L’architettura secondo Southcorner: l’essenza del (di)segno
Discepoli e poi collaboratori di Aldo Loris Rossi, gli architetti Antonio Cuono e Nella Tarantino hanno fondato lo studio Southcorner. Un’esperienza ripercorsa in questo articolo, che fa luce sulla loro produzione artistico-architettonica concentrata nell’area campana.
Appaiono cordiali, ma al contempo anche un po’ schivi nel far riemergere il loro passato da architetti “continuatori della visione organica” (Locci M., Zevi e l’architettura italiana della fine del XX secolo, in AA.VV, Gli architetti di Zevi. Storia e controstoria dell’architettura
italiana 1944-2000, Quodlibet, Macerata 2018), le cui opere sono state più volte recensite sulla prestigiosa rivista L’architettura. Cronache e Storia o in volumi dalla caratura internazionale. Antonio Cuono (1957) e Nella Tarantino (1960), che sono una coppia anche nella vita, ci ricevono nel proprio salotto. A poco a poco mostrano, però, le pagine del loro archivio. La fascinazione è difficile da contenere! Nei disegni coesistono riferimenti aulici e vernacolari, innestati sulla lezione di uno degli ultimi maestri del Movimento Moderno: Aldo Loris Rossi, di cui, prima di costituire Southcorner, sono stati discepoli e poi collaboratori di studio e assistenti alla didattica (1985-91). Quasi delle utopie le loro opere, nelle quali, attraverso il (di)segno, riusciamo a ripercorrere il momento creativo, gli slanci che li hanno generati nonché gli inevitabili scontri. Chi li osserva ne resta quasi “ferito” portandone addosso i segni, come feriti sono i cementi tanto cari ai due architetti: ci soffermeremo brevemente su alcune opere emblematiche per cercare di descrivere, parzialmente, la loro vasta produzione artistico-architettonica.
L’UNITÀ RESIDENZIALE DI AGROPOLI
Percorrendo via Giotto ad Agropoli (SA) non si può non restare perplessi di fronte a un edificio la cui spazialità esterna è particolarmente stridente con il circondario, connotato per lo più da edilizia scatolare. L’unità residenziale (1988-92) progettata, infatti, da Cuono con Costantino Ruocco e Marina Manfredonia sembra quasi un oggetto calato dall’alto, che catalizza su di sé gli sguardi dell’osservatore, annullando il resto. Un suggestivo condominio, in cui sono espliciti i riferimenti alla Casa del Portuale (1968-80) di Rossi, soprattutto negli aggetti circolari o semi circolari, che diventano camminamenti, punti di vedetta e/o di riflessione, ma anche in quelli di matrice triangolare, che come delle prue fendono minacciosamente lo spazio. Tutto ciò senza rinunciare a una propria autonomia formale, in cui “la molteplicità nel differenziarsi dei percorsi, degli accessi, degli aggetti, delle varianti; cerca l’unità nella frantumazione centrale che insinua nel corpo di fabbrica una piazza-cortile che permette di ruotare la parte finale dell’edificio in modo che l’intera costruzione possa autoriferirsi come un fondale” (Rossi S., Memoria come sfida, in L’architettura. Cronache e Storia, n. 477, gennaio 1993). Un’utopia dal complesso e travagliato iter costruttivo, il cui grido di rinnovamento del territorio sembra oggi, purtroppo, rimasto inascoltato.
LA SCULTURA PER IL MILLENNIO DI VATOLLA E LA CHIUSURA DELLA TRILOGIA DELL’ANGELO
Con la scultura destinata a celebrare il millenario di Vatolla, località nel territorio di Perdifumo (SA), Southcorner chiude quella che è stata definita la “Trilogia dell’Angelo”.
