Architettura. Il collettivo Orizzontale e tutte le possibilità del vuoto

Dall’esperienza di rigenerazione urbana, attualmente in progress, di “Prossima Apertura” ad Aprilia, fino al lancio della nuova piattaforma “Vuoto”, intervista a tutto campo al collettivo di architetti Orizzontale, che nel 2020 taglia il traguardo dei dieci anni di attività.

Da dieci anni il collettivo di architetti con base a Roma promuove e sperimenta forme di interazione sociale attraverso un approccio inedito all’architettura. Dalla Capitale all’Europa, dall’urbanistica all’autocostruzione, Orizzontale pone la relazione tra abitante e luogo come matrice generatrice dei propri progetti. “Giovani Talenti dell’Architettura Italiana 2018”, premiati alla Biennale di Venezia dal Consiglio Nazionale Architetti, in questa intervista presentano gli interventi più recenti. E un lavoro di ricerca sul vuoto che, nonostante il lockdown, non si è mai fermato.

Lo scorso marzo, in pieno lockdown, avete pubblicato il manifesto con il quale, dieci anni fa, vi presentavate pubblicamente come un “collettivo di azione metropolitana”. Siete ancora fedeli a questa missione? Qualcosa è cambiato?
Noi siamo sicuramente cambiati. Siamo cresciuti e abbiamo fatto molta esperienza, ma siamo sempre rimasti fedeli a quei principi. Dopo dieci anni di piccoli e grandi progetti in Italia e in Europa ci siamo accorti di come, oggi come allora, sottoscriveremmo quel manifesto: il nostro obiettivo è sempre quello di restituire lo spazio pubblico dimenticato alla collettività, dandogli un nuovo significato. Possiamo dire, però, che in questi anni abbiamo affinato i nostri strumenti.

Al centro dei vostri progetti c’è lo spazio pubblico, ma cosa vuol dire lavorare sui vuoti della città, sui beni collettivamente dimenticati?
Anche uno spazio ben progettato, se manchevole di azioni che stratifichino gli usi e i significati di quel luogo, rimarrà uno spazio vuoto. Partiamo perciò sempre dal riconoscere questi luoghi “scartati”, tanto nella loro fisicità quanto nel loro significato per gli abitanti che li vivono. Lavoriamo con lo scarto spaziale, cioè tutte quelle parti non pensate della città che permettono usi spontanei e indefiniti; con lo scarto materiale, il rifiuto vero e proprio che può trovare nuovi usi; e poi con lo scarto dell’immaginario: in certi luoghi si è quasi assuefatti all’idea che le cose non possano cambiare e non si è più in grado di immaginare possibili trasformazioni. La nostra attività di laboratori urbani vuole proprio stimolare l’immaginazione, fornire alle persone gli strumenti per immaginare, creare nuovi legami, aumentare il senso di appartenenza negli abitanti rispetto al luogo che abitano. Laddove tu hai partecipato alla progettazione e alla costruzione di un luogo, sei portato a tutelarlo perché lo senti anche tuo.

Aprilia, Prossima Apertura Secondo rilievo. Photo Alessandro Imbriaco

Aprilia, Prossima Apertura Secondo rilievo. Photo Alessandro Imbriaco

State lavorando in questo modo con Prossima Apertura, nella mai realizzata piazza della Comunità Europea nel quartiere Toscanini ad Aprilia.
Prossima Apertura parte dal concetto di diminuzione della distanza: l’obiettivo, oltre a riqualificare lo spazio fisico della periferia, era quello di creare sinergia con le realtà locali e l’amministrazione, per avere un programma di utilizzo di quello spazio dimenticato. Siamo risultati vincitori del concorso di idee bandito dal MiBACT e dal Consiglio Nazionale Architetti nel 2016 per la riqualificazione di dieci periferie urbane. La nostra idea vincente è stata quella non di presentare un “progetto architettonico canonico”, ma un processo, un progetto in itinere fatto da un team interdisciplinare: noi come architetti, NOEO ha condotto la ricerca psicosociale e Walls curava la comunicazione. Questi tre ambiti per noi dovevano lavorare simultaneamente nel coinvolgere la popolazione e immaginare insieme un percorso di rigenerazione urbana. Poi nel tempo si sono aggiunti anche ADLM Architetti e altri professionisti che hanno creduto nel progetto.

