetti di rapido consumo, ma ideate come opere d’arte. Il metodo Olivetti si diffonde, inoltre, attraverso la cultura, coinvolgendo i migliori intellettuali dell’epoca. Solo Adriano Olivetti può vantare, alla resa dei conti, officine e strutture edilizie progettate da Figini e Pollini, Gabetti e Isola, Eduardo Vittoria, Ignazio Gardella, Luigi Cosenza, Marco Zanuso e ce ne sarebbe stata, se non fosse scomparso nel 1960, una disegnata da Le Corbusier. Prodotti disegnati da Marcello Nizzoli, Mario Bellini, Ettore Sottsass. Negozi allestiti da Carlo Scarpa, BBPR, Franco Albini e Franca Helg, Ignazio Gardella, Gian Antonio Bernasconi. Olivetti punta sui migliori talenti, diversi dei quali sono ancora poco conosciuti nel momento in cui lui li contatta. Li sceglie personalmente, si reca in studio da loro. Esattamente come sceglie di persona i suoi dirigenti. Molti dei quali non sono ingegneri, tecnici dei numeri, ma letterati, conoscitori dell’anima. Tra i suoi principali collaboratori vi sono uno scrittore, Geno Pampaloni, e un sociologo, Franco Ferrarotti.
Il suo è un progetto che esprime una religiosità laica. D’altra parte, come è stato notato, Olivetti ha la fortuna di coniugare nella sua personalità gli aspetti migliori della intelligenza ebraica, ereditata dal padre, e dell’altruismo valdese, ereditato dalla madre. A queste componenti occorre aggiungere l’apertura cattolica che acquista, nel 1949 a quarantotto anni, convertendosi “per la convinzione della sua superiore teologia”.
Pur non essendo un eroe, partecipa alla fronda antifascista, collabora alla avventurosa fuga dalla prigione fascista di Filippo Turati, è vicino al movimento Giustizia e Libertà. Ma la sua idea fissa è il Movimento di Comunità, l’idea che la fabbrica debba essere profondamente radicata nel territorio e che il territorio possa armonicamente superare la divisione tra agricoltura e industria, tra produzione e cultura, Una visione che cerca di conciliare gli ideali socialisti e la concretezza liberale. Una aspirazione per molti versi utopica che non portò a grandi risultati politici: nel 1958 fu l’unico eletto della lista Comunità alle elezioni politiche nazionali.
DUE ESEMPI
Dell’attività di “architetto” ‒ perché Olivetti era più di un semplice committente di architettura: era un ideatore di spazi per la nuova società ‒ credo che occorra ricordare due esperienze: la trasformazione di Ivrea in una città fabbrica che non ha sacrificato la sua anima e il progetto degli spazi di vendita che, come abbiamo già accennato, raccontavano di un modo nuovo di concepire il prodotto industriale.
Per quanto riguarda il primo aspetto, ricordiamo che la Città Industriale Olivetti è diventata patrimonio Unesco, un villaggio a misura d’uomo che ci fa intuire quanto sarebbe potuto essere diverso il panorama industriale se solo si fosse seguita una strada alternativa a quella del massimo profitto e del massimo sfruttamento. In realtà la figura di Olivetti, per quanto isolata, non era unica. Abbiamo, in un profilo precedente dedicato a Edoardo Gellner, ricordato anche Enrico Mattei, che operò nello stesso arco temporale: 1906-1962 l’uno, 1901-1960 l’altro. Viene da chiedersi cosa sarebbe successo se la morte prematura non ce li avesse strappati entrambi.
Il secondo aspetto è l’idea, estremamente avanzata per allora, di pensare i prodotti Olivetti come oggetti d’arte. Che meritano quindi spazi espositivi pensati come gallerie. Con grandi vetrine, con espositori che valorizzano il singolo oggetto, affiancati da opere d’arte quali quadri, bassorilievi e sculture. Tutti conosciamo le più importanti realizzazioni. Tre spiccano. La prima è il negozio progettato da Carlo Scarpa a Venezia. Qualcuno lo ha voluto vedere come un’opera olivettiana sino a un certo punto. Scarpa è troppo artigiano per incarnare al meglio lo spirito di Ivrea. Eppure forse è proprio questa dimensione artigiana che mette in risalto la straordinaria perizia costruttiva dei prodotti che uscivano dalle fabbriche Olivetti. Penso per esempio alla bellissima Lettera 22 che, pur essendo realizzata in serie, sembrava concepita come un pezzo unico, tanto da essere giudicata come il miglior pezzo di design del secolo.
