Per una nuova poetica spaziale. Intervista a Deferrari+Modesti
Unico studio di architettura italiano a essere stato selezionato nella categoria “Emerging interior designer of the year”, nell’ambito dei “Dezeen Awards 2020”, Deferrari+Modesti si racconta in questa intervista. Ammettendo, nel decennale della sua fondazione, di volersi porre a “metà strada tra architetti e artigiani”.
Gli architetti Lavinia Modesti e Javier Deferrari sono i fondatori dello studio fiorentino che porta il loro nome, attivo da dieci anni nella costante ricerca di nuove soluzioni spaziali. Lui, da Buenos Aires, e lei, da Pisa, vivono varie esperienze di lavoro sia in Italia che all’estero prima di incontrarsi nello stesso studio milanese. A unirli è la voglia di cominciare un percorso insieme e costruire una poetica dello spazio che metta a proprio agio le persone attraverso un uso architettonico dei materiali, dei colori e della luce.
INTERVISTA A DEFERRARI+MODESTI
Come è nata l’idea di volersi mettere in proprio?
Lavinia Modesti: Sentivamo entrambi la voglia di cambiare città e il bisogno di cominciare un nostro percorso. All’inizio non sapevamo bene su quale città europea puntare; poi abbiamo scelto Firenze e qui abbiamo voluto cominciare quest’avventura insieme. Venivamo dall’esperienza milanese nella quale ci eravamo quasi abituati a una qualità progettuale abbastanza diffusa; Firenze risultava ancora una “città vittima del turismo”. Ci davano dei matti perché era un momento molto difficile e incerto, dopo la crisi del 2008, ma ci siamo lanciati: è stata una bella avventura, che dura tuttora!
Javier Deferrari: Io, in particolare, uscivo da un momento strano perché ero rimasto molto deluso da un sistema di gestione dei grandi progetti “malato”. E quindi a Firenze siamo arrivati con questo manifesto: “L’architettura è morta”. Una provocazione ovviamente, ma avevamo l’innocente ambizione di voler lasciare un segno: svecchiare la realtà portando il contemporaneo, fare ciò che a Firenze ancora non c’era.
E ci siete riusciti?
Javier Deferrari: Sarebbe presuntuoso rispondere di sì, ma posso dirti che in questi dieci anni abbiamo fatto tanta esperienza. Provenivamo entrambi da studi importanti e lavoravamo su grandi progetti a scala urbana o territoriale. Arrivando a Firenze tutta quella esperienza, molto appagante, si è trasformata nella ricerca di una dimensione che fosse più nostra. Siamo partiti dal cercare di capire cosa era il nostro studio e un po’ da autodidatti abbiamo lavorato molto sull’interior design, riportando sempre la nostra ricerca a una dimensione architettonica.
Lavinia Modesti: Sì, abbiamo sempre cercato di sviluppare in maniera architettonica, quindi spaziale e non decorativa, ogni ambiente che dovevamo progettare. Il nostro costante impegno è stato rivolto alla cura di ogni dettaglio del progetto. Grazie a dieci anni di ricerca sui materiali, oggi abbiamo tanta esperienza.
COME RICONOSCERE I PROGETTI DI DEFERRARI+MODESTI
L’identità dei vostri progetti risiede proprio nella composizione tra diverse texture, materiali, colori e l’elemento principale rimane sempre lo spazio…
Lavinia Modesti: Come dicevo prima, non è mai la ricerca di un linguaggio decorativo, ma tenta di essere sempre una ricerca spaziale, architettonica, sempre legata alle preesistenze. Studiamo molto i materiali con l’obiettivo di creare un nuovo concetto spaziale. Ad esempio nel progetto della libreria BRAC, vi è una corte che collega due interni e la sua copertura fa da liaison tra questi due spazi. Lavorando semplicemente con il tessuto e i colori, abbiamo trasformato la corte quasi in un nuovo interno, portando quindi una nuova idea spaziale. Nel ristorante “La Petite”, invece, vi era la necessità di catturare l’attenzione dei passanti e connotare uno spazio che si presentava molto stretto e cupo. Abbiamo deciso così di lavorare su una scultura parietale che potesse diventare il punto focale del locale, in pietra chiara, studiandone i chiaroscuri e sempre in continuo scambio con artigiani e aziende locali. La ricerca dei materiali e del colore, per noi, serve a creare un nuovo concetto spaziale e se non c’è una materiale, ce lo inventiamo!
Javier Deferrari: Effettivamente sono dieci anni di progetti e dieci anni di ricerca e sviluppo ormai, una ricerca sui materiali che non finisce mai. Per diversi anni abbiamo anche collaborato con il PALP di Pontedera, curandone gli allestimenti e la comunicazione grafica. Lavorare con e per il mondo dell’arte ci ha offerto l’occasione di raccontare ogni volta una storia diversa, anche solo operando sul colore.