Cosa prevede questo percorso?
Per rigenerazione spesso, in ambito normativo, ci si riferisce alla riqualificazione di edifici legata all’efficientamento energetico, ma non viene contemplata la risorsa umana, il rapporto tra Habitat e Abitante. Quindi abbiamo voluto costruire un programma che indagasse proprio questa relazione: non un palinsesto di attività di intrattenimento, ma un programma di attività quotidiane e di appuntamenti settimanali che potessero riportare la vita nel quartiere. Solo così può avvenire la ricucitura: se la periferia viene vissuta unicamente dagli abitanti della periferia, si rischia di creare situazioni ghettizzanti; vogliamo invece creare motivi di interesse per le persone che arrivano da fuori. Un progetto che è cresciuto e continua a crescere, grazie anche a nuovi fondi ministeriali, che ci hanno permesso di allargare il nostro sguardo sull’ambito d’intervento, dalla piazza all’intero quartiere.

Cosa vuol dire coinvolgere gli abitanti nel progetto di un luogo?
Fondamentale è stata sicuramente la comunicazione: il banner “Prossima Apertura” serve non solo a creare curiosità ma presenta l’essenza stessa del progetto. Dopo il fallimento dell’impresa che doveva costruire il mercato coperto, noi abbiamo voluto giocare con l’equivoco di una prossima apertura che, nella testa delle persone, non sarebbe mai arrivata. Ma essendo il nostro progetto un processo in divenire è costantemente una “Prossima Apertura”! Così nella piazza bassa abbiamo cominciato i laboratori con gli abitanti: sia come pretesto per abitare quel luogo, sia per conoscerli e farci conoscere. Il problema dei cantieri è che spesso creano delle barriere, condividendo invece l’atto del costruire si elimina quella distanza. E la ricerca psicosociale è partita coinvolgendo le associazioni di cittadini, che sono le cellule base dell’aggregazione sociale, e sono poi diventate i nostri interlocutori principali di progetto.

Possiamo parlare anche di una funzione pedagogica del progetto?
Operiamo in una realtà molto difficile e spesso cruenta. Questa è una sperimentazione, il nostro intento è quello di accompagnare gli abitanti e affiancarli in tutto il processo. Non sappiamo quale sarà l’esito finale. Parlando però di risultati ottenuti fino a ora, sono notevoli: la piazza, o meglio “la buca” come viene chiamata dagli abitanti del quartiere, ha creato negli anni malcontento e una certa disillusione, anche giustificabile, attorno all’idea che si potesse cominciare un progetto nuovo. Nessuno ci credeva! Ma quando, per questioni burocratiche, stavamo ritardando l’avvio del cantiere, ci fu una reazione immediata delle associazioni che hanno inviato una lettera collettiva al sindaco per far partire i lavori. Paradossalmente avevamo già raggiunto un obiettivo: le associazioni in questi territori fanno spesso fatica a creare un network di collaborazione e vedere una reazione collettiva è stato il nostro primo goal. Il 9 marzo di quest’anno avremmo dovuto far partire il primo laboratorio di auto-costruzione; poi è arrivato il lockdown e si è tutto fermato, ma grazie alla flessibilità del nostro progetto stiamo ripartendo. I progetti che riescono a modificarsi in corso d’opera sono sicuramente più rispondenti alla società contemporanea.

Aprilia, Prossima Apertura. Photo Alessandro Vitali

Aprilia, Prossima Apertura. Photo Alessandro Vitali

Questa emergenza sanitaria ha svuotato le nostre città ma, se vogliamo, ci ha dato anche del tempo per riflettere su noi stessi. Come l’avete affrontata?
Inizialmente c’è stato l’impatto del non comprendere cosa stesse accadendo. Abbiamo avuto molte richieste di riflessione; però, a caldo, si fa anche fatica a giungere a delle conclusioni: c’è bisogno di tempo per metabolizzare. Così affacciandoci dalle nostre finestre abbiamo fatto uno zoom out, abbiamo cercato di guardare lo spazio pubblico da nuove prospettive. In quei mesi lo spazio urbano aveva delle grandi assenze, era vuoto, e abbiamo cercato di analizzare questo vuoto. Ci siamo domandati se la città che avevamo conosciuto fino a quel momento era la città rispondente ai nostri bisogni. E poi ci siamo chiesti come affrontare questa emergenza: perché dover distanziare le persone a livello sociale? Lo spazio pubblico, se ripensato bene, offre possibilità di distanziamento fisico, necessario per l’emergenza in atto, ma che permette di non perdere quel vivere collettivo di cui abbiamo bisogno come società.