La seconda realizzazione è il negozio a New York progettato da BBPR. Una realizzazione più aderente ai principi del Movimento Moderno che ricorda vagamente i magici allestimenti pensati da Edoardo Persico per la Parker. Caratterizzato da una vetrina rientrante che lascia spazio in esterno a un espositore con macchina da scrivere che ciascun passante può utilizzare per provare il prodotto o lasciare un pensiero. Anticipazione di un modo innovativo e interattivo di pensare alla pubblicità e vendita di un prodotto. Il terzo allestimento è di Albini e Helg a Parigi. È punteggiato da esili montanti in legno che ricordano la libreria Veliero e sostengono mensole triangolari che sembrano flottare in aria sulle quali sono appoggiati i prodotti in esposizione, come oggetti preziosi. Sostengono un sistema di lampade che li illuminano amplificandone l’aura. Guardando le fotografie di questi allestimenti la nostalgia ci assale. Di committenti così sembra essersi perso lo stampo.
‒ Luigi Prestinenza Puglisi
LA FONDAZIONE ADRIANO OLIVETTI
La concreta utopia olivettiana ha lasciato all’Italia e non solo un’idea di città moderna realizzata, dove pubblico e privato hanno hanno dato vita a quella “Città dell’uomo” teorizzata a promossa dall’azione di Adriano Olivetti. La tutela e la valorizzazione di quell’immenso patrimonio è dal 2018 al centro dell’iscrizione di “Ivrea città industriale del XX secolo” nella Lista del Patrimonio Mondiale UNESCO, un progetto ideato dalla Fondazione Adriano Olivetti e realizzato, a partire dal 2008, dalla stessa Fondazione, dal Comune di Ivrea e dal MIBAC, insieme con altri partner istituzionali, pubblici e privati. Un riconoscimento simbolico a un patrimonio architettonico moderno straordinario che rappresenta la sintesi di una visione imprenditoriale, sociale, politica e culturale, quella olivettiana, di valore universale. In questo particolare ambito delle sue attività, nel decennio 2008/2018 ovvero a partire dalle celebrazioni per il centenario della fabbrica di macchine per scrivere fondata da Camillo Olivetti, il lavoro della Fondazione Adriano Olivetti è stato dedicato alla promozione di progetti formativi in ambito architettonico e urbanistico. Tra questi, ricordiamo Factory Futures_AA Visiting School Ivrea realizzata in collaborazione con l’Architectural Association di Londra, ISSI – International Summer School in collaborazione con il Politecnico di Milano, la Città di Ivrea e il Consorzio degli Insediamenti Produttivi del Canavese, e l’Alta Scuola Politecnica.
La partnership pluriennale tra la Fondazione Adriano Olivetti e la Fondazione MAXXI, siglata nel 2016, segue il medesimo indirizzo ovvero la conoscenza e la promozione dell’azione architettonica olivettiana come momento essenziale nella cultura architettonica italiana del Novecento. Dopo il successo dei primi due cicli di Lezioni Olivettiane dedicati alle città e agli architetti di Olivetti, è in corso un nuovo ciclo di tre appuntamenti dedicati ai designer che hanno lavorato con e per Olivetti: dalla grafica, ai prodotti, all’allestimento d’interni, le lezioni raccontano i temi e i protagonisti che hanno reso celebre la fabbrica di Ivrea in tutto il mondo. L’ultimo incontro è in programma il prossimo 11 febbraio al MAXXI con la Lezione di Domitilla Dardi sull’industrial design. La partnership tra le due Fondazioni darà vita, dalla primavera del 2020, a una mostra internazionale realizzata con il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale (MAECI) che viaggerà attraverso la rete diplomatico-consolare e degli Istituti Italiani di Cultura nel mondo. Il riconoscimento UNESCO del 2018, la collaborazione con una grande istituzione pubblica di profilo globale come il MAXXI e la mostra internazionale testimoniano l’impegno della Fondazione Adriano Olivetti per restituire, in Italia e all’estero, il profilo universale dell’esperienza e dei valori olivettiani: il rispetto della dignità della persona, i valori della cultura e della bellezza, il profitto come strumento concreto per la costruzione di un mondo “tecnicamente più progredito e spiritualmente più elevato”.
