Architetti d’Italia. Vittorio Mazzucconi, l’innervosente
Promotore dell’utopia in forma architettonica, il troppo spesso dimenticato Vittorio Mazzucconi è il protagonista del nuovo episodio della serie di Luigi Prestinenza Puglisi.
Era il 1986 e di Vittorio Mazzucconi disconoscevo l’esistenza. Nonostante il fatto che Bruno Zevi avesse pubblicato alcune sue opere ne L’Architettura. Cronache e storia. Ma negli Anni Ottanta i giovani architetti della mia generazione la leggevano poco. Preferivano Domus, Casabella, Lotus, riviste che si occupavano di tutt’altre tendenze e questioni.
Mi incuriosì una sua opera che trovai in una guida all’architettura moderna di Parigi. Si trattava di un palazzo per uffici al 22 di avenue Matignon, realizzato tra il 1972 e il 1976. “Chi è questo Mazzucconi?” Mi chiesi. Andai attratto dalla foto dell’insolito prospetto: un curtain wall con incastrato un frammentato lacerto di facciata in pietra. E poi, sui vetri, erano tracciate alcune linee che facevano pensare a un disegno: avrebbero potuto essere segni di una pianta o notazioni simboliche appena accennate.
Se il prospetto, nonostante il suo carattere insolito, si relazionava poeticamente con il contesto urbano, e cioè le facciate ritmate degli edifici parigini, l’interno si muoveva su un altro registro: della libertà e della fluidità dello spazio. Con dettagli che vagamente ricordavano il magistero di Scarpa, ma senza quel copia e incolla che ammorbava buona parte della produzione degli scarpiani. L’edificio, passato praticamente sotto silenzio in Italia (con l’eccezione, come dicevamo, de L’Architettura di Zevi), aveva avuto una discreta fortuna in Francia tanto da garantire a Mazzucconi, nonostante non avesse conseguito la laurea in architettura, il permesso di esercitare in terra francese.
Con il tempo ho scoperto qualcosa di più della vita di questo architetto e pittore, che vanta tre o quattro realizzazioni di estremo interesse e alcuni progetti utopici talmente innervosenti da essere meritevoli di attenta riflessione e appassionata discussione.
CHI È VITTORIO MAZZUCCONI
È nato a Grosseto nel 1928 sotto il segno dei Gemelli. La sua formazione avviene tra la Lombardia e la Toscana. A Milano frequenta il Politecnico, senza successo. Il clima pedante non si addice al suo carattere sognatore e utopista. Si consola pensando che i grandi architetti ‒ da Frank Lloyd Wright a Le Corbusier da Mies van der Rohe a Carlo Scarpa ‒ non erano laureati. Opta per l’apprendistato con l’ingegnere Carlo Bruno Negri, allievo di Giovanni Muzio che, come lui stesso ricorda, gli insegnò a disegnare e a “costruire tenendo sempre i piedi ben aderenti alla realtà, ma amando e seguendo sempre il bello e il vero”. Dalla scuola di Muzio Mazzucconi impara il gusto a mettere insieme sollecitazioni stilistiche diverse, mescolando repertori formali appartenenti al passato e al presente. Mi piace però pensare che la sua formazione abbia avuto come altro polo Firenze. Dove proprio in quegli anni si era generato un clima culturale estremamente vivace che cercava di attualizzare l’utopia. Parlo di Giovanni Michelucci, di Leonardo Ricci, di Leonardo Savioli e di un outsider Vittorio Giorgini, con il quale Vittorio Mazzucconi ebbe incontri e diverbi estremamente fertili. Ateo dichiarato il primo, spirito mistico il secondo. Un altro frequentatore e animatore del clima fiorentino, il critico Giovanni Klaus Koenig, fu tra coloro che di Mazzucconi capirono l’importanza, scrivendo su di lui pagine estremamente convincenti.
