I dimenticati dell’arte. Giovanni Battista da Lugano
Progettista sconosciuto ai più, Giovanni Battista da Lugano è l’autore di uno dei gioielli dell’architettura italiana cinquecentesca nelle Marche, il santuario di Santa Maria di Macereto, la cui storia deve ancora essere approfondita.
Di lui non sappiamo nulla, ma la sua gloria è affidata a uno dei monumenti più suggestivi e segreti d’Italia. Si tratta del Santuario di Santa Maria di Macereto, situato in posizione isolata su un altipiano a mille metri di altezza sui monti Sibillini non lontano da Visso, e considerato uno dei gioielli dell’architettura del Cinquecento nelle Marche. La sua costruzione è legata a una edicola persa nei monti, che segna il luogo di un miracolo, accaduto il 12 agosto 1359: durante il trasporto di una madonna lignea da Loreto al Regno di Napoli, i muli si inginocchiarono sul luogo dove oggi sorge il santuario e non ci fu verso di farli ripartire. La gente del popolo si precipitò sul posto e pretese a gran voce che la statua rimanesse lì tra le montagne, dove venne costruita una chiesetta per ospitarla. Ma il maestro comacino Giovanni Battista da Lugano entra in scena quasi due secoli dopo, per avviare la costruzione dell’attuale santuario nel 1528, secondo un progetto del 1505 firmato addirittura da Donato Bramante, architetto della cupola di San Pietro.
GIOVANNI BATTISTA DA LUGANO A MACERETO
Per realizzare l’edificio a pianta ottagonale che si staglia nella vallata venne chiamato Giovanni Battista, che faceva parte dei “magistri comacini”, un gruppo di architetti e ingegneri che provenivano dalla Lombardia e si spostavano in tutta Italia per costruire chiese e cattedrali monumentali, accompagnati da uno stuolo di scalpellini, tagliapietre, stuccatori e capimastro. Come mai proprio lui? Probabilmente l’architetto era già nelle Marche quando viene chiamato a Macereto: sembra che avesse collaborato alla realizzazione dei palazzi Ottoni e Piersanti a Matelica. La leggenda racconta che fosse un allievo di Bramante: forse aveva collaborato con il maestro in qualche cantiere da giovane? Non ci è dato saperlo, ma l’ipotesi è possibile.
Per dieci anni Giovanni Battista lavora a Macereto per costruire il santuario intorno alla chiesetta primitiva, e lo riveste interamente in travertino grazie ai fondi raccolti dai pellegrini e dai signori del territorio, devoti alla madonna di Macereto, che si trova sul cammino delle greggi di pecore, allora detto “il fiume delle lane”. Il santuario è un edificio in perfetto stile rinascimentale, che ha tante similitudini con altri edifici bramanteschi tra Umbria e Marche, come la Chiesa di Santa Maria della Consolazione a Todi e la Santa Casa di Loreto. Purtroppo però questo capolavoro non ha portato fortuna al suo architetto, che muore cadendo da un ponteggio nel 1539, quando la costruzione non era ancora terminata. Dopo l‘incidente tutto si blocca: i lavori vengono ripresi solo nel 1553 a opera di Filippo Salvi, un altro architetto che aveva lavorato con Bramante nel cantiere di Santa Maria della Consolazione. Ma nel 1556 anche Salvi si deve fermare, perché il terreno non sopporta il peso del campanile, mai portato a termine.
LA CHIESA DI MACERETO
La maestà della chiesa, immersa in un paesaggio naturale ancora incontaminato, non si ferma solo all’esterno: Giovanni Battista da Lugano si è dedicato con altrettanta cura all’interno a croce greca, dalle sontuose proporzioni. Al centro è posizionata l’edicola trecentesca, rivestita di pietra nel 1590 da Pietro Casella, mentre nell’abside si possono ammirare alcuni affreschi con scene tratte dalle storie della Vergine e di Cristo, eseguiti nel 1582 da Simone de Magistris. Così l’identità di un artista di indubbio talento è testimoniata da uno degli edifici più remoti d’Italia, finché nuovi studi arrivino a definire meglio la sua storia, celata sugli altipiani dei Sibillini.
Per conoscere meglio il capolavoro di Giovanni Battista da Lugano consigliamo la lettura del testo di Ado Venanzangeli Il santuario di Macereto, pubblicato nel 1996 da La Nuova Stampa a Camerino.
‒ Ludovico Pratesi
LE PUNTATE PRECEDENTI
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I dimenticati dell’arte. Benvenuto Ferrazzi
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