Architetti d’Italia. Francesco Palpacelli, l’azzardato

Il nuovo protagonista della rubrica di Luigi Prestinenza Puglisi è un architetto che non ha avuto timore di sperimentare, sfidando anche l’oblio al quale è stato condannato.

È stato il mio amico Giuliano Fausti a raccontarmi delle serate trascorse nello studio di Franco Palpacelli, in via Giulia. Gestite dalla moglie Gabriella, che pare fosse una cuoca straordinaria, si parlava di architettura, di arte, di letteratura e anche di astronomia. Erano di casa Carlo Scarpa, Alfonso Gatto, Sergio Musmeci, Zenaide Zanini, Toti Scialoja e numerosi altri.
Francesco Palpacelli, come altri architetti della sua generazione, aveva una cultura vasta e onnicomprensiva, se non bulimica. Divorava ogni genere di testi per soddisfare le proprie curiosità letterarie e scientifiche. Amava la tecnologia e la botanica. Conosceva e frequentava gli artisti che operavano in quel momento magico per la cultura della Capitale. Era un appassionato di automobili, per una delle quali spese una fortuna. D’altra parte negli Anni Cinquanta e Sessanta il mondo era veloce come la sua Zagato Flaminia e sembrava voler cambiare alla velocità della luce, perché erano stati messi in crisi i suoi stessi fondamenti.
Non essere curiosi per un intellettuale ‒ e gli architetti ancora si sentivano tali ‒ era un crimine. Palpacelli era un progettista di immenso talento. Tra i quattro o cinque che anticiparono gli Anni Novanta, ma che ebbero il torto di arrivare troppo presto e quindi di essere dimenticati. Parlo di Luigi Pellegrin, Maurizio Sacripanti, Sergio Musmeci e Giuseppe Perugini.

LA STORIA DI FRANCESCO PALPACELLI

Nasce a Fiuggi il 21 gennaio del 1925 sotto il segno dell’Acquario da una famiglia della piccola borghesia trasferitasi a Roma: il padre insegnante e la madre casalinga. Nel 1945, appena terminata la guerra, consegue la maturità presso l’Accademia delle Belle Arti di via Ripetta e comincia a lavorare al Ministero dell’agricoltura e foreste per non pesare sulla famiglia. Si laurea tardi, nel 1955, a trenta anni. Nel 1957 vince il concorso per l’insegnamento nelle scuole superiori, una attività che gli permette di avere tempo libero per fare l’architetto. È un tale talento che Adalberto Libera, con il quale Palpacelli si laurea, senza esitare lo chiama come assistente volontario. Giuseppe Vaccaro, che assiste alla discussione della tesi, gli propone di lavorare con lui. Palpacelli afferra al volo l’opportunità diventandone per 15 anni uno dei più stretti collaboratori. È impegnato nei progetti per il quartiere di Ponte Mammolo a Roma, nel quartiere Barca e nella chiesa di San Giovanni Bosco a Bologna, in un aeroporto in Iran e per l’Asse Attrezzato di Roma con una proposta caratterizzata da una piastra, edifici scalettati e grattacieli triangolari. Dopo la morte di Vaccaro, sarà lui a completare l’edificio della Cassa di Risparmio in prossimità di piazza Cavour a Roma. Un edificio di grande interesse per la scelta di utilizzare profilati in ferro e tamponature in pannelli di calcestruzzo prefabbricati che, se pur ricorda l’edificio della Rinascente di Piazza Fiume di Franco Albini e Franca Helg, evidenzia le inquietudini espressioniste se non michelangiolesche che caratterizzeranno le opere successive.