LE PUNTATE PRECEDENTI
Architetti d’Italia #1 – Renzo Piano
Architetti d’Italia #2 – Massimiliano Fuksas
Architetti d’Italia #3 – Stefano Boeri
Architetti d’Italia #4 – Marco Casamonti
Architetti d’Italia #5 – Cino Zucchi
Architetti d’Italia#6 – Maria Giuseppina Grasso Cannizzo
Architetti d’Italia#7 – Adolfo Natalini
Architetti d’Italia#8 – Benedetta Tagliabue
Architetti d’Italia#9 – Michele De Lucchi
Architetti d’Italia#10 – Vittorio Gregotti
Architetti d’Italia#11 – Paolo Portoghesi
Architetti d’Italia#12 – Mario Cucinella
Architetti d’Italia #13 ‒ Mario Bellini
Architetti d’Italia #14 ‒ Franco Purini
Architetti d’Italia #15 ‒ Italo Rota
Architetti d’Italia #16 ‒ Franco Zagari
Architetti d’Italia #17 ‒ Guendalina Salimei
Architetti d’Italia #18 ‒ Guido Canali
Architetti d’Italia #19 ‒ Teresa Sapey
Architetti d’Italia #20 ‒ Gianluca Peluffo
Architetti d’Italia #21 ‒ Alessandro Mendini
Architetti d’Italia #22 ‒ Carlo Ratti
Architetti d’Italia #23 ‒ Umberto Riva
Architetti d’Italia #24 ‒ Massimo Pica Ciamarra
Architetti d’Italia #25 ‒ Francesco Venezia
Architetti d’Italia #26 ‒ Dante Benini
Architetti d’Italia #27 ‒ Sergio Bianchi
Architetti d’Italia #28 ‒ Bruno Zevi
Architetti d’Italia #29 ‒ Stefano Pujatti
Architetti d’Italia #30 ‒ Aldo Rossi
Architetti d’Italia #31 ‒ Renato Nicolini
Architetti d’Italia #32 ‒ Luigi Pellegrin
Architetti d’Italia #33 ‒ Studio Nemesi
Architetti d’Italia #34 ‒ Francesco Dal Co
Architetti d’Italia #35 ‒ Marcello Guido
Architetti d’Italia #36 ‒ Manfredo Tafuri
Architetti d’Italia #37 ‒ Aldo Loris Rossi
Architetti d’Italia #38 ‒ Giacomo Leone
Architetti d’Italia #39 ‒ Gae Aulenti
Architetti d’Italia #40 ‒ Andrea Bartoli
Architetti d’Italia#41 ‒ Giancarlo De Carlo
Architetti d’Italia #42 ‒ Leonardo Ricci
Architetti d’Italia #43 ‒ Sergio Musmeci
Architetti d’Italia #44 ‒ Carlo Scarpa
Architetti d’Italia #45 ‒ Alessandro Anselmi
Architetti d’Italia #46 ‒ Orazio La Monaca
Architetti d’Italia #47 ‒ Luigi Moretti
Architetti d’Italia #48 ‒ Ignazio Gardella
Architetti d’Italia #49 ‒ Maurizio Carta
Architetti d’Italia #50 ‒ Gio Ponti
Architetti d’Italia #51 ‒ Vittorio Sgarbi
Architetti d’Italia #52 ‒ Fabrizio Carola
Architetti d’Italia #53 ‒ Edoardo Persico
Architetti d’Italia #54 ‒ Alberto Cecchetto
Architetti d’Italia #55 ‒ Fratelli Castiglioni
Architetti d’Italia #56 ‒ Marcello Piacentini
Architetti d’Italia #57 ‒ Massimo Mariani
Architetti d’Italia #58 – Giuseppe Terragni
Architetti d’Italia #59 – Vittorio Giorgini
Architetti d’Italia #60 – Massimo Cacciari
Architetti d’Italia #61 – Carlo Mollino
Architetti d’Italia #62 – Maurizio Sacripanti
Architetti d’Italia #63 – Ettore Sottsass
Architetti d’Italia #64 – Franco Albini
Architetti d’Italia #65 – Armando Brasini
Architetti d’Italia #66 – Camillo Botticini
Architetti d’Italia #67 – Antonio Citterio
Architetti d’Italia # 68 – Oreste Martelli Castaldi
Architetti d’Italia #69 – Paolo Soleri
Architetti d’Italia #70 – Giovanni Michelucci
Architetti d’Italia #71 – Lucio Passarelli
Architetti d’Italia #72 – Marcello d’Olivo
Architetti d’Italia #73 – Venturino Ventura
Architetti d’Italia #74 ‒ Ugo e Amedeo Luccichenti
Architetti d’Italia #75 – Walter Di Salvo
Architetti d’Italia #76 – Luigi Cosenza
Architetti d’Italia #77 – Lina Bo Bardi
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati