Big Data e architettura per rivendicare il diritto di respirare aria pulita
Alla Biennale Architettura 2021, l’Institut Ramon Llull presenterà l’evento collaterale “Catalonia in Venice - air/aria/aire”. A curarlo è l’architetta e docente Olga Subirós che in questa intervista illustra il progetto: un invito a riflettere sull’aria come bene comune da cui dipende, oggi più che mai, la nostra sopravvivenza. Perchè “l'aria che respiriamo ci uccide”.
Bisognerà aspettare fino al maggio 2021 per conoscere nel dettaglio Catalonia in Venice – air/aria/aire, ma l’urgenza del tema con cui la comunità autonoma spagnola sarà presente alla 17. Mostra Internazionale di Architettura di Venezia non ammette attese. L’installazione multisensoriale che offrirà una possibile risposta al quesito How will we live together?, lanciato da Hashim Sarkis, è infatti l’esito di una ricerca condotta con tecnologie digitali di analisi dei Big Data che dimostra l’interconnessione tra le due crisi globali in corso, quella climatica e quella sanitaria, e invita a riconsiderare il concetto di “smart city”. Oltre che a Venezia, gli esiti di tale indagine saranno resi noti in un numero monografico della rivista Quaderns d’Arquitectura i Urbanisme pubblicata dal Col.legi d’Arquitectes de Catalunya (COAC).
INTERVISTA A OLGA SUBIRÓS
Analogamente alla Russia, anche la Catalogna ha deciso di avviare il percorso del padiglione previsto per la Biennale Architettura 2020-2021 nonostante l’evento sia stato posticipato e di “uscire allo scoperto”. Un’urgenza dettata anche dal tema scelto e dalle nuove consapevolezze che stanno emergendo per effetto della pandemia?
Abbiamo avviato la diffusione del progetto sia per l’urgenza dettata dal tema affrontato che per le nuove consapevolezze che stanno emergendo come effetto della pandemia. L’inquinamento atmosferico colpisce sette città su dieci. Nel mondo, nove persone su dieci respirano aria inquinata. L’inquinamento atmosferico è la causa di più di sette milioni di morti all’anno (400.000 all’anno in Europa). È nell’aria che si trovano le grandi crisi attuali: la crisi climatica globale e la crisi della salute pubblica locale nelle città causata dalle emissioni di combustibili fossili.
E da qualche mese abbiamo anche la pandemia…
Sì, a queste crisi va aggiunta quella del COVID-19. Queste crisi sono tutte collegate tra loro ed evidenziano una crisi sistemica. Secondo gli ultimi studi scientifici, infatti, esiste una correlazione tra i grandi focolai di COVID-19 e le città con popolazioni esposte da anni a tassi di inquinamento atmosferico più elevati di quelli consentiti dall’OMS. La consapevolezza che non possiamo respirare nel senso più letterale e metaforico si è diffusa in tutto il mondo. Abbiamo avviato il percorso di diffusione del padiglione catalano per aprire un dibattito pubblico attorno alla ricerca che abbiamo realizzato prendendo come caso di studio la città di Barcellona. La scelta di Barcellona non è banale, in quanto la città da oltre 10 anni non rispetta i livelli di inquinamento atmosferico consentiti dall’OMS e dall’UE; è anche la città con la più alta densità di veicoli che circolano in una città europea (con 6.000 veicoli per chilometro quadrato e uno spazio pubblico occupato al 60% da veicoli). La metodologia utilizzata può essere estrapolata per altre città ed è quindi di particolare interesse locale e internazionale.
Eppure negli ultimi anni si è molto parlato del modello Barcellona come smart city innovativa e avanzata. Può raccontarci cosa è emerso durante la fase di indagine, ovvero una delle quattro incluse nel processo del padiglione?
La ricerca è necessaria perché, sebbene a Barcellona siano state applicate recentemente misure come la Low Emission Zone e siano stati effettuati test innovativi come le “superblock”, queste non sono sufficienti. Il nostro progetto fornisce nuove metodologie per lo studio dell’impatto dell’inquinamento atmosferico e rende visibili le opportunità per sviluppare una pianificazione che metta la salute, la vita, al centro del processo decisionale urbano e al di sopra di interessi economici specifici.
Ovvero?
La nostra ricerca, in particolare, prevede 12 misure per cambiare radicalmente le città, rendendole più sane, sostenibili ed eque. Queste 12 misure emergono da 12 cartografie che visualizzano la complessità della città e la necessità di applicare tali misure, che possono essere visionate sul sito web del progetto. Alcune possono sembrare ovvie, come l’eliminazione del traffico, ma le mappe elaborate spiegano in modo eterogeneo quale sia l’impatto sulla salute in città e rivelano l’urgenza di cambiare le politiche pubbliche. Altre misure sono molto più propositive, come l’”Ultimo Miglio”, proposto per la regolamentazione del trasporto merci in città (pensiamo che il commercio elettronico è aumentato del 30% in Spagna l’anno scorso). Altre ancora aprono un mondo di opportunità attraverso la mappatura di oltre 14 milioni di metri quadrati di parcheggi interni. Uno scenario futuro con una drastica riduzione dei veicoli può servire ad accompagnare un cambiamento verso un modelli economici sostenibili e sani.
I DETTAGLI DEL PROGETTO CATALANO
Al progetto partecipa lo studio di architettura 300.000 Km/s, specializzato in analisi di dati urbani. Quali sono le ragioni che l’hanno portata a selezionarlo?
Conosco da anni lo studio di architetti e urbanisti 300.000 Km/s, diretto da Mar Santamaría e Pablo Martínez. Nel 2013, nell’ambito della curatela della mostra Big Bang Data per il CCCB, cercavo studi di architettura che fossero in grado di analizzare la città a partire da dati massivi generati dagli utenti. Ho scoperto così che il team di 300.000 km/s stava iniziando a realizzare studi in questa direzione e li ho invitati a presentare il loro primo lavoro atNight, una serie di cartografie inedite di Barcellona basate su dati comunali aperti e dati geo-sociali (Twitter, Instagram, Google Local e Flickr), a quel tempo, totalmente innovative. Quando ho pensato alla radicale e urgente necessità di studiare l’aria della città per creare cartografie che mostrassero ai cittadini gli impatti dell’inquinamento atmosferico, che individuassero le vulnerabilità e indicassero scenari di opportunità per la progettazione di nuove politiche di pianificazione pubblica, mi è stato chiaro che sarebbe stato possibile solo invitando 300.000Km/s.
Com’è stato strutturato il lavoro di ricerca?
Ancora oggi la pianificazione urbanistica si basa sulle informazioni cartografiche tradizionali (topografia, trama, divisione, utilizzo) e sulle statistiche comunali (reddito, età, ecc.). Queste pratiche consolidate da lungo tempo sono inadeguate a consentire l’interazione con i cittadini. Lo studio della città da una diversità di dati massivi è uno strumento inestimabile per l’empowerment dei cittadini, che permette alle persone di prendere decisioni collettive sulle città intangibili che abitiamo giorno e notte. La nostra è la prima ricerca urbanistica che ha cercato e sviluppato una collaborazione sia con le banche dati di gruppi scientifici leader nello studio dell’impatto dell’inquinamento atmosferico sulle città ‒ CALIOPE -Urban del Centro di Supercomputing di Barcellona, IDAEA CSIC, Lobelia, ISGlobal, Agenzia di Salute Pubblica di Barcellona, tra gli altri ‒ sia sulla salute dei loro abitanti. A questi dati che ci hanno fornito abbiamo aggiunto dati aperti disponibili come l’età e il reddito della popolazione, la densità di costruzione, la qualità delle abitazioni…
Cosa è emerso in questo processo?
Il progetto evidenzia anche la necessità per gli urbanisti di oggi di conoscere e lavorare con gli strumenti del XXI secolo: l’analisi di grandi quantità di dati per lo sviluppo di proposte urbanistiche che devono rispondere a realtà sempre più complesse delle città. L’incrocio dei dati converge in una cartografia senza precedenti di straordinaria portata, che scopre vulnerabilità e opportunità per proposte utili alla riorganizzazione degli usi per città più sane. Il progetto difende anche la necessità di dati aperti. Le città, in quanto grandi produttori di dati di massa, devono difendere la sovranità di questi dati per metterli al servizio del bene comune. Per questo chiediamo una revisione del concetto di “smart city” in cui l’uso della tecnologia non sia “la soluzione”, ma sia al servizio del costante rinnovamento del patto sociale: non per sostituirlo.
IN ATTESA DELLA BIENNALE DI ARCHITETTURA
Cosa può anticiparci in merito al progetto che sarà presentato il prossimo anno a Venezia?
Anche se non posso ancora rivelare molti dettagli affinché i visitatori possano avere una reale sorpresa, posso segnalare che la proposta installativa che ho progettato intende il contesto della Biennale come il luogo ideale per presentare contenuti da vivere come “esperienza” e lasciare l’ “interpretazione” di ciò che viene esposto ad altri formati, come la pubblicazione o le conferenze. Per far sì che il visitatore sia immerso nell’esperienza radicale dell’inquinamento dell’aria nelle città, ho progettato un’installazione multimediale che sviluppa tre dei suoi aspetti: la sua materialità, la sua apparente invisibilità e il suo impatto sulle nostre città.
