Lettere dal fronte domestico: la quarantena dell’architetto Antonio Forcellino
Amici e colleghi condividono con la redazione di Artribune piccoli racconti ed esperienze dalla quarantena. Uno spazio di condivisione di idee, pensieri, speranze.
In questi giorni difficili, nei quali tutta l’Italia è bloccata, i musei sono chiusi, i luoghi di ritrovo scomparsi, a causa dell’emergenza Coronavirus, l’isolamento fisico necessario a proteggerci è indispensabile ma non deve limitare le nostre relazioni emotive, ancora più importanti per sostenerci l’un l’altro. Per dare un segno della nostra volontà di stare insieme abbiamo chiesto a tanti intellettuali di scrivere una lettera che inizi semplicemente con “Cari”, perché è rivolta a tanti, una lettera breve che dica cosa si sta facendo, che libro si sta leggendo o rileggendo, che racconti le difficoltà, le scoperte e le riscoperte. Abbiamo chiesto loro una visione e una idea per una vita futura. Dopo la prima lettera scritta da Antonio Mancinelli, Caporedattore di Marie Claire, sono seguiti i dispacci della giornalista e critica d’arte Alessandra Mammì e della curatrice Domitilla Dardi. Oggi a raccontarci la “quarantena” è l’architetto, scrittore e restauratore Antonio Forcellino. Ma aspettiamo tante altre lettere dal fronte domestico (Clara Tosi Pamphili).
IL TESTO DI ANTONIO FORCELLINO
La mia quarantena è cominciata con il tentativo di mettere a posto lo studio dove scrivo, l’ex appartamento del portiere del palazzo dove vivo a Testaccio. Non è una impresa facile perché è per metà lo studio di uno scrittore e per metà quello di un restauratore dove deposito colori, pennelli, piccoli dipinti e attrezzature. Il fatto è che di solito in questo disordine affacciato su uno dei cortili più popolari di Roma io mi trovo benissimo. Ci sono le grida continue del tappezziere, la musica degli studenti i rumori dell’ officina del Gommista, l’odore del forno della pizzeria Remo nel pomeriggio, e, in definitiva tutto quello che rende un quartiere romano una fonte inesauribile di vita ed allegria. Il fatto è che tutto questo è cessato all’improvviso e ai rumori si è sostituito un silenzio innaturale mai prima ascoltato, che mi toglie ogni concentrazione.
LA VITA IN FAMIGLIA
Strano a dirsi ma è così. Mio figlio adolescente rientrato da Milano sta su a casa cercando di studiare con l’unica distrazione della passeggiata con il cane che, nemmeno a dirlo, è stanchissimo perché tutti vogliamo portarlo in giro. Mia moglie che è architetto, divide con me una parte dello studio ma anche lei è più intenta a disinfettare, lavare fare ordine che a lavorare. Fino a ieri mi sono rifugiato nella Chiesa dove lavoro in questi mesi, Santa Maria della Pace, piombata anche lei in pochi giorni in un silenzio sempre più profondo, rotto ogni tanto dal suono di una monetina lasciata cadere nella cassetta delle candele, accese davanti al Crocifisso Miracoloso da un devoto in cerca di conforto. Quel silenzio però mi era più di aiuto, la vicinanza agli affreschi di Raffaello che sto restaurando per me è una consolazione infinita, mi parlano con la loro bellezza assicurandomi che tutto passerà, passerà anche questa. Ma il Vicariato ha chiuso da oggi anche le chiese e quindi la quarantena la passerò tra casa e studio. I miei amici napoletani mi mandano i video dei concerti dai balconi, le tammorre e le nacchere suonate dalle finestre e questo mi riempie di malinconia. Però oggi alle sei in questo cortile che sembra abbandonato dalla vita improvvisamente è esploso a tutto volume l’inno di Mameli, mi sono anch’io affacciato alla finestra e mi sono spuntate le lacrime.
RITROVARE LA CONCENTRAZIONE
Sono meridionale non c’è niente da fare. Ce la faremo “Adda passà a nuttata” diceva il grandissimo Eduardo e speriamo che passi presto. Chissà se ritroverò la concentrazione. Devo concludere entro marzo il mio ultimo libro per Laterza e se un mese fa mi avessero detto che avrei potuto fermarmi a studio per una settimana avrei fatto salti di gioia. Ora che vi sono incarcerato sono seduto davanti allo schermo ma guardo in continuazione il telefono aspettando i segnali degli altri prigionieri come me, di un intero paese, che cerca disperatamente di gridare che siamo vivi, che stiamo solo aspettando che passi questo mostro invisibile che ci assedia appena fuori dalle nostre case.
– Antonio Forcellino
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