Ed è così che nasce Vuoto?
Sì! Così nasce Vuoto, questa piattaforma che non vuole essere una pubblicazione vera e propria ma un contenitore multiforme, uno spazio pubblico trans-mediale, con il quale condurre un dibattito sulla città, che definiamo come un sistema instabile. Il primo numero, Vertigo, del quale lo studio grafico Atto ha curato la realizzazione fisica facendo un lavoro sublime di sottrazione e addizione di tinte e livelli, è composto completamente usando il materiale prodotto durante il lockdown. Abbiamo raccolto tutte le nostre riflessioni sullo spazio pubblico, disegni, fotografie, suggestioni, conversazioni. Abbiamo prodotto tanto in quei mesi, perché le strade, le piazze, i parchi sono rimasti vuoti, ma il nostro tempo no! Abbiamo riflettuto tanto e, come dicevamo prima, Vuoto vuole essere un luogo di dibattito, non proponiamo soluzioni. Ai nostri contributi si affiancheranno poi riflessioni di altri professionisti, organizzeremo incontri ed eventi, in luoghi fisici o digitali. Crediamo molto nelle sinergie inaspettate che nascono durante questi processi!

Sinergie che voi ricercate spesso nei laboratori: nel fare, nel conoscere, nel costruire insieme. A cosa state lavorando in questa strana estate 2020?
A luglio siamo stati impegnati a Belmonte Calabro nel laboratorio di riuso e recupero che ha messo in sinergia la London Metropolitan University e l’associazione La rivoluzione delle Seppie con i centri di accoglienza dei paesi limitrofi. Il progetto Crossing comincia a indagare quel fenomeno in atto da anni nel quale giovani calabresi lasciano la propria terra per cercare fortuna verso il nord e giovani del sud del mondo scappano dalle loro terre e arrivano in Calabria. Attraverso un patto di collaborazione, l’amministrazione comunale ha deciso di affidarci un ex convento, mai del tutto ristrutturato per mancanza di fondi, per farlo diventare uno spazio di formazione. L’idea è stata quella di creare un filone di insegnamento alternativo, con molte realtà diverse che collaborano e ogni anno operiamo interventi atti al futuro riutilizzo di questa struttura: tutti interventi reversibili, come la pavimentazione poggiata su sabbia, lavorando sempre in sinergia con le maestranze locali. L’obiettivo è riuscire, negli anni, a rendere vivibile questa casa e farla diventare un polo di interesse per il paese, che aiuti il ripopolamento anche per periodi limitati nel tempo. Quest’anno è stato soprattutto un momento di dibattito, data un po’ la situazione, per capire che strada possa prendere il progetto, ma in fondo anche questo è parte del processo progettuale!

Vuoto - Vertigo. Courtesy Orizzontale

Vuoto – Vertigo. Courtesy Orizzontale

Prossimi appuntamenti?
A fine agosto saremo in Sicilia, a Riesi, con LURT Laboratorio Umano di Rigenerazione Territoriale, dove l’obiettivo è il recupero di un bene confiscato alla mafia. Un progetto nato dalla collaborazione di diverse realtà locali come il Servizio Cristiano e plug_in. Anche in questo caso il processo prevede un lavoro che, negli anni, trasformi l’immobile in un luogo per la rigenerazione locale e offra nuove opportunità, uno spazio per la formazione e la produzione di cultura.

In ogni vostro progetto credete molto nelle collaborazioni, anche inedite, con associazioni locali e studi di professionisti. Ma allora qual è il ruolo dell’architetto?
Se fino a oggi abbiamo avuto una figura demiurgica dell’architetto, che accentrava nella sua figura la gestione dell’intero processo, oggi noi crediamo che debba essere la maieutica a prevalere: l’architetto deve sollecitare, deve domandare, deve riscoprire ciò che è sopito. L’architetto ha un ruolo fondamentale, che non è quello di soddisfare i desideri, ma di instaurare un dialogo sincero, di comprendere realmente i bisogni. Ed è per questo che non possiamo farlo da soli, abbiamo bisogno di nuove forme di lettura per comprendere le istanze reali del luogo e poterle poi tradurre in progetto. Dobbiamo passare dall’idea di un architetto che immagina da solo nel suo studio la soluzione a un architetto che si appoggia ad altre professionalità competenti per creare un dialogo più autentico con gli abitanti del luogo di intervento. Ecco perché crediamo che ci sia bisogno di sinergie nuove e di processi partecipati. Lo dicevamo all’inizio: il nostro obiettivo, da dieci anni, è sempre quello di restituire lo spazio pubblico dimenticato alla collettività, dandogli un nuovo significato!

Marco De Donno & Derin Canturk

http://www.orizzontale.org/

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Marco De Donno & Derin Canturk

Marco De Donno & Derin Canturk

Marco De Donno e Derin Canturk sono due giovani professionisti con base a Milano, ma originari rispettivamente di Gallipoli e Istanbul. Entrambi studiano Architettura al Politecnico di Milano, ma ben presto seguono carriere diverse, sempre in continuo scambio tra loro:…

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