Le logiche dell’abbandono: il Parco Archeologico dell’Incompiuto Siciliano a Giarre
Tra rovine archeologiche e macerie contemporanee, derealizzazione e detroitismo, un’analisi delle architetture abbandonate a partire da un esempio eclatante: quello del Parco Archeologico dell’Incompiuto Siciliano a Giarre, in Sicilia.
Nel settembre del 1904, Sigmund Freud visitò Atene insieme al fratello minore e, naturalmente, si recò all’Acropoli, per ammirarne templi e sculture. Freud parlò di questo viaggio anni dopo, nel 1936, quando pubblicò Un disturbo di memoria sull’Acropoli: lettera aperta a Romain Rolland. Freud scrive: “Quando, finalmente, il pomeriggio dopo il nostro arrivo mi trovai sull’Acropoli e gettai uno sguardo sul paesaggio circostante, un pensiero sorprendente improvvisamente entrò nella mia mente: dunque tutto questo esiste veramente, proprio come abbiamo imparato a scuola”. Freud regala un secondo esempio: è come se, passeggiando in Scozia sulle rive del Lochness, ci si trovasse di fronte a Nessie e si fosse costretti ad ammettere l’esistenza di qualcosa che si conosceva, ma alla quale non si era mai creduto. Freud definì questo stato mentale “derealizzazione” ossia senso di straniamento nei confronti della realtà. Una parte di lui aveva potuto dubitare che l’Acropoli fosse davvero esistita, mentre un’altra si chiedeva da dove fosse venuto quel pensiero, dato che non aveva mai dubitato della sua esistenza.
GIARRE E ALTERAZIONI VIDEO
Un identico senso di derealizzazione e di straniamento ci coglie di fronte al Parco Archeologico di Giarre. Una parte di noi potrebbe dubitare della esistenza di una simile concentrazione di lacerti architettonici incompleti e abbandonati; un’altra si chiede da dove provenga questo pensiero dato che sa che esistono numerosi manufatti architettonici moderni incompiuti o parzialmente distrutti.
I Parchi Archeologici Siciliani sono senza dubbio da annoverare tra i più importanti, famosi, affascinanti e ricchi siti archeologici occidentali, in Sicilia, tuttavia, è possibile visitare un Parco Archeologico paradossale, nel comune di Giarre (tra il mare e le pendici dell’Etna. Più o meno 28mila abitanti, in provincia di Catania): Il Parco Archeologico dell’Incompiuto Siciliano. La definizione e lo “scavo” (che scavo non è) si devono al collettivo artistico Alterazioni Video in network con Enrico Sgarbi e Claudia D’Aita.
Si tratta di una città dentro la città, rovine non finite edificate tra la metà degli Anni Cinquanta del Novecento e i primi dieci anni del Ventunesimo secolo. Opere pubbliche impressionanti, abbandonate a causa dei cambi di amministrazione comunale o regionale, tagli di spesa, carenza di fondi, errori progettuali, caccia ai fondi regionali e statali, promesse elettorali.
Un paesaggio surreale, dotato di una sottile attrazione per coloro che ritengono inerzia e decomposizione prevalenti sulla superbia della modernità. Opere che sono state, e continuano a essere, una voragine di risorse economiche e umane. Impossibile quantificarne il costo, difficile demolirle considerati i costi di abbattimento, smaltimento delle macerie, bonifica e riqualificazione delle aree.
Visitiamo una Piscina Olimpionica lunga 49 metri invece dei 50 regolamentari, il Mercato dei fiori, la Pista per automodellismo, il terribile Parco per bimbi Chico Mendez, il Teatro Nuovo in costruzione da 52 anni e fuori asse, lo Stadio di atletica & il Campo da Polo, con tribune gigantesche, costruite con una pendenza così accentuata da risultare persino non scalabili. La situazione è parzialmente migliorata negli ultimi dieci anni. Alcune opere sono state completate, altre hanno cambiato destinazione d’uso.
