Il non finito nell’architettura d’Italia: luoghi da abitare?

Prendendo in esame l’ampliamento della stazione San Cristoforo a Milano, progettato da Aldo Rossi e Gianni Braghieri, il tema delle opere rimaste incompiute nell’intero territorio nazionale viene esaminato, proponendo una terza via. Alternativa tanto alla demolizione quanto alla monumentalizzazione del patrimonio non finito.

Opere incompiute: in Italia sono 546 e serviranno quasi 2 miliardi di euro per completarle”. Sono questi i numeri riportati dal portale tecnico lavoripubblici.it, mentre attraverso il Sistema Informatico Monitoraggio Opere Incompiute (S.I.M.O.I.) del Governo è possibile consultare l’intero elenco delle opere pubbliche lasciate interrotte su tutto il territorio nazionale, divise per regioni, al 2019. Già solo questi numeri spaventano, ma non bisogna dimenticare che le opere non-finite sono molte di più, in quanto questi dati non considerano l’enorme quantità di opere private rimaste incompiute. Data questa premessa, non si può far altro che accogliere le provocazioni lanciate da Alterazioni Video nella raccolta Incompiuto, la nascita di uno stile. “Cosa farne di questo patrimonio? Rilanciare la piccola impresa italiana partendo dalle demolizioni? Riconvertire le opere incompiute in qualcosa di utile, disconoscendo la non-funzionalità per la quale erano state inizialmente create? Lasciarle dove sono state fino a ora, fingendo che non esistano fino a quando non ne venga costruita un’altra? Storicizzando lo stile Incompiuto come viene fatto con qualsiasi elemento del patrimonio storico?”.

UNA TERZA VIA FRA DEMOLIZIONE E MONUMENTALIZZAZIONE

Provocazioni che inevitabilmente spingono a pensare: cosa fare degli edifici non-finiti? Demolirli? Monumentalizzarli? Lo scenario della demolizione avrebbe come esito costi esorbitanti e residui da smaltire, ma soprattutto cancellerebbe una parte di storia di cui sarebbe invece importante fare memoria. Infatti, se non consideriamo l’esistenza di una scala qualitativa gerarchica delle epoche passate, si può dire che, così come noi guardiamo le rovine del nostro passato, probabilmente i futuri archeologi vedranno le nostre “rovine contemporanee” come degne di attenzione. Allo stesso modo anche la monumentalizzazione non si pone come una strada percorribile, perché risulta sì necessario lasciare ad memoriam una traccia del periodo storico contemporaneo, ma attraverso il riutilizzo e il riscatto della rovina stessa. Per questo motivo entrambe le ipotesi non rispondono quindi fino in fondo alle esigenze della collettività. È proprio in questo divario che si inserisce una terza via: riscrivere e ridisegnare i non-finiti per essere riscattati.
Se pensiamo, infatti, a tutti e soli quegli edifici che si inseriscono nel paesaggio italiano – da nord a sud, dal mare alla montagna – a una scala architettonica, questi si presentano come un fallimento, ma in realtà si offrono come un’opportunità e aprono a grandi possibilità di riprogettazione di spazi pubblici.

Aldo Rossi e Gianni Braghieri, Ampliamento della stazione San Cristoforo, Milano, vista del corpo scala, 2020. Photo credits Clelia Nanni

Aldo Rossi e Gianni Braghieri, Ampliamento della stazione San Cristoforo, Milano, vista del corpo scala, 2020. Photo credits Clelia Nanni