Seguono i viaggi e i soggiorni all’estero: in Svizzera (1956), in Francia (1958-61), in Inghilterra (1961-62), in Svezia (1962-66), dove Mazzucconi prova a stabilirsi. Torna però a Milano per mettere su un proprio studio e realizzare alcuni condomini residenziali. Obiettivo è l’utopia, il sogno. E difatti nel 1967 pubblica per la Hoepli un libro, La Città a immagine e somiglianza dell’Uomo, dove i temi affrontati travalicano la semplice pratica professionale. Nuovo viaggio, questa volta in America, a Cambridge, dove lavora con il TAC di Walter Gropius. Il collettivo realizzato sul modello Bauhaus non fa per lui. Ritorna a Milano. Nel 1970 apre la Fornace degli Angeli: “nel segreto e nel silenzio di questo luogo sono trascorsi più di venti anni di creatività, di meditazione, e anche di operosa compagnia”.
I PROGETTI FRANCESI DI MAZZUCCONI
Nel 1972 arriva la grande occasione: l’incarico per avenue Matignon. Il progetto, importante per il luogo in cui è ubicato, lo è anche per il committente: la J. Walter Thompson, una delle agenzie di comunicazione internazionalmente più conosciute. Seguono altre realizzazioni tra le quali un villaggio nel Lioran (1977-78), un complesso per sport invernali sul cratere del vulcano del Cantal. Spicca l’edificio l’Arca delle nevi, un tema interessante per il suo simbolismo. L’idea che l’architettura sia un grande e accogliente involucro nel quale rifugiarsi lo intriga e lo affascina, tanto che nei suoi progetti successivi ci sarà sempre posto per edifici a forma di Arca. Occorre, infatti, pensare a un modo di vita diverso. Nella natura e all’interno della metropoli. Da qui le proposte per i grandi concorsi parigini: tutte senza esito. La visione utopica di Mazzucconi inquieta e spaventa perché mette in discussione il modo consueto di vivere e di abitare e perché è sin troppo carica di rimandi metafisici, dai quali invece l’architettura di quegli anni sta cercando di sfuggire o comunque cerca di declinare in forme diverse. È interessante in proposito confrontare il progetto di Mazzucconi per la Tête Défense di Parigi, una U asimmetrica che si apre verso l’alto, con quello vincitore di Johann Otto von Spreckelsen, che è, invece, esattamente al contrario, una U chiusa, come se fosse un enorme arco monumentale.
L’ultima grande occasione che si offre in Francia a Mazzucconi è il complesso residenziale nel XIII arrondissement di Parigi. Sono abitazioni che mettono in discussione la banalità dell’edilizia popolare. Strani organismi dove convivono forme del passato e schemi spaziali avveniristici, dove l’architettura nasce dal montaggio di pezzi differenti. Un palinsesto di segni, un po’ come era successo con l’edificio per uffici ad avenue Matignon ma portato alle estreme conseguenze. C’è sicuramente il gusto per l’architettura di pietra, il tema della memoria, l’attenzione per l’architettura della città, il pastiche stilistico. Vengono alla mente i lavori che negli stessi anni producono i fratelli Krier, Hans Hollein, James Stirling.
E, difatti, a quest’ultimo si richiama Bruno Zevi in uno scritto del 1989: “Per sensibilità e maturità di ricerca, il talento di Vittorio Mazzucconi è affine a quello di James Stirling, uno dei più originali e inventivi storicisti”. Conoscendo le passioni e le preferenze di Zevi, è solo un mezzo complimento. Che nasconde la perplessità del critico davanti a un lavoro innovativo e sicuramente superiore rispetto alle opere in quegli anni di moda e però sin troppo saturo di riferimenti al passato. Insomma in odore di postmodernismo.