ALTRI ESEMPI DI INCOMPIUTO IN ITALIA
Alterazioni Video considera Giarre l’epifenomeno che si distende in tutta la penisola, disegnando un’Italia non finita. Nel tempo l’indagine ha portato alla classificazione di circa 360 architetture incompiute in tutta Italia, con una particolare concentrazione geografica nel Sud. Ma il Nord non è immune, dato che può celebrare il primato della prima “incompiuta” italiana, l’Idrovia Milano-Cremona. Il consorzio per la costruzione del canale venne costituito per legge nel 1941; i lavori iniziarono nei primi Anni Sessanta e si interruppero negli Anni Settanta, dopo aver completato la tratta di 13 chilometri, da Pizzighettone al porto di Cremona. Il porto di Milano sarebbe dovuto sorgere alla periferia sud-orientale della città, nella località ancor oggi detta “Porto di Mare”. Il consorzio è stato sciolto il 31 dicembre dell’anno 2000. Indimenticabili, nel loro orrore, lo scheletro di un hotel ideato per i Mondiali di Calcio del 1990 (Ponte Lambro, Milano, ecomostro abbattuto nel 2012) e il leggendario ponte via San Giacomo dei Capri, a Napoli, che finisce nella macchia.
Nel Manifesto Incompiuto Siciliano ‒ articolato in 10 punti programmatici ‒ il degrado del cemento armato trasforma l’incompiutezza e il difetto di uso in opera d’arte e diviene uno speciale paradigma interpretativo della architettura pubblica italiana dal dopoguerra a oggi. Si potrebbe configurare come uno stile architettonico originale. L’intento è nobile, ed è chiara una sottesa idea di provocazione culturale. Si possono trovare bellezza e dramma nella desolazione scenografica di quel paesaggio, ma, alla fine, potrebbe innestarsi un senso di malinconia e di déjà vu.
L’INCOMPIUTO ALL’ESTERO
Il fenomeno dell’incompiuto pubblico non è solo italiano, si estende dall’Europa sino al resto del mondo. Dalla follia del distretto di Kangbashi, città di Ordos, nella Mongolia Interna, Cina ‒ costruito sul modello urbano imperiale cinese (asse Nord –Sud) secondo le regole della geomanzia classica e sostanzialmente deserto, avrebbe dovuto ospitare oltre un milione di abitanti, ma sta andando in rovina. Alla città di Nova Cidade de Kilamba in Angola, a pochi chilometri dalla capitale Luanda, costruita da una società governativa cinese per ospitare mezzo milione di abitanti, fondamentalmente disabitata. La egemonia filosofica dell’Incompiuto, la palma d’oro, spetta tuttavia alla città artefatta di Kijong-Dong nella zona demilitarizzata tra le due Coree appartenente alla Corea del Nord. Un villaggio costruito negli Anni Cinquanta per attrarre potenziali disertori della ricca Corea del Sud, missione insensata e fallita. Le luci degli edifici, senza vetri alle finestre, si accendono e si spengono comandate da timer, il “Villaggio della Pace” è vuoto, un sistema di amplificazione del suono interno ad alcuni fabbricati desolati diffondeva ad alto volume, sino al 2004, musiche patriottiche, inviti a passare il confine e stabilirsi nel magnifico villaggio, discorsi di condanna dell’Occidente.
