Corrado Levi in tutta la Triennale di Milano. Tra gioco e impegno
Triennale, Milano – fino al 23 febbraio 2020. La mostra di Corrado Levi si conclude sabato con un talk dello stesso artista. Figura eclettica e imprendibile, Levi è architetto, artista, intellettuale, agitatore culturale, docente, critico, curatore, collezionista. La sua ricerca viene ripercorsa con opere che vanno dal 1982 al 2020, attraverso una esposizione strutturata come una caccia al tesoro.
Sono ventidue le opere scelte di Corrado Levi (Torino, 1936), spaziando tra installazioni site specific, interventi ambientali, sculture, oggetti di design, lavori pittorici, progetti architettonici. L’artista agisce sempre in una dimensione di scambio tra discipline, di scivolamento in tecniche altre, scegliendo di rielaborare elementi del quotidiano in cui interviene con piccoli gesti che aprono a un senso più ampio e inedito.
Tra i temi affrontati c’è l’evocazione del corpo in assenza, ritmo come segno spaziale, sinestesia e spostamento dell’interpretazione in chiave onirica e immaginativa. La poetica di Levi si esprime al meglio quando deve rielaborare il quotidiano, introducendo variazioni ironiche fortemente ludiche o critiche: l’umorismo e una base di genuino divertimento restano la chiave di questa creatività che tutto considera e abbraccia. L'”impegno ludico” di Corrado Levi è sottile e mai gridato, anche quando si tratta di impegno politico.
LE OPERE DI CORRADO LEVI
In Vestiti di arrivati l’artista indossa vari strati di abiti abbandonati da persone migranti su una spiaggia di Otranto. A essere evocato è il corpo che non c’è e che si trova empaticamente a diventare tutt’uno con quello dell’artista, che dà vita e anima a queste “vestigia anonime” di storie e speranze. In Piercing a Milano, invece, l’architettura di un palazzo è intesa come un corpo, riproposta in una nuova versione, qui, in miniatura, dell’opera Baci urbani, realizzata nel 1996 per un palazzo di Torino. Attraverso Uomini di Corrado Levi ‒ intervento site specific portato a termine nel 1985 nello stabile abbandonato della Brown Boveri ‒ Levi gioca con l’idea della firma dell’artista e compie un gesto di appropriazione (anche erotica) che rimane sospeso. Panchina rosa triangolare, infine, è un monumento relazionale dedicato alle vittime omosessuali delle persecuzioni nazi-fasciste, installato nel giardino della Triennale.
LA FILOSOFIA DELL’ALLESTIMENTO
Dalle parole di Damiano Gullì, che cura la mostra con Joseph Grima, capiamo la filosofia di questo allestimento: “Disseminare le opere nello spazio è metafora dello stesso operare di Levi, che è sempre interstiziale, denunciando e mettendo in mostra le condizioni di passaggio e quindi anche i lati meno conosciuti e percepibili a un primo approccio, in parallelo, ragionando sulle dinamiche degli spazi e sull’idea di riportarli a quella che è un po’ la filosofia di Giovanni Muzio: togliere superfetazioni e tutti gli elementi che negli anni si sono sovrapposti, in un’ottica di rispetto per gli ambienti, che dal ’33 sono dinamici, estremamente flessibili e modulari. In linea poi con questa idea di seminare le opere nel palazzo, c’è quella di esprimere un altro punto di vista, affinché anche il dettaglio e gli angoli meno conosciuti tornino a essere protagonisti”.
‒ Laura Ghirlandetti
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