Architetti d’Italia. Cesare Leonardi, il designer mancato
La passione per il design non l’ha mai abbandonato, ma la sua strada è stata l’architettura. Tutta la storia di Cesare Leonardi raccontata da Luigi Prestinenza Puglisi.
Cesare Leonardi ha corso il rischio di diventare uno dei più celebri designer a livello mondiale. Poi ha fatto altro. Ci sono buone ragioni per pensare che ciò sia dovuto al fatto che abbia cavalcato il cavallo sbagliato. La ditta con la quale aveva realizzato i mobili che lo avevano portato a esporre alla mostra del 1972 al MoMA, Italy. The New Domestic Landscape, a un certo punto ha dato forfait e così i suoi prodotti non hanno avuto la fortuna che si meritavano. Eppure un designer celebre, bravissimo e modaiolo come Ron Arad non esita oggi ad affermare che la sua poltrona Nastro sia la seduta perfetta. Aggiungendo che è l’unico pezzo di casa sua che non ha disegnato. E la stessa Nastro, insieme a Dondolo, oggi fa parte della collezione permanente di musei quali il Victoria and Albert Museum di Londra, il Vitra di Weil am Rhein, lo stesso MoMA di New York. Ci sono, però, buone ragioni per pensare che Cesare Leonardi si sarebbe trovato malissimo a impersonare la figura un po’ fatua e falsa della star del design. E che la sua vita, ovvero il destino che ognuno di noi si porta dietro e ci permette di andare avanti, lo induceva a percorrere tutt’altra strada, quella che oggi diremmo dell’architetto condotto. Architetto condotto: la parola suona un po’ falsa da quando Renzo Piano l’ha trasformata in uno slogan della sua retorica professionale. E comunque è da prendere con le pinze perché ci suggerisce l’immagine di un professionista tutto proiettato a risolvere questioni pratiche, cioè le immediate esigenze della comunità, e che mette in secondo piano l’impegno artistico e poetico. Cioè quella capacità di trascendere le cose che rende, a mio avviso, Leonardi un protagonista dell’architettura italiana, di una certa architettura italiana un po’ nascosta e un po’ in penombra. Certamente lontana dalle riviste di architettura che si vendono a Milano.
LE VICENDE DI CESARE LEONARDI
Leonardi viene da una famiglia artigiana della provincia di Modena. Quella provincia che piaceva a Giovannino Guareschi: solida, concreta, che ama fare le cose con le proprie mani, ideologizzata a un grado massimo ma radicata nei valori. Si iscrive tardi, nel 1956, a ventuno anni, alla facoltà di architettura di Firenze e si laurea solo nel 1970 perché nel frattempo ha bisogno di lavorare: nel 1963 apre infatti a Modena uno studio con Franca Stagi, sua compagna di liceo laureatasi al Politecnico di Milano, con la quale opereranno insieme sino al 1983 condividendo tutti i progetti. A Firenze incontra i protagonisti della stagione del rinnovamento: Umberto Eco, Leonardo Ricci, i giovani esponenti del movimento radicale, da Archizoom a Superstudio e incrocia la figura di Leonardo Savioli, che sarà il suo relatore di tesi di laurea. Leonardo Savioli è un personaggio particolarmente importante nel clima fiorentino dell’epoca. Perché è un professore amatissimo e aggiornatissimo, perché apre alla sperimentazione con scelte coraggiose, perché, oltre a essere un architetto militante, è un artista particolarmente dotato. Sostiene che l’architetto debba essere un intellettuale a tutto campo, aperto ai problemi della società, della politica e dell’arte, conoscitore della scienza e della tecnica ma, allo stesso tempo, in grado di padroneggiarle, secondo la migliore tradizione toscana, con acutezza da intellettuale e maestria di artigiano.
LA CONCRETEZZA E LA FOTOGRAFIA
Cesare Leonardi ama le strutture più che le singole forme o, meglio, concepisce le forme come parti di un sistema. E, difatti, se prendiamo la sedia Nastro o il Dondolo ci accorgiamo che nascono da una riflessione strutturale sul minimo di materia necessario per far funzionare l’oggetto. E che quelli che ci sembrano frutti di un raffinato design minimalista altro non sono che meccanismi ideati per utilizzare in maniera astuta e vantaggiosa le leggi della natura. Non il quasi nulla dello snob, difficile da fare e costoso da mantenere.
