Giuseppe Perugini e Uga de Plaisant, la coppia dimenticata dell’architettura
Luigi Prestinenza Puglisi ripercorre storia e progetti di Giuseppe Perugini e Uga de Plaisant, interessante coppia di architetti caduta nell’oblio.
Giuseppe Perugini nasce nel 1914 a Buenos Aires. Uga de Plaisant a Roma nel 1917 da una antica famiglia di origine francese. Entrambi si incontrano a Roma nella facoltà di architettura. Giuseppe si laurea nel 1941. Uga si iscrive nel 1937. I due formano una delle coppie più interessanti, e meno ricordate, dell’architettura italiana. Giuseppe Perugini avrebbe voluto fare lo scultore, ma opta per architettura a seguito di un incidente al braccio che per un certo periodo ne compromette la funzionalità. È un uomo concreto e determinato e lo dimostra acquisendo importanti incarichi professionali, l’ordinariato in composizione e, tra il 1962 e il 1966, la presidenza dell’Ordine degli Architetti di Roma. È tra i fondatori dell’APAO, l’associazione per l’architettura organica. È un romantico. Tanto da siglare, nel settembre del 1944, con il motto UGA (Unione Giovani Architetti), esattamente come il nome della compagna, il progetto di concorso per le Fosse Ardeatine, il primo importante lavoro che i due realizzano insieme, in collaborazione con l’altro gruppo classificatosi primo ex aequo: Nello Aprile, Cino Calcaprinam Aldo Cardelli, Mario Fiorentino. Il memoriale, asciutto e essenziale, è unanimemente considerato il capolavoro dell’architettura italiana del dopoguerra. Eppure, insieme alla realizzazione di diverse opere seminali degli Anni Sessanta, non basta a impedire l’oblio critico dei due.
Ricordo ancora che nella seconda metà degli Anni Settanta fare la tesi con relatore Perugini era, tra i giovani impegnati della così detta Tendenza, considerato un ripiego se non un affronto: il personaggio faceva parte degli esclusi. Con Bruno Zevi, considerato poco più che uno squilibrato fissato contro la simmetria, e con Luigi Pellegrini, Maurizio Sacripanti e lo stesso Sergio Musmeci, relegato a insegnare una materia opzionale. Altri reietti: i professionisti, dentro e fuori l’accademia, quali Lucio Passarelli, Manfredi Nicoletti, Pietro Barucci e Piero Sartogo che avevano, agli occhi dei duri e puri dell’architettura disegnata, il torto di condurre una florida attività privata.
Perugini e de Plaisant sono interessati agli sviluppi formali permessi all’architettura dalle nuove tecnologie, soprattutto quelle informatiche. Hanno, al pari dei migliori architetti della loro generazione, la certezza che il mondo va ripensato. Ciò vuol dire che ogni progetto deve ripartire da zero, utilizzando la lezione del passato non per ricopiare forme e modelli, ma per trarre insegnamenti tali da allargare il nostro orizzonte. Un metodo esattamente opposto a quello insegnato negli stessi anni dallo storicismo, dal Neoliberty e dal postmodernismo che, invece, vedono il passato come repertorio di modelli formali da riprendere, da citare e da copiare.
I PROGETTI DI PERUGINI E DE PLAISANT
Credo che non si insisterà mai a sufficienza su questo bivio storico, che vede sconfitti i migliori talenti creativi, da Leonardo Ricci a Giancarlo De Carlo, e che nel 1957 ha come momento culminante le dimissioni di De Carlo dalla rivista Casabella, che il direttore Ernesto Nathan Rogers affida al caporedattore Vittorio Gregotti. La svolta, per capirci, che suscita l’attacco di Reyner Banham e la celebre polemica sulla ritirata italiana dell’architettura moderna.