MAZZUCCONI, L’OUTSIDER
Tuttavia, come nota Koenig, Mazzucconi, se lo si guarda con attenzione e senza farsi prendere da somiglianze in fondo superficiali, non è postmodernista nel senso deteriore del termine. Anzi, come avviene per i bravi architetti, non si sa dove collocarlo né si capisce da dove nasca. Per sgombrare ogni equivoco: è l’autore di un’architettura “senza padri putativi palesi”.
Un outsider, abilissimo nell’organizzare composizioni dissonanti, da apprezzare in termini musicali. Anche se sarebbe un errore rubricarlo come un formalista. Dimenticando la vasta produzione utopica e i rapporti che ci sono tra questa e la sua produzione professionale. Mazzucconi non persegue il semplice compiacimento estetico e ha sempre come obiettivo la trasformazione del modo di vivere la città. Tra i tanti progetti urbani che propone, forse il più impegnativo è quello per il centro di Firenze. Dove interviene pesantemente per ritrovare le tracce etrusche della città, metterle in relazione con quelle esistenti, pre e post rinascimentali, inserendole in un disegno moderno fatto di rimandi tra le parti, anche utilizzando la virtualità della riflessione delle superfici specchiate. Un piano irrealizzabile in un Paese dove non sembrano esserci altre strade oltre il dov’era e com’era e che, debbo dire, è talmente radicale e coraggioso da suscitare perplessità anche a chi, come il sottoscritto, è critico nei confronti della conservazione a tutti i costi. Un progetto, appunto, come accennavo in apertura, innervosente. Ma che proprio per essere tale ci fa pensare che, oltre ai consueti, esistono altri scenari possibili. Che la città, trasformatasi in un presepe come la abbiamo ridotta, ha perso in vitalità e in interesse, e quindi il senso vero della sua storia.
Si tratta però di muoversi lungo un crinale estremamente pericoloso. Dopo la stagione dei progetti in Francia, Mazzucconi realizza alcuni interventi in Grecia, tra questi il complesso La nuova Agorà ad Atene, destinato a uffici e centro commerciale. Anche in questo caso l’obiettivo è realizzare un palinsesto storico dove le diverse forme dell’architettura si pongano come stratificazioni della memoria. La composizione appare più stanca. I giochi visuali attraverso i quali si intravedono le ricostruzioni degli antichi templi corrono il rischio di diventare visioni irreali e vacillare.
Qualsiasi sia il giudizio che si voglia dare della sua produzione, è tuttavia indiscutibile il talento di Mazzucconi, la sua capacità di destrutturare e ristrutturare. E non si capisce per quale strano motivo, lui che era tra i più talentosi della propria generazione, non sia ricordato e citato che da pochi estimatori. Mazzucconi, nel frattempo, ha capito che l’architettura richiede tempi troppo lunghi per cambiare il nostro modo di vivere. Ha lasciato la professione, è tornato alla pittura e ha costituito una fondazione che si cura del benessere dell’anima. Organizza seminari e scrive libri. L’uomo nuovo forse è più facile pensarlo attraverso la virtualità del pensiero e dell’arte piuttosto che lo spazio concreto della città e dei suoi edifici.
‒ Luigi Prestinenza Puglisi
LE PUNTATE PRECEDENTI
Architetti d’Italia #1 – Renzo Piano
Architetti d’Italia #2 – Massimiliano Fuksas
Architetti d’Italia #3 – Stefano Boeri
Architetti d’Italia #4 – Marco Casamonti
Architetti d’Italia #5 – Cino Zucchi
Architetti d’Italia#6 – Maria Giuseppina Grasso Cannizzo
Architetti d’Italia#7 – Adolfo Natalini
Architetti d’Italia#8 – Benedetta Tagliabue
Architetti d’Italia#9 – Michele De Lucchi
Architetti d’Italia#10 – Vittorio Gregotti
Architetti d’Italia#11 – Paolo Portoghesi
Architetti d’Italia#12 – Mario Cucinella
Architetti d’Italia #13 ‒ Mario Bellini
Architetti d’Italia #14 ‒ Franco Purini
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