A convincerlo a muoversi in questa direzione contribuisce l’incontro con uno dei personaggi più carismatici dell’architettura italiana di quegli anni, Marcello D’Olivo, dal quale svolge un periodo di apprendistato tra il 1959 e il 1960. D’Olivo, che è un bravo pittore e divoratore di ogni genere di libri, oltre a insegnargli i segreti delle strutture, lo consolida nel convincimento che l’architetto debba essere artista e scienziato.
Vi è, infine, la fotografia, una passione che porta Leonardi a ritrarre in continuazione il mondo che lo circonda producendo immagini che poi sviluppa da solo, con strumenti da lui stesso realizzati. È interessante notare che le sue campagne fotografiche non perseguono la magia del singolo scatto ma sono sempre serie che raccontano l’oggetto visto da differenti prospettive durante le ore della giornata. Potremmo parlare di un approccio impressionista, o forse cubista, consistente nel bisogno di restituirci tutta la complessità dell’oggetto. Una necessità di sintesi strutturale che pone le cose al di fuori della veloce precarietà della loro esistenza. L’analisi della struttura, sembra dire Leonardi, non deve portare all’effimero della moda del design d’autore ma al mistero dell’esistere nel tempo e nello spazio.
Leonardi è un appassionato della natura. I suoi progetti di edifici sono seri, piacevoli, equilibrati ma non indimenticabili e, se hanno un interesse, è proprio nella loro qualità di non perdersi mai nelle sabbie mobili del linguaggio, della moda dell’effimero: una qualità certamente non poco rilevante in periodi dominati dal post modernismo e piagati dalla apoteosi della inutilità del segno. Sono, invece, a mio avviso, particolarmente belli i progetti all’aria aperta: del Parco Amendola, del Parco della Resistenza a Modena e del centro nuoto a Vignola. Partono da un presupposto oggi più che mai attuale: gli alberi non sono, come la chiama lui, “verdura” da mettere dove capita per esigenze di abbellimento. Sono organismi che hanno proprie leggi di crescita e qualità cromatiche. Debbono essere quindi, innanzitutto, ben conosciuti dal progettista. Da qui un lavoro immenso di catalogazione che Leonardi compie con la Stagi e con gli assistenti dello studio per fotografarli e disegnarli uno per uno, nelle diverse stagioni. L’operazione si avvale di quel metodo strutturale, un po’ impressionista e un po’ cubista, che ha messo a punto attraverso la passione per la fotografia. Da qui la pubblicazione di un libro, L’architettura degli Alberi, edito da Mazzotta nel 1982, che rappresenterà per decenni il lavoro più importante e completo sull’argomento.
Leonardi è un perfezionista. Suo è il rilievo fotografico del duomo di Modena, un impegno impressionante che ha richiesto quasi due anni (1983-84) e decine di migliaia di scatti in ogni ora del giorno.
LA STRUTTURA RETICOLARE ACENTRATA
Il problema che lo intriga di più è come trasferire nel campo della progettazione l’approccio strutturale, che tanto funziona nel rilievo, senza cadere in semplificazioni geometriche e formali che ingabbierebbero gli alberi, e quindi la natura, privandoli della sua libertà. Inventa la Struttura Reticolare Acentrata (SRA): un sistema di nodi e aste che delimitano poligoni irregolari i quali a loro volta permettono di distanziare gli alberi ordinandoli secondo un disegno informale. La struttura, allo stesso tempo, è una maglia rispetto alla quale organizzare le attività degli utenti del parco, permettendo così la coesistenza equilibrata di uomo e natura. A rappresentare la SRA sono bellissimi disegni colorati che raccontano la versatilità del sistema, la sua astratta poeticità. Gli stessi ci anticipano il cambiamento dei colori del parco nel corso delle stagioni.