La componente più sensoriale dello spazio espositivo sarà un’”aria” (nel senso della composizione musicale italiana), un progetto artistico molto speciale per il quale ho invitato la cantante e compositrice Maria Arnal.
Quale ritiene possa essere il messaggio di questo percorso di ricerca, sia dal punto di vista della singola esperienza vissuta dai visitatori, sia sul fronte delle possibili azioni intraprese dalle amministrazioni pubbliche nell’interesse collettivo?
1.Il progetto AIR pone radicalmente la salute al centro della pianificazione urbana. La qualità dell’aria nelle città è il grande indicatore del livello di salute degli abitanti. Le misure attuali per migliorare la qualità dell’aria nelle città non sono sufficienti. Il progetto propone una metodologia innovativa per agire sulla città. Questa metodologia si basa sull’analisi di dati di massa, Big Data, ed è estrapolabile ad altre città.
2.È in gioco la negoziazione dello spazio pubblico in città. Questa volta le carte non sono a favore della mobilità dei veicoli a combustibile fossile, questa volta, finalmente, sono a favore della salute. È la nostra sopravvivenza. Il virus sta trasformando le città in laboratori per il cambiamento di cui abbiamo bisogno.
3.Lo spazio pubblico è ciò che ci rende cittadini. La qualità di questo spazio pubblico deve essere il risultato della partecipazione dei cittadini e di esperti urbanisti e architetti, in collaborazione con altri professionisti che studiano le città. Siamo tutti agenti del cambiamento nelle città. Ci auguriamo che si generi una rinnovata sovranità dello spazio pubblico per gestire la necessaria trasformazione che porti alla transizione ecologica. In questo modo si affronterà la crisi climatica, sanitaria, sociale ed economica. Il futuro è oggi. Un regalo che non smette di dare la massima priorità alla salute e che mette la vita al centro delle decisioni sulla città.
4.Nonostante le misure adottate prima del Covid e dopo il Covid, molte città non riescono ancora a rispettare i livelli minimi di inquinamento atmosferico stabiliti dall’OMS e dalla UE. Data la mancanza di coraggio politico da parte di tutti i partiti, è più che mai necessario che studi come AIR possano entrare nella sfera pubblica per discutere non solo il modello di città, ma anche l’urgenza di applicare le 12 misure
5.Da molti ambiti, architetti e urbanisti sono chiamati a mettere al centro la salute. Il progetto evidenzia la necessità che gli urbanisti di oggi conoscano e lavorino con gli strumenti del XXI secolo: l’analisi di grandi quantità di dati per lo sviluppo di proposte urbanistiche che devono rispondere alle realtà sempre più complesse delle città.
Insomma, i progettisti avranno un ruolo di primo piano…
María Neira, direttrice del Dipartimento di Salute Pubblica e Ambiente dell’OMS, ci dice che “la salute deve essere la priorità degli urbanisti”. Xavier Querol, ricercatore sulla qualità dell’aria presso IDAEA-CSIC, ci ricorda che non dobbiamo cadere nella trappola della scelta tra “inquinamento ed economia“. Gli attivisti dicono che “abbiamo diritto di respirare aria pulita” e che “l’auto privata non è un diritto. La salute lo è”. Anche i filosofi della scienza, come Bruno Latour, ci spingono a riorientare la nostra attenzione. Non si tratta di salvare il nostro pianeta o di esplorarne altri. Il pianeta non è nostro. La protezione dell’aria come bene comune si collocherebbe in un territorio al di là della lotta destra-sinistra, al di là della lotta globale o locale, al di là dell’idea di progresso dove il consenso dovrebbe venire dalla chiarezza dell’evidenza scientifica: l’aria che respiriamo ci uccide. È un’aria piena di morte. È un’aria piena di antropocene. Un’aria piena di particelle provenienti dai combustibili fossili delle macchine che utilizziamo. Pertanto, è un’aria progettata dall’uomo. Dobbiamo ridisegnare l’aria. Un progetto che mette al centro la salute, la vita. Come architetti e urbanisti abbiamo il compito di contribuire ad affrontare le sfide della crisi del cambiamento climatico, soprattutto a livello locale, nel progettare la città e nel mettere al centro la salute. Dobbiamo rivendicare il nostro diritto di respirare aria pulita.
‒ Valentina Silvestrini
www.llull.cat/monografics/air/catala/index.cfm
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