A Milano c’è una mostra sull’architetto Giancarlo De Carlo. Tutta da leggere

Triennale, Milano – fino al 29 marzo 2020. “I quaderni di Giancarlo De Carlo 1966-2005” è la prima di una serie di mostre dedicate ai grandi maestri del progetto. Lo studio Gatto Tonin Architetti, che l’ha curata, ci accompagna in visita. Illustrando i dettagli di questo lavoro, frutto di una lunga ricerca negli archivi dell’architetto genovese.

Una delle prime immagini che ci si trova davanti, visitando I quaderni di Giancarlo De Carlo 1966-2005, è quella di un diario di viaggio in America del 1966: Giancarlo De Carlo racconta le sue discussioni con Bob Venturi sulle architetture di Louis Kahn. Questa è la dimensione del personaggio che emerge andando avanti nella scoperta dei quaderni in mostra: un architetto viaggiatore che con altri colleghi, spesso anche molto lontani dalla sua filosofia, discute della propria professione. “Il taglio che abbiamo voluto dare è proprio questo: mostrare il personaggio che vi era dietro l’architetto, cercando di descriverlo attraverso le sue stesse parole. In questo modo si scopre un De Carlo acuto osservatore del quotidiano e quasi profetico su certe realtà, spiegano ad Artribune i curatori, ovvero lo studio Gatto Tonin Architetti, mentre la direzione artistica della mostra è di Lorenza Baroncelli. “Basti pensare a quando ragiona sul pensiero di Pasolini e la società dei consumi: per smitizzare i benefici che tale idea di progresso stava portando alla società, De Carlo si interroga sul prezzo che la natura stava pagando. Era il ’68, ma solo ora, dopo cinquant’anni, sembra che la società si sia accorta di tale prezzo”.

TRA SOLITUDINE E FALLIMENTO

Effettivamente, andando avanti nella lettura dei quaderni che sono sempre accompagnati da resoconti fotografici pescati dai vari archivi, ci si accorge anche di una dimensione personalissima dei suoi viaggi, spesso fatti in solitudine. In quella solitudine De Carlo ragionava di architettura e di società, spesso risultando critico verso la propria stessa opera. “Un altro aspetto che abbiamo cercato di far emergere è il rapporto con il fallimento, sia che si parli di un’opera che di una idea. Perché De Carlo, come tutti sappiamo, è stato spesso molto critico nei confronti degli altri architetti e in generale della società, ma era prima di tutto critico verso sé stesso. Ed è per questo che abbiamo scelto di trattare alcuni di questi progetti che lui sentiva come dei fallimenti: c’è Bordighera, c’è Casa Sichirollo, e ne avremmo potuti mettere molti altri”, proseguono i curatori.

I quaderni di Giancarlo De Carlo 1966 2005. Installation view at La Triennale di Milano, 2020. Photo Derin Canturk

I quaderni di Giancarlo De Carlo 1966 2005. Installation view at La Triennale di Milano, 2020. Photo Derin Canturk

UN SALOTTO IN TRIENNALE

Proprio il salotto di Casa Sichirollo è stato scelto e “ricostruito” al centro della grande sala allestita da Parasite 2.0. Una maquette in scala reale, privata della forza dirompente che nella realtà si esprime nel rapporto con la natura e nella scelta di materiali e colori, ma che qui diventa quasi un non–luogo monomaterico e monocromatico. “Ogni grande architetto ha la propria casa manifesto, e per De Carlo, che ha pochissimi progetti per singoli privati, questa casa rappresentava per noi un po’ l’emblema della sua personalità: trovarsi davanti a un diario in cui l’architetto esprime il suo disgusto per la propria opera [usa proprio queste parole, N.d.R.] per noi è stato indicativo e fondamentale nella scelta, perché questa casa l’abbiamo tanto studiata e la amiamo”, spiegano Gatto Tonin. L’evocazione di questo salotto come luogo di lettura viene completata dalla presenza di alcuni giornali, da sfogliare liberamente, che danno al visitatore anche una idea della complessità estetica dei diari dell’architetto genovese.

UNA MOSTRA DA LEGGERE

Ma rimane una mostra da leggere, una mostra che richiede pazienza per riuscire a cogliere le difficoltà con le quali De Carlo cercava di far capire la propria idea di architettura, assolutamente anti dogmatica e aperta, in un mondo nel quale le tendenze formalistiche avevano la meglio nell’opinione pubblica e nel mondo della professione. Una mostra che si scopre lentamente, che stanca e procede al ritmo lento degli occhi: riga dopo riga, cercano di ricostruire un personaggio complesso. I curatori ci tengono a sottolineare che “è una mostra che consigliamo a tutti i giovani studenti e futuri architetti, affinché scoprendo questo De Carlo, ancora troppo poco studiato e poco compreso nel mondo accademico, riescano a trovare idee fertili per fare la cosa giusta. Insomma, una mostra profonda, forse anche un po’ scomoda, per un architetto scomodo.

Derin Canturk e Marco De Donno

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Marco De Donno & Derin Canturk

Marco De Donno & Derin Canturk

Marco De Donno e Derin Canturk sono due giovani professionisti con base a Milano, ma originari rispettivamente di Gallipoli e Istanbul. Entrambi studiano Architettura al Politecnico di Milano, ma ben presto seguono carriere diverse, sempre in continuo scambio tra loro:…

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