Nello studio di Vaccaro, Palpacelli incontra Sergio Musmeci. Ne nasce una duratura amicizia e una importante collaborazione professionale. Che porta alla realizzazione di opere spazialmente avvincenti e di grande interesse strutturale. Palpalcelli è attratto dalla lucida follia strutturale di Musmeci e questi dalla intuizione formale del primo. “Franco”  ‒ gli dirà ‒”le tue architetture sono già risolte in termini strutturali”. Palpacelli, che dopo l’esperienza con Adalberto Libera e una breve tappa da Ludovico Quaroni, si era allontanato dall’università, collabora, inoltre, dal 1970 al 1977 con lui al corso di Ponti e grandi strutture. I due sono tenuti a debita distanza dall’accademia, isolati e senza ruolo all’interno di un’isola felice frequentata da pochi e appassionati studenti.
Il capolavoro che entrambi progettano risale a circa quindici anni prima: è l’insuperabile proposta per il concorso per il teatro dannunziano a Pescara del 1956.  Una grande ciotola inclinata, strutturalmente arditissima, che mette i circa 3000 spettatori del teatro in una posizione unica per osservare gli spettacoli teatrali immersi nel paesaggio circostante. Un capolavoro inarrivabile di leggerezza, di equilibrio e di sensibilità ambientale ed ecologica. Insomma: di poesia architettonica.
Con Musmeci, Palpacelli progetta il nuovo teatro civico Politeama ad Alessandria (1958), partecipa al concorso per il teatro comunale di Cagliari (1964) e mette a punto altre opere, dando sostanza a idee innovative e configurazioni plastiche avvolgenti, inquietanti e azzardate. In linea con quanto negli stessi anni producevano i progettisti in bilico tra informale ed espressionismo strutturale. Da Frederick Kiesler a Eero Saarinen e sempre con un occhio rivolo all’eredità di Erich Mendelsohn e Hans Scharoun. A determinarne il fascino è la scelta strategica di muoversi nella zona sottile di confine tra l’ordine sicuro della matematica e l’inquietudine del disordine e del caos. Quel caos con il quale la scienza si confronta nel momento in cui vuole liberarsi dalle certezze e dalle sorpassate consuetudini per sondare spazi affascinanti e insondati. Inutile dire che Bruno Zevi, che, per usare un eufemismo, pochissimo amava Pier Luigi Nervi e apprezzava con cautela Riccardo Morandi, per l’approccio sin troppo ordinato alla struttura della forma, supporta Palpacelli e Musmeci con entusiasmo dedicando loro ampio spazio nella rivista L’Architettura. Cronache e storia.
Nel 1959 inizia l’avventura di Palpacelli con l’acqua. Vince il concorso bandito dall’ACEA per il centro idrico in via della Bufalotta a Roma. Dovrebbe essere una semplice struttura utilitaria per il rifornimento idrico alla Capitale. Palpacelli la trasforma in un monumento di Land Art, un segno che, con la sua potenza di immagine, individua e qualifica il territorio. Carlo Scarpa, in visita, esclama: “Queste sono le cattedrali del futuro”.

Francesco Palpacelli, Centro Idrico EUR, Roma, 1985 89. A sx sullo sfondo, la Torre Telecom. Photo Leonardo Morosini CC BY SA 4.0

Francesco Palpacelli, Centro Idrico EUR, Roma, 1985 89. A sx sullo sfondo, la Torre Telecom. Photo Leonardo Morosini CC BY SA 4.0