Ripensare il mondo e, ogni volta, ripartire da zero è certo un’impresa spericolata e temeraria. Destinata a frequenti insuccessi. Intanto perché pubblico e investitori sono poco propensi a rischiare. E poi perché il reinventare ogni volta il mondo comporta inevitabili errori e omissioni nei quali non incappa chi si muove all’interno di modelli consolidati. Perugini e de Plaisant, negli Anni Sessanta e primi Anni Settanta, elaborano progetti che oggi definiremmo spericolati. Tra questi le torri a elica con sale girevoli per il concorso del Centre Pompidou (1971); l’ospedale di Pietralata a Roma del 1967, pensato per mettere l’uomo al centro facendogli girare attorno il sistema della cure gestito con moduli in movimento (sale operatorie, sale parto, laboratori di analisi) su una piastra elettromagnetica; il polo espositivo nella Fortezza da Basso a Firenze (1967) e la Nuova Galleria d’Arte Moderna di Milano (1970) per proporre inconsueti e più autentici modi di porsi rispetto agli oggetti e alle opere d’arte. E, infine, il ponte circolare sullo Stretto di Messina che ancora oggi ci colpisce per la sua originalità. Perugini e de Plaisant sparigliano il gioco: invece di un ponte tradizionale, sia pure geniale come quello celeberrimo di Sergio Musmeci, che ricorre a piloni e a una struttura strallata, ne propongono uno circolare e abitabile. L’anello ospita attività quali ristoranti, bar, negozi nei quali recarsi mentre il ponte stesso gira conducendo gli utenti da una sponda all’altra. La forma chiusa presenta il vantaggio di essere resistente alle forze del vento e ai terremoti. L’opera a malapena è stata presa in considerazione per essere riconsiderata solo in tempi recenti, più attenti alle sperimentazioni delle avanguardie. Un interesse che ha permesso di rivalutare un altro capolavoro: la casa sperimentale di Fregene.
LA CASA SPERIMENTALE DI FREGENE
La villa di vacanza di famiglia alla realizzazione della quale ha partecipato pure il figlio Raynaldo, anch’egli architetto. La casa sperimentale è un organismo in tre corpi di fabbrica all’interno di un lotto di circa 3000 metri quadrati: la casa albero, la sfera e i cubi. Esprime l’idea che l’abitare non si risolve in un’unica formula e che lo spazio può essere articolato in forme tra loro molto diverse. La casa albero segue una logica libera per piani, la sfera lavora sul principio opposto della chiusura del volume e i cubi rispondono a un principio di funzionalità semplice e di matrice ortogonale al quale siamo più abituati.
Delle tre, la casa albero è la più affascinante. Evidenti i richiami alle teorie metaboliste secondo le quali a una struttura permanente corrisponde una sovrastruttura abitativa smontabile ed effimera. E difatti la casa, come ha notato con arguzia Raynaldo Perugini, rassomiglia a un giocattolo di famiglia che può essere montato e smontato, essendo articolato per piastre modulari appoggiate o appese alla struttura. Da qui anche la possibilità di giocare in mille modi con tutte le pareti che non rivestono alcuna funzione portante: possono essere chiuse, bucate parzialmente o totalmente, vi si possono appoggiare contenitori o, addirittura, capsule con i servizi igienici. Essendo appoggiate o sospese, le piastre possono essere sfalsate in altezza e tra piastra e piastra possono essere previsti giunti in cristallo che permettono di guardare sopra e sotto l’abitazione. Sopra per ammirare il cielo. Sotto per godersi la vasca d’acqua che funge da piscina. In omaggio all’estetica brutalista, la casa è in cemento armato a faccia vista. La povertà dei materiali serve a esaltare la ricchezza della forma. Siamo alla fine degli Anni Sessanta e il calcestruzzo non è ancora stato demonizzato, come avverrà più tardi. Al grigio del calcestruzzo si contrappone il color rosso vivo della scala e degli infissi. L’interno della casa è pura architettura. Si respira un’aria De Stijl filtrata attraverso la logica analitica del costruttivismo sovietico.