Un ragionamento affascinante sul tema si centra sulle teorie che Marc Augé affronta nel bel saggio Rovine e Macerie – Il senso del tempo. L’autore vede nella “spettacolarizzazione del mondo” una qualità della modernità. Il mondo, i suoi tesori, le sue peculiarità, sono oggetto di una forte attività mediatica e ideologica che ne svuota i contenuti e le valenze a favore di una percezione superficiale. Il monumento e la città, così come ogni luogo, diventano immagine. Il patrimonio artistico, culturale e naturalistico delle nazioni “si presenta anzitutto come un oggetto di consumo più o meno decontestualizzato, o come un oggetto il cui vero contesto è il mondo della circolazione planetaria”. Augé avvia il ragionamento con la famosa citazione di
ROVINE SENZA TEMPO
Freud ad Atene e si interroga sul senso del tempo di fronte alle rovine di una antica civiltà, prendendo ad esempio, tra i tanti, i Fori Imperiali a Roma. Le rovine rimandano al passato della epoca romana della città ma non sono state edificate, né utilizzate, tutte nello stesso momento. In sintesi il paesaggio archeologico attuale non corrisponde ad alcun momento preciso della città, è la somma di diverse fasi storiche, magnifica ma difficile da comprendere senza una guida o una spiegazione efficace, che annulli la indeterminatezza temporale insita nella osservazione di rovine di architetture complesse e stratificate.
La vista delle rovine fa comprendere la realtà di un tempo che non è quello di cui parlano i manuali di storia o che i restauri cercano di riportare in vita. È un tempo chiaro, senza tempo, assente dal nostro mondo d’immagini, di idoli e di ricostruzioni; assente dal mondo brutale che produce macerie: macerie che non hanno più il tempo di diventare rovine. Un tempo perduto che solo l’arte e la cultura possono ritrovare.
Il Parco Archeologico di Giarre a ciò fa riferimento, macerie che vorrebbe trasmutate in opere artistiche, in rovine archeologiche, segnate da uno stile tanto preciso quanto paradossale, in linea con la fascinazione che oggi esercita il decadimento urbano. Una passione per la desolazione che è stata definita “Detroitismo” poiché per numerosi artisti e fotografi la città di Detroit, con i suoi quarantamila edifici in rovina, da abbattere, è divenuta la Mecca delle Rovine Urbane Contemporanee. Giarre, seppur (fortunatamente) in scala minore, possiede un analogo irrazionale incanto.
‒ Stefano Piantini
LA REPLICA
Nell’articolo dal titolo “Le logiche dell’abbandono: il Parco Archeologico dell’Incompiuto Siciliano a Giarre” pubblicato su Artribune in data 15 aprile 2021, l’autore Stefano Piantini – affrontando l’argomento delle opere incompiute – attenziona il Comune di Giarre, ivi collocandovi ironicamente il “Parco Archeologico dell’Incompiuto Siciliano”.
In tale “sito”, definito dall’autore un paesaggio surreale, insisterebbero “rovine non finite edificate tra la metà degli anni cinquanta del Novecento e i primi dieci anni del ventunesimo secolo”, tra le quali una “Piscina Olimpionica lunga 49 metri invece dei 50 regolamentari”.
Detto ciò, si rileva che tale ultima asserzione è assolutamente inesatta e priva di fondamento e lesiva della reputazione professionale dell’Architetto Salvatore Patanè che ne fu capo gruppo progettazione e direzione lavori. Il tenore dell’articolo potrebbe verosimilmente ingenerare nei lettori il convincimento di una errata progettazione ed evocare una superficiale e approssimativa professionalità.
Si precisa che le misure di progetto della vasca sono ml 25 per ml 33,33 e la piscina è omologabile per le discipline del nuoto, nuoto sincronizzato, pallanuoto e salvamento, non essendo stata progettata per essere omologata quale invaso olimpionico.
Si precisa, altresì, che l’opera non è stata ultimata non per un errato (ma evocato nell’articolo!) dimensionamento dell’invaso, ma per il fallimento della impresa appaltatrice che ha abbandonato il cantiere. Per il mancato rispetto del cronoprogramma dei lavori e la lentezza nella conduzione degli stessi testimoniata dalla notifica di molti ordini di servizio, la Direzione dei Lavori ha applicato all’impresa, la penale di legge.
Avv. Alfredo Grasso
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