VERSO IL CENTRO IDRICO IN VIA DI VIGNA MURATA

Sempre del 1959 è il progetto per il centro idrico dell’Aurelio. È un puro segno cilindrico, un oggetto di design a grande scala, un oggetto metallico che la luce naturale esalta. Forse troppo ambizioso e astratto per essere compreso dalla committenza romana, per nulla incline alle novità. Altro progetto che rimane sulla carta è il centro idrico in zona Eur del 1961. Un serbatoio trilobato che ricorda le forme organiche che lo appassionano. Ottiene solo il quarto premio al concorso. Tutte queste esperienze consentono a Palpacelli una perfetta conoscenza del tema che sfocerà in un capolavoro: il centro idrico in via di Vigna Murata a Roma. Lo impegnerà dal 1973, anno dell’incarico, al 1989, anno del completamento. Nota acutamente lo storico Giorgio Muratore che se l’opera fosse stata realizzata sulle colline di Hong Kong o lungo il porto di Shangai, all’imbocco della baia di Sidney o quella di San Diego “si sarebbe gridato al miracolo, le riviste di mezzo mondo avrebbero mandato i loro migliori fotografi con tanto di banco ottico e quel progetto sarebbe stato salutato come un evento, sarebbe entrato nei circuiti mediatici dei fenomeni di moda…”. Purtroppo Palpacelli questo splendido oggetto lo ha realizzato, conclude Muratore, a Roma di fronte a un istituto agrario in mezzo alle lattughe, ai carciofi e alle romanesche “palazze” delle cooperative laurentine.
Opera di grande impatto, il centro idrico si discosta dalle poetiche espressioniste, high tech e futuriste, alle quali pur tuttavia allude. È una architettura non riducibile alla semplice plasticità di una scultura, a partire dal fatto che è un dispositivo spaziale organizzato per attirare i visitatori al suo interno, raccontando l’esperienza del sollevamento e della caduta dell’acqua e producendo una vista del paesaggio che ruota intorno.

Francesco Palpacelli, Centro Idrico EUR, Roma, 1985 89. Photo Gaux CC BY SA 4.0

Francesco Palpacelli, Centro Idrico EUR, Roma, 1985 89. Photo Gaux CC BY SA 4.0

INQUIETUDINI E TALENTO DI PALPACELLI

Franco Palpacelli muore a Roma il 15 novembre del 1999, a seguito di una caduta durante un sopralluogo in un cantiere. Dei molti progetti da lui immaginati se ne sono realizzati pochi. Gli altri sono rimasti sulla carta, compresa la nuova sistemazione della Camera dei deputati a Roma, sicuramente tra i migliori progetti presentati al concorso del 1967. Anche lui come Sergio Musmeci, Luigi Pellegrin, Maurizio Sacripanti, Giuseppe Perugini e altri protagonisti dell’architettura romana, è rapidamente dimenticato. Sembrerebbe un paradosso, uno scherzo del destino. Infatti è proprio negli Anni Novanta che prima l’architettura internazionale e poi quella italiana riscoprono il fascino delle ricerche che tanto lo avevano entusiasmato. Ma spesso il destino dell’architettura è re-inventare il passato cancellandone allo stesso tempo la memoria. A essere ricordati sono invece coloro, non necessariamente i migliori, che meglio hanno gestito gli strumenti della comunicazione. Palpacelli, al pari degli altri protagonisti prima ricordati, mancava di questa abilità. E, poi, aveva probabilmente cavalcato il cavallo sbagliato e cioè Bruno Zevi, mentre negli Anni Ottanta impazzavano tendenze postmoderniste e storiciste, gestite dalla macchina da guerra della pubblicistica milanese e veneziana e benedette a Roma da Paolo Portoghesi e dall’accademia del disegno, che vedevano con sospetto ogni sperimentalismo che si allontanava dalla tradizione disciplinare. Riscoprire Franco Palpacelli è quindi più che rivalutare un personaggio di straordinario talento, è contribuire a riscrivere un intero capitolo della storia dell’architettura del nostro Paese.

