Verso il ritorno alla figura unica dell’architetto? L’opinione di Franco Zagari
Fa discutere la bozza di testo di riforma della professione dell’architetto proposto dal Consiglio Nazionale Architetti: previsto il ritorno alla “figura unica” e il superamento delle specializzazioni di pianificatori, paesaggisti e conservatori. Architetto paesaggista, Franco Zagari condivide il suo punto di vista.
Oggi al Consiglio Nazionale Architetti si parla dell’attualità della figura dell’architetto: bene, era necessario. Il nostro ordinamento è un collage cresciuto nel tempo che è diventato piuttosto confuso e le cose più semplici appaiono come sfumate; così ben vengano idee per una ridefinizione. Ma credo che sia tempo che alcune declinazioni del nostro meraviglioso mestiere ovunque, in ogni sede, acquistino una maggiore autonomia, e una maggiore responsabilità. In questo momento penso in particolare a quello che accade per il paesaggio: dappertutto si tende piuttosto a parlare non tanto di architettura, quanto di paesaggio. Così le immagini che l’architettura ci trasmette della pandemia sono o nuovi ospedali e cluster allestiti in cartongesso dentro grandi hangar, che ricordano tanto l’ospedale di Venezia di Le Corbusier, o spazi pubblici belli e drammatici perché mai visti così radicalmente vuoti. Non dimenticheremo mai Papa Francesco solo nell’immenso spazio di Piazza San Pietro. In Italia in realtà non si parla altro che di paesaggio, ma l’impressione è che lo si evochi per liberarsene.
IL PROGETTO DEL PAESAGGIO IN ITALIA
Tutti insieme dovremmo riflettere sull’inopportunità di continuare a condurre un gioco solo difensivo del paesaggio, sia inteso come patrimonio che come disciplina progettuale. Perorare la causa della sopravvivenza del paesaggio come un’idea solo distributiva e organizzativa di arte e tecnica degli spazi esterni non mi sembra così interessante. Noi dovremmo invece affermarne un ruolo centrale: non di una scienza cadetta, ma di un grande investimento intellettuale e politico, un approccio e un metodo di grande respiro, un giudizio critico di sintesi che ponga la diagnosi e l’interpretazione dei contesti in un continuo confronto dialettico. Di quanto il paesaggio sia utile non vi è nessuna necessità di dimostrarlo, perché sono note le scuole, sono conosciuti i maestri, sono utili e opportune le opere che in tutto il mondo si sono affermate. I paesaggisti non hanno bisogno di insistere sulla loro capacità di saper vedere le vocazioni dei luoghi a evolvere, di saper ibridare diversi saperi progettuali che sovrintendono alle regole dello spazio del mondo animale, vegetale e minerale. Il paesaggio come arte e tecnica ha già strette relazioni con l’architettura, l’urbanistica e il design, ma anche con la sociologia, l’antropologia, la semiotica, l’agronomia, l’economia e l’estimo, la geografia, la storia, l’archeologia, le scienze della terra: forse di tutte queste e di altre discipline è quella che mantiene di più un confine attivo di scambio vivo e profondo con il mondo delle arti, rispetto al quale è come un porto franco di perenne alimentazione di tutte le fonti creative. Il paesaggio è la disciplina che di più nell’evo moderno ha stabilito un equilibrio fra le tradizioni storiche e le visioni di futuro, ponendo la bellezza, la dignità del lavoro e l’ascolto dei luoghi al centro della scena, attraverso processi progettuali concertati e partecipati di azioni di restauro, di salvaguardia e tutela, di manutenzione e gestione, di innovazione, di valorizzazione e invenzione.
IL COSTO DEL DEGRADO
C’è una crisi che ormai da economica e finanziaria prima e sanitaria poi sta mettendo a dura prova le istituzioni, perfino quelle europee, non introducendo proposte che definiscano in modo nuovo le esigenze dell’habitat contemporaneo. Le istituzioni sono allora attaccate proprio dove invece dovrebbero essere più forti, dove il territorio è esercizio della volontà comune, dove la sacralità del luogo è il sostegno di una volontà di pensiero concertata e partecipata. La qualità dell’habitat oggi non sembra interessare la politica che marginalmente, ma nessuno in questo Paese così appassionato di statistiche valuta il costo del degrado, continuando in questo errore di confondere due crisi ugualmente gravi ma profondamente diverse: quella dell’ambiente e quella del paesaggio.
Questa autonomia di pensiero del paesaggio negli studi, nelle professioni, nelle amministrazioni, nel mercato deve essere un principio rispettato e incentivato, nel vantaggio reciproco di tutte le attitudini creative che riguardano l’evoluzione del territorio. Una volta che saremo usciti da questa terribile prova della pandemia, l’Europa ci attende su questi temi perché sono essenziali per la nostra democrazia. Con un confronto franco e leale, aperto e inclusivo, un lavoro fondativo, senza alcun pregiudizio.
‒ Franco Zagari
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