La ricerca dello spirituale aveva avuto origine nel ‘94 con il “Giglio del Calzolaio”, struttura effimera per i Gigli di Nola, il cui principio ispiratore era la produzione del suprematista Leonidov e che per la sua stessa natura transitoria era stata accomunata all’angelo dell’annunciazione, Gabriele. Al progetto della tomba per Carlo Levi viene invece accostato l’angelo della sera, Raffaele. Per la scultura di Vatolla (1994-98), promossa dal Centro culturale vichiano, invece, i progettisti guardano a Giambattista Vico, che fu precettore dei figli del marchese Rocca presso il castello di Vatolla ed è qui che il filosofo avrebbe gettato le basi del suo caposaldo: La scienza nuova (1725). Ulteriori riferimenti vanno, infine, individuati nelle Tesi di filosofia della storia di Walter Benjamin. Non è un caso, quindi, che la scultura sia collocata nei pressi del convento di S. Maria degli Angeli. Essa, infatti, si configura come una riflessione sul rapporto del paesaggio e delle preesistenze col contemporaneo, in questo caso un’opera d’arte alta 12 metri, che con la sua iconica ala blu e sfera rossa “si piega come gli ulivi battuti dal vento. Piace alla gente ed il paesaggio ne risulta animato” (Zevi B., Angelica trilogia, in l’Espresso, n. 28, 16 luglio 1998).
L’AMPLIAMENTO DI UNA RESIDENZA AD ALTAVILLA SILENTINA
Non è facilmente catalogabile l’intervento adoperato da Southcorner e Costantino Ruocco ad Altavilla Silentina (1995-2003). Non è un innesto, né tanto meno solo una sovrapposizione o un’ibridazione. L’ampliamento “ingloba la banale preesistenza” (De Sessa C., Il dinosauro divora la banale preesistenza, in L’architettura. Cronache e Storia, n. 574, agosto 2004), la fagocita facendola sprofondare nelle sue “viscere”, tramutandosi in una “creatura”, in cui “la bellezza dei getti di calcestruzzo esalta la forza comunicativa di quest’opera facendola assomigliare talvolta a un grande animale rampante, altrove a un gioco di setti piegati, o ancora a masse sbozzate di pietra, il tutto composto in modo coerente e senza salti contraddittori” (Genovese P. V., Cubismo in Architettura, Roma, Mancosu Editore, 2010). Questo “dinosauro”, cristallizzato nell’attimo prima di emettere il suo grido di battaglia, è un transfert dei progettisti. Alla sua forza espressiva al limite della violenza fanno, infatti, da contraltare le eleganti fenditure sul cemento a faccia vista e le esili strutture che incrociano la promenade che conduce al primo livello. E non è forse proprio la tensione allo scontro, inteso nella sua accezione di gesto politico, mediata da istanze espressioniste, che anima Southcorner?
L’AMPLIAMENTO DEL CIMITERO DI AGROPOLI
Con l’ampliamento del cimitero di Agropoli (2000-04) Southcorner, coadiuvato da Domenico Parisi, raggiunge la piena maturità e viene consacrato nella sfera nazionale e internazionale con pubblicazioni sulla citata L’architettura. Cronache e Storia (De Sessa C., Il ricordo come espressione creativa, in L’architettura. Cronache e Storia, n. 574, ottobre 2004) o sul volume 1000XEuropeanArchitecture (AA, VV., 1000XEuropean Architecture, Milano, Hoepli, 2007). Una visione laica e al contempo religiosa sul tema della morte, sulle ferite generate dal distacco per chi resta, è al centro di questo progetto, che si colloca a metà strada tra architettura e scultura urbana. Nonostante il “restauro” recente, sono ancora palpitanti i tagli impressi sul materiale, che incidono la “pelle” dell’edificio, emulando le ferite generate dalla scomparsa. In essi leggiamo riferimenti al Museo Ebraico (1989-2000) di Libeskind. Osservando, invece, le strutture tubolari scorgiamo citazioni della Vitra Fire Station (1991-93) di Zaha Hahid Architects. Nel loro squarciare la pensilina d’ingresso individuiamo una duplice chiave di lettura: rappresentano sia, con la loro posizione inclinata, il senso di destabilizzazione per chi perde le proprie radici, sia un messaggio di salvezza nella figura del Cristo col tramutarsi in una croce svettante nella parte superiore.
– Carlo De Cristofaro
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