Il mondo dell’impresa in Italia ha una lunga tradizione di collaborazioni con il mondo dell’architettura e ciò ha permesso, negli anni, di sperimentare e sviluppare idee innovative che poi hanno segnato la storia del progetto. Vi riconoscete in questa tradizione?
Javier Deferrari: In Italia c’è un mondo dell’artigianato straordinario, invidiato in tutto il globo: quando vado dal falegname, vorrei rimanere e lavorare il legno insieme a loro. In cantiere, quando vedo gli operai, vorrei tirarmi su le maniche e mettermi a lavorare con loro, e dal fabbro, poi, rimango sempre affascinato. Noi vorremmo essere a metà strada tra architetti e artigiani. Infatti il nostro studio è sempre pieno di materiali, alle volte sembra un magazzino! Se io potessi, realizzerei interamente i nostri progetti con le mani e questo è il nostro modo di vivere l’architettura: con passione, con dedizione, con voglia. I materiali, le texture, i colori concorrono a costruire quelle sensazioni che vogliamo il visitatore abbia negli spazi che progettiamo. Ecco perché la ricerca del materiale è strettamente collegata con la sensazione che vogliamo dare: noi siamo affascinati dal mondo dell’impresa, del know-how italiano. In Argentina, il mio Paese di origine, abbiamo una storia diversa da quella italiana, manca la grande tradizione ma certamente è presente una forte componente contemporanea attenta alla ricca varietà di materiali locali.
Tra gli ultimi progetti vi è la collaborazione proprio con un’azienda per la quale avete realizzato uno show-room “sorprendente”. Dove nasce l’idea di realizzare una wunderkammer?
Lavinia Modesti: Ogni progetto dipende molto dalla sinergia che riusciamo a creare con il committente. Non c’è mai nulla di imposto, ma affrontiamo sempre un dialogo aperto e onesto con il cliente. In questo caso era proprio Targetti che cercava qualcosa di sorprendente. C’era bisogno di raccontare un’azienda, capirne il passato e le prospettive future. Quando siamo arrivati, lo spazio era un magazzino che raccoglieva tante cose accumulate negli anni: lampade, strumentazioni, tanti oggetti che creavano già da loro un’atmosfera. Sembrava una soffitta del nonno. Un posto quasi magico che doveva in qualche modo mantenere questa sua magia e offrire modo all’azienda di mettersi in mostra. Ogni elemento di questo show-room doveva raccontare un pezzo di Targetti, con volumi sempre diversi per caratteristiche ma che dialogano tra loro grazie a un uso sapiente della luce.
LA COLLABORAZIONE CON ENZO MARI
Siamo alla vigilia di una grande retrospettiva che Triennale sta per dedicare a Enzo Mari, maestro del design italiano, con il quale tu, Lavinia, hai collaborato. Cosa ti porti dietro da quella esperienza?
Lavinia Modesti: Il rigore! La solennità dell’atto progettuale! Enzo Mari è stato un mio grande maestro: mi ha insegnato il rispetto per i materiali, l’importanza data a ogni dettaglio, il concepire l’atto creativo come un gesto pieno di responsabilità. Per Mari lo studio era la sua stessa vita. In verità, poi, le nostre soluzioni progettuali sono distanti da quelle di Mari perché non abbiamo di certo aperto un nostro studio per “scimmiottare” ciò che è già stato fatto. Ma cerchiamo di operare nella stessa dimensione etica e con lo stesso senso di responsabilità.
Nonostante le difficoltà del periodo, l’Italia si sta rimettendo in moto dopo mesi di stallo. Quali sono i progetti sui quali state lavorando?
Javier Deferrari: Abbiamo molte richieste in ambito residenziale. Sarà stato anche un po’ il periodo di isolamento forzato nelle nostre case, ma stiamo riscontrando una rinnovata attenzione per il tema dell’abitare. Un ambito che richiede tanta responsabilità. E poi continuiamo il nostro impegno nell’attività di coordinamento e docenza del corso in “Interior and Furniture Design” dello IED. Ragionare su un triennio di studi, cioè sulle competenze che gli studenti dovranno avere una volta completato il ciclo, è un compito, anche questo, di grande responsabilità. Devo dire che, dopo anni, capisco finalmente i miei professori quando dicevano che si impara tanto dagli studenti: effettivamente c’è aria di novità, ci sono nuovi punti di vista, c’è freschezza di idee!
‒ Marco De Donno & Derin Canturk
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