Luigi Prestinenza Puglisi

LE PUNTATE PRECEDENTI

Architetti d’Italia #1 – Renzo Piano
Architetti d’Italia #2 – Massimiliano Fuksas
Architetti d’Italia #3 – Stefano Boeri
Architetti d’Italia #4 – Marco Casamonti
Architetti d’Italia #5 – Cino Zucchi
Architetti d’Italia#6 – Maria Giuseppina Grasso Cannizzo
Architetti d’Italia#7 – Adolfo Natalini
Architetti d’Italia#8 – Benedetta Tagliabue
Architetti d’Italia#9 – Michele De Lucchi
Architetti d’Italia#10 – Vittorio Gregotti
Architetti d’Italia#11 – Paolo Portoghesi
Architetti d’Italia#12 – Mario Cucinella
Architetti d’Italia #13 ‒ Mario Bellini
Architetti d’Italia #14 ‒ Franco Purini
Architetti d’Italia #15 ‒ Italo Rota
Architetti d’Italia #16 ‒ Franco Zagari
Architetti d’Italia #17 ‒ Guendalina Salimei
Architetti d’Italia #18 ‒ Guido Canali
Architetti d’Italia #19 ‒ Teresa Sapey
Architetti d’Italia #20 ‒ Gianluca Peluffo
Architetti d’Italia #21 ‒ Alessandro Mendini
Architetti d’Italia #22 ‒ Carlo Ratti
Architetti d’Italia #23 ‒ Umberto Riva
Architetti d’Italia #24 ‒ Massimo Pica Ciamarra
Architetti d’Italia #25 ‒ Francesco Venezia
Architetti d’Italia #26 ‒ Dante Benini
Architetti d’Italia #27 ‒ Sergio Bianchi
Architetti d’Italia #28 ‒ Bruno Zevi
Architetti d’Italia #29 ‒ Stefano Pujatti
Architetti d’Italia #30 ‒ Aldo Rossi
Architetti d’Italia #31 ‒ Renato Nicolini
Architetti d’Italia #32 ‒ Luigi Pellegrin
Architetti d’Italia #33 ‒ Studio Nemesi
Architetti d’Italia #34 ‒ Francesco Dal Co
Architetti d’Italia #35 ‒ Marcello Guido
Architetti d’Italia #36 ‒ Manfredo Tafuri
Architetti d’Italia #37 ‒ Aldo Loris Rossi
Architetti d’Italia #38 ‒ Giacomo Leone
Architetti d’Italia #39 ‒ Gae Aulenti
Architetti d’Italia #40 ‒ Andrea Bartoli
Architetti d’Italia#41 ‒ Giancarlo De Carlo
Architetti d’Italia #42 ‒ Leonardo Ricci
Architetti d’Italia #43 ‒ Sergio Musmeci
Architetti d’Italia #44 ‒ Carlo Scarpa
Architetti d’Italia #45 ‒ Alessandro Anselmi
Architetti d’Italia #46 ‒ Orazio La Monaca
Architetti d’Italia #47 ‒ Luigi Moretti
Architetti d’Italia #48 ‒ Ignazio Gardella
Architetti d’Italia #49 ‒ Maurizio Carta
Architetti d’Italia #50 ‒ Gio Ponti
Architetti d’Italia #51 ‒ Vittorio Sgarbi
Architetti d’Italia #52 ‒ Fabrizio Carola
Architetti d’Italia #53 ‒ Edoardo Persico
Architetti d’Italia #54 ‒ Alberto Cecchetto
Architetti d’Italia #55 ‒ Fratelli Castiglioni
Architetti d’Italia #56 ‒ Marcello Piacentini
Architetti d’Italia #57 ‒ Massimo Mariani
Architetti d’Italia #58 – Giuseppe Terragni
Architetti d’Italia #59 – Vittorio Giorgini
Architetti d’Italia #60 – Massimo Cacciari
Architetti d’Italia #61 – Carlo Mollino
Architetti d’Italia #62 – Maurizio Sacripanti
Architetti d’Italia #63 – Ettore Sottsass
Architetti d’Italia #64 – Franco Albini
Architetti d’Italia #65 – Armando Brasini
Architetti d’Italia #66 – Camillo Botticini
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Architetti d’Italia # 68 – Oreste Martelli Castaldi
Architetti d’Italia #69 – Paolo Soleri
Architetti d’Italia #70 – Giovanni Michelucci
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Architetti d’Italia #73 – Venturino Ventura
Architetti d’Italia #74 ‒ Ugo e Amedeo Luccichenti
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Architetti d’Italia #83 – Vittoriano Viganò
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Luigi Prestinenza Puglisi

Luigi Prestinenza Puglisi

Luigi Prestinenza Puglisi (Catania 1956). Critico di architettura. Collabora abitualmente con Edilizia e territorio, The Plan, A10. E’ il direttore scientifico della rivista Compasses (www.compasses.ae) e della rivista on line presS/Tletter. E’ presidente dell’ Associazione Italiana di Architettura e Critica…

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