PERUGINI, DE PLAISANT E L’ARCHITETTURA DELLA RIVOLUZIONE
Perugini e de Plaisant hanno studiato l’architettura della rivoluzione. Perugini ha scritto anche su Michelangelo, Borromini e Loos. I primi due sono stati gli eroi della loro generazione. Senza la riflessione su Michelangelo e Borromini credo, infatti, che poco si capirebbe dell’architettura italiana di quegli anni, soprattutto di quella più sperimentale e formalmente generosa. Di Loos Perugini propone una lettura diversa da quella ingessata che negli stessi anni proponevano le correnti storicità e postmodern. Non tanto come il muratore che parla in latino, quanto come il nemico della futilità e dell’ornamento fine a sé stesso.
Tra le opere importanti del duo vi sono le preture a piazzale Clodio a Roma (in collaborazione con altri, tra i quali Manfredo Nicoletti). Sono tre edifici chiusi e austeri segnati da un sottile taglio di finestre in lunghezza ma che si aprono al mondo esterno assorbendone all’interno i segni: quale la strada pavimentata da sampietrini. Eseguiti alla romana, cioè male e senza rispettarne i vuoti (oltretutto le strutture previste erano sei), gli edifici mancano di luce e sono oggetto di critiche che andrebbero rivolte altrove.
Perugini e de Plaisant realizzano nel corso della loro carriera (Giuseppe muore nel 1995 e Uga nel 2004) numerosi altri progetti, anche a firma separata. Uga si specializza nella realizzazione di palestre, scuole ed edilizia religiosa. Giuseppe è l’autore, tra l’altro, dell’hotel Delta a via Labicana a Roma, un monolite coraggioso quasi di fronte al Colosseo.
Ma in questo profilo li vogliamo ricordare per quanto hanno realizzato insieme. Per promuovere la riscoperta di una coppia tra le più interessanti e innovative dell’architettura italiana del dopoguerra.
‒ Luigi Prestinenza Puglisi
LE PUNTATE PRECEDENTI
Architetti d’Italia #1 – Renzo Piano
Architetti d’Italia #2 – Massimiliano Fuksas
Architetti d’Italia #3 – Stefano Boeri
Architetti d’Italia #4 – Marco Casamonti
Architetti d’Italia #5 – Cino Zucchi
Architetti d’Italia#6 – Maria Giuseppina Grasso Cannizzo
Architetti d’Italia#7 – Adolfo Natalini
Architetti d’Italia#8 – Benedetta Tagliabue
Architetti d’Italia#9 – Michele De Lucchi
Architetti d’Italia#10 – Vittorio Gregotti
Architetti d’Italia#11 – Paolo Portoghesi
Architetti d’Italia#12 – Mario Cucinella
Architetti d’Italia #13 ‒ Mario Bellini
Architetti d’Italia #14 ‒ Franco Purini
Architetti d’Italia #15 ‒ Italo Rota
Architetti d’Italia #16 ‒ Franco Zagari
Architetti d’Italia #17 ‒ Guendalina Salimei
Architetti d’Italia #18 ‒ Guido Canali
Architetti d’Italia #19 ‒ Teresa Sapey
Architetti d’Italia #20 ‒ Gianluca Peluffo
Architetti d’Italia #21 ‒ Alessandro Mendini
Architetti d’Italia #22 ‒ Carlo Ratti
Architetti d’Italia #23 ‒ Umberto Riva
Architetti d’Italia #24 ‒ Massimo Pica Ciamarra
Architetti d’Italia #25 ‒ Francesco Venezia
Architetti d’Italia #26 ‒ Dante Benini
Architetti d’Italia #27 ‒ Sergio Bianchi