Leonardi è un entusiasta del proprio lavoro. È tanto preso dall’idea della SRA che pensa di trasferirsi a Bosco Albergati in una roulotte per verificarne il funzionamento, nei primi anni di vita della struttura. E non abbandona certo l’idea che si deve progettare del buon design. Ma la strada, capisce, è diversa da quella del mondo dell’industrial e del fashion design. Passa per l’artigianato. Per il fai da te, per la sapienza di chi lavora con l’intelligenza delle mani. A ossessionarlo è una idea che ha sempre a che fare con la sua passione per le strutture: quante forme possibili di sedie si possono ricavare se si utilizzano solo tavole di 150×50 centimetri e non più di una per sedia? La risposta è: infinite. Leonardi comincia così, molto prima che vengano utilizzate le macchine a controllo numerico, a realizzare sedie dalle forme più fantasiose: tutte diverse tra loro ma tutte caratterizzate dallo stesso imperativo progettuale dell’assenza di spreco. Tutte generate da una stessa tavola di poco costo. Pensateci bene. Le sequenze di fotografie che ritraggono alberi, le immagini che servono per il rilievo del duomo di Modena, le permutazioni della struttura reticolare acentrata, le infinite sedie ricavabili da una tavola di 150×50 centimetri condividono la medesima ossessione: osservare il mondo attraverso le sue imprevedibili consonanze. Sarebbe stato, a questo punto, un peccato se un così forte e intenso talento creativo si fosse perso tra le pagine delle riviste alla moda. Leonardi non poteva rincorrere o anticipare le tendenze, il suo imperativo era tentare di dare struttura al mondo.
‒ Luigi Prestinenza Puglisi
LE PUNTATE PRECEDENTI
Architetti d’Italia #1 – Renzo Piano
Architetti d’Italia #2 – Massimiliano Fuksas
Architetti d’Italia #3 – Stefano Boeri
Architetti d’Italia #4 – Marco Casamonti
Architetti d’Italia #5 – Cino Zucchi
Architetti d’Italia#6 – Maria Giuseppina Grasso Cannizzo
Architetti d’Italia#7 – Adolfo Natalini
Architetti d’Italia#8 – Benedetta Tagliabue
Architetti d’Italia#9 – Michele De Lucchi
Architetti d’Italia#10 – Vittorio Gregotti
Architetti d’Italia#11 – Paolo Portoghesi
Architetti d’Italia#12 – Mario Cucinella
Architetti d’Italia #13 ‒ Mario Bellini
Architetti d’Italia #14 ‒ Franco Purini
Architetti d’Italia #15 ‒ Italo Rota
Architetti d’Italia #16 ‒ Franco Zagari
Architetti d’Italia #17 ‒ Guendalina Salimei
Architetti d’Italia #18 ‒ Guido Canali
Architetti d’Italia #19 ‒ Teresa Sapey
Architetti d’Italia #20 ‒ Gianluca Peluffo
Architetti d’Italia #21 ‒ Alessandro Mendini
Architetti d’Italia #22 ‒ Carlo Ratti
Architetti d’Italia #23 ‒ Umberto Riva
Architetti d’Italia #24 ‒ Massimo Pica Ciamarra
Architetti d’Italia #25 ‒ Francesco Venezia
Architetti d’Italia #26 ‒ Dante Benini
Architetti d’Italia #27 ‒ Sergio Bianchi
Architetti d’Italia #28 ‒ Bruno Zevi
Architetti d’Italia #29 ‒ Stefano Pujatti
Architetti d’Italia #30 ‒ Aldo Rossi
Architetti d’Italia #31 ‒ Renato Nicolini
Architetti d’Italia #32 ‒ Luigi Pellegrin
Architetti d’Italia #33 ‒ Studio Nemesi
Architetti d’Italia #34 ‒ Francesco Dal Co
Architetti d’Italia #35 ‒ Marcello Guido
Architetti d’Italia #36 ‒ Manfredo Tafuri
Architetti d’Italia #37 ‒ Aldo Loris Rossi
Architetti d’Italia #38 ‒ Giacomo Leone
Architetti d’Italia #39 ‒ Gae Aulenti
Architetti d’Italia #40 ‒ Andrea Bartoli
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