IL RISCATTO DEGLI EDIFICI NON-FINITI

Quindi, è fondamentale costruire un abaco, inteso come un elenco delle caratteristiche che descrivono i non-finiti, che possa aiutare a fare ordine e chiarezza e aprire la strada per il riscatto. Per ognuno di questi edifici vengono identificati: il contesto urbano o rurale in cui si trovano; il materiale che ne definisce la struttura portante; le dimensioni; la proprietà; il grado di incompiutezza – finito se l’opera è stata completata nella sua interezza ma non è mai stata abitata, non-finito se l’opera non è stata conclusa e si trova in uno stato di cantiere perenne. Un edificio incompiuto può avere costruite solo le fondazioni, le fondazioni e i pilastri, le fondazioni, i pilastri e i solai interpiano, oppure lo scheletro strutturale nella sua interezza, con annessi o meno i tamponamenti. Lo scopo dell’abaco è quello di definire univocamente, per ogni combinazione delle categorie elencate, una particolare funzione che permetta il riscatto di tutti gli edifici non-finiti della stessa tipologia, attraverso linee guida sufficientemente generiche da poter essere declinate in vari casi specifici. Infatti, a ogni intervento appartengono caratteristiche uniche come la messa in sicurezza dell’edificio e la sua accessibilità – che si pongono come imprescindibili in questa ipotesi –, e caratteristiche che invece dipendono da fattori non comuni, come la posizione geografica o il progettista.

Aldo Rossi e Gianni Braghieri, Ampliamento della stazione San Cristoforo, Milano, vista d’insieme, 2020. Photo credits Clelia Nanni

Aldo Rossi e Gianni Braghieri, Ampliamento della stazione San Cristoforo, Milano, vista d’insieme, 2020. Photo credits Clelia Nanni

UN CASO STUDIO: L’AMPLIAMENTO DELLA STAZIONE SAN CRISTOFORO A MILANO

Visitando la mostra Aldo rossi: l’architetto e la città, al Museo MAXXI di Roma, non si può fare altro che pensare a una costruzione del noto progettista che si addice perfettamente alle caratteristiche richieste dall’abaco: l’ampliamento della stazione San Cristoforo, progettata insieme all’architetto Gianni Braghieri. Si inserisce nella zona sud-ovest di Milano, al confine con il comune di Corsico; si trova nella condizione di non-finitezza ormai dal 1990 – anno nel quale i lavori sono stati definitivamente sospesi – a causa della funzione obsoleta che avrebbe dovuto ricoprire. Tale ampliamento si andava a inserire in una serie di progetti, a partire dal 1983, che davano risposta a un programma di potenziamento delle strutture ferroviarie di cui facevano parte anche la stazione di Lambrate, di Ignazio Gardella, e la stazione di San Donato, di Angelo Mangiarotti.
Nel 1975 Ferrovie dello Stato incaricò gli architetti di progettare e costruire l’ampliamento della già esistente stazione di San Cristoforo, che sarebbe servito da terminal per il trasporto di automobili private lungo la tratta Milano-Parigi. Dopo qualche anno, ci si rese conto che l’edificio non avrebbe avuto alcuna utilità e così si decise di mutarne la funzione in luogo di ristoro per i fedeli in pellegrinaggio verso Lourdes. Anche tale idea naufragò per l’impossibilità di soddisfare le richieste della società e così, nel 1990, i lavori vennero definitivamente interrotti: la stazione restò non-finita nello stato di cantiere in cui versa ancora oggi.
Nel 2019 il parco di circa undici ettari nel quale si colloca l’ampliamento della stazione è stato oggetto di un concorso internazionale promosso da FS Sistemi Urbani, del gruppo Ferrovie dello Stato Italiane, per la redazione di un masterplan di trasformazione e rigenerazione urbana degli scali ferroviari Milano Farini e Milano San Cristoforo, vinto dalla collaborazione degli studi OMA e Laboratorio Permanente.
Lo scheletro della stazione era inoltre già stato oggetto di un lavoro di rilettura da parte dello studio Albori in occasione della Biennale di Architettura di Venezia del 2008. Dalle fotografie si riconoscono immediatamente lo scheletro in calcestruzzo armato e il telaio in acciaio che avrebbe dovuto ospitare la copertura dell’edificio in rame. Riconosciamo i tratti che caratterizzano l’opera rossiana e ne osserviamo lo stato in cui versa l’edificio oggi: immerso in una natura selvaggia e dimora di senza tetto.

Clelia Nanni

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Clelia Nanni

Clelia Nanni

Clelia Nanni, laureata nel 2021 alla Scuola di Architettura di Firenze, dove per diversi anni ha diretto il comitato dei Dialoghi d’Autore. Ha organizzato e gestito diversi eventi: workshop, incontri e viaggi. Riserva un grande interesse verso il tema del…

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