Architetti d’Italia #28 ‒ Bruno Zevi
Architetti d’Italia #29 ‒ Stefano Pujatti
Architetti d’Italia #30 ‒ Aldo Rossi
Architetti d’Italia #31 ‒ Renato Nicolini
Architetti d’Italia #32 ‒ Luigi Pellegrin
Architetti d’Italia #33 ‒ Studio Nemesi
Architetti d’Italia #34 ‒ Francesco Dal Co
Architetti d’Italia #35 ‒ Marcello Guido
Architetti d’Italia #36 ‒ Manfredo Tafuri
Architetti d’Italia #37 ‒ Aldo Loris Rossi
Architetti d’Italia #38 ‒ Giacomo Leone
Architetti d’Italia #39 ‒ Gae Aulenti
Architetti d’Italia #40 ‒ Andrea Bartoli
Architetti d’Italia#41 ‒ Giancarlo De Carlo
Architetti d’Italia #42 ‒ Leonardo Ricci
Architetti d’Italia #43 ‒ Sergio Musmeci
Architetti d’Italia #44 ‒ Carlo Scarpa
Architetti d’Italia #45 ‒ Alessandro Anselmi
Architetti d’Italia #46 ‒ Orazio La Monaca
Architetti d’Italia #47 ‒ Luigi Moretti
Architetti d’Italia #48 ‒ Ignazio Gardella
Architetti d’Italia #49 ‒ Maurizio Carta
Architetti d’Italia #50 ‒ Gio Ponti
Architetti d’Italia #51 ‒ Vittorio Sgarbi
Architetti d’Italia #52 ‒ Fabrizio Carola
Architetti d’Italia #53 ‒ Edoardo Persico
Architetti d’Italia #54 ‒ Alberto Cecchetto
Architetti d’Italia #55 ‒ Fratelli Castiglioni
Architetti d’Italia #56 ‒ Marcello Piacentini
Architetti d’Italia #57 ‒ Massimo Mariani
Architetti d’Italia #58 – Giuseppe Terragni
Architetti d’Italia #59 – Vittorio Giorgini
Architetti d’Italia #60 – Massimo Cacciari
Architetti d’Italia #61 – Carlo Mollino
Architetti d’Italia #62 – Maurizio Sacripanti
Architetti d’Italia #63 – Ettore Sottsass
Architetti d’Italia #64 – Franco Albini
Architetti d’Italia #65 – Armando Brasini
Architetti d’Italia #66 – Camillo Botticini
Architetti d’Italia #67 – Antonio Citterio
Architetti d’Italia # 68 – Oreste Martelli Castaldi
Architetti d’Italia #69 – Paolo Soleri
Architetti d’Italia #70 – Giovanni Michelucci
Architetti d’Italia #71 – Lucio Passarelli
Architetti d’Italia #72 – Marcello d’Olivo
Architetti d’Italia #73 – Venturino Ventura
Architetti d’Italia #74 ‒ Ugo e Amedeo Luccichenti
Architetti d’Italia #75 – Walter Di Salvo
Architetti d’Italia #76 – Luigi Cosenza
Architetti d’Italia #77 – Lina Bo Bardi
Architetti d’Italia #78 – Adriano Olivetti
Architetti d’Italia #79 – Ernesto Nathan Rogers
Architetti d’Italia #80 – Mario Galvagni
Architetti d’Italia #81 – Ludovico Quaroni
Architetti d’Italia #82 – Adalberto Libera
Architetti d’Italia #83 – Vittoriano Viganò
Architetti d’Italia #84 – Cesare Leonardi
Architetti d’Italia #85 – Leonardo Savioli
Architetti d’Italia #86 – Giuseppe Vaccaro
Architetti d’Italia #87 – Eugenio Gentili Tedeschi
Architetti d’Italia #88 – Luigi Figini e Gino Pollini
Architetti d’Italia #89 – Mario Ridolfi
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Architetti d’Italia #93 – Giuseppe Pagano
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Architetti d’Italia #95 – Vittorio Mazzucconi
Architetti d’Italia #96 – Pier Luigi Nervi
Architetti d’Italia #97 – Paolo Riani
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