Biennale Architettura 2021: i Paesi Nordici e le nuove frontiere del cohousing
Che cosa dobbiamo aspettarci dal padiglione de Paesi Nordici alla prossima Biennale di Architettura di Venezia? Lo abbiamo chiesto al curatore Martin Braathen.
Intervista a Martin Braathen, curatore del National Museum of Art, Architecture and Design di Oslo e curatore del padiglione dei Paesi Nordici alla Biennale Architettura di Venezia.
In attesa dell’apertura della prossima Biennale Architettura, il 21 maggio, tutte le anticipazioni sul padiglione dei Paesi Nordici.
Qual è il messaggio del padiglione dei Paesi Nordici 2021, dal titolo What We Share. A model for cohousing?
In primo luogo, si tratta di un’installazione architettonica a grandezza naturale che vogliamo che il pubblico esplori liberamente, senza essere troppo condizionato dagli apparati esplicativi e didattici. Al centro della mostra rimane la questione di ciò che siamo disposti a condividere l’uno con l’altro. Il design del padiglione è il risultato di diversi processi, tra cui una lunga interazione con un gruppo di cittadini, la collaborazione con l’ingegnere svizzero Herman Blumer e quella con un’azienda del legno austriaca, e molti altri, tutti invitati e formati dallo studio di architettura Helen&Hard.
Perché ha scelto Helen&Hard, che ha appena ottenuto un bis di candidature allo European Union Prize for Contemporary Architecture – Mies van der Rohe Award per sviluppare il progetto architettonico?
Il duo Helen&Hard costituisce uno degli studi di architettura più interessanti sulla scena internazionale; è in prima linea nella ricerca nel campo dell’edilizia sostenibile e delle costruzioni in legno, nonché nella sperimentazione di nuovi modelli nella pratica architettonica. I loro recenti esperimenti sulle nuove forme di vita comunitaria si sono adattati perfettamente al tema della Biennale e hanno dato una risposta concreta alla domanda “come vivremo insieme”.
IL COHOUSING NEI PAESI NORDICI
In quali termini ritiene che l’architettura possa influenzare la vita quotidiana delle persone?
Per quanto riguarda questo progetto, il modello di cohousing crea un ricco contesto sociale per i singoli appartamenti, fornendo agli abitanti l’accesso a reti sociali e collaborazioni pratiche, momenti di vita comune come il cenare insieme, eccetera. In questo senso, può sicuramente trasformare la quotidianità di molte persone, dare loro nuovi impulsi e nuove conoscenze, e può influenzare in positivo anche questioni come la solitudine o le necessità di assistenza.
Cosa s’intende per “modello di cohousing nordico”? Può descriverlo nei dettagli?
Il modello di cohousing nordico è stato sviluppato tra la fine degli Anni Sessanta e l’inizio degli Anni Settanta. Descritto all’epoca come una combinazione pragmatica di casa unifamiliare e utopia sociale, è un modello di co-living con appartamenti individuali completamente attrezzati e spazi e comuni condivisi (la zona pranzo-cena, ad esempio). Normalmente si basa sul concetto di abitazione di proprietà e può essere realizzato su varia scala: dai progetti abitativi più strettamente sociali fino allo sviluppo di abitazioni per il normale mercato immobiliare. Tale versatilità rende disponibile questo modello abitativo per una più ampia fascia di acquirenti che possono prendere parte a forme di vita “alternative”.
VIVERE INSIEME NELL’ERA PANDEMICA
Quale dovrebbe essere il giusto rapporto tra un edificio, il territorio e l’ambiente culturale circostante?
Un progetto di cohousing è fondamentalmente una forma di convivenza dalle ampie implicazioni sociali, ma deve rifiutare il concetto di comunità chiusa. Al contrario, deve essere aperto ai suoi immediati dintorni e al quartiere nel senso più ampio possibile.
La pandemia, che è ancora in corso, ha modificato in qualche modo la sua idea originaria di cohousing? Adesso che gli spazi sociali devono essere ripensati, quale ritiene saranno i riflessi sulla progettazione architettonica dei prossimi anni?
Le esperienze di cohousing durante la pandemia sono state interessanti. Il modello è infatti apparso molto utile per alleviare alcune delle conseguenze dell’isolamento causato dalla pandemia. Ha fornito opportunità per un certo grado di socializzazione, vita in comune ed esperienze condivise, anche con tutte le necessarie misure di prevenzione delle infezioni. Sono sicuro che l’architettura domestica imparerà molto dall’esperienza della pandemia, sia per quanto riguarda la necessità di uffici domestici, che per quanto attiene alla nuova disposizione degli spazi, nuovi flussi di circolazione degli abitanti, nuovi impianti di ventilazione… La prospettiva di trascorrere più tempo a casa, sulla scorta dell’esperienza dell’isolamento dei mesi passati, credo farà nascere nuove esigenze di comfort domestico, tecnologia e praticità.
‒ Niccolò Lucarelli
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Padiglione Russia
Padiglione Catalogna
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