Il silenzio fra gli ulivi. Il Padiglione Libano alla Biennale 2021
Ancora scosso dalla tragedia del porto di Beirut dell’agosto 2020, con una situazione sociale ancora agitata dalle tensioni fra i vari gruppi religiosi e che si riflette anche sull’instabilità politica, il Libano prova a ripartire dalla cultura, seppure fra molte contraddizioni.
Per la Biennale Architettura 2021, la curatrice Hala Wardé ha immaginato un incontro quasi iniziatico con il paesaggio biblico del Paese. Un viaggio nel tempo fra storia e attualità, un preciso richiamo alla grandezza di un paesaggio su cui campeggia l’ulivo, già consacrato ad Atena, ma simbolo di pace e prosperità per tutte le culture mediterranee.
UN PADIGLIONE COME UNA PARTITURA
Non fa eccezione il Libano, che a quasi mezzo secolo dall’inizio della guerra civile, non ha ancora ritrovato completa stabilità, ma solo equivoci periodi di calma piatta. Credendo in un’idea di architettura sociale, in quanto disciplina capace di costruire unità e pace, Wardé ha concepito il Padiglione alla stregua di una partitura musicale in cui risuonano linguaggi artistici, forme e epoche storiche, per far riflettere su radici che si sviluppano a partire da un paesaggio “biblico”, che ha visto nascere civiltà e religioni. Un paesaggio che si idealmente si attraversa grazie alle fotografie di Fouad Elkoury, e alle poesie dipinte di Etel Adnan. In mezzo, un sentiero composto da elementi in vetro, scheggiati, a simboleggiare le distruzioni del 4 agosto scorso e la tortuosità di un ritorno alla normalità che la pandemia ha ulteriormente complicato. Il vuoto e il silenzio, condizioni temporali e spaziali dell’architettura, ma anche elementi nei quali l’individuo riflette su se stesso e su gli altri, nel segno della domanda posta dalla Biennale 2021: come potrà convivere l’umanità del futuro? Wardé suggerisce un recupero della conoscenza spirituale del territorio e del paesaggio, prima architettura con cui l’umanità si confrontò millenni orsono.
ULIVO, SIMBOLO DI PACE
Un punto chiave del Padiglione è la commistione fra natura e architettura, con la prima che in certi momenti sembra sostituirsi alla seconda. Una visione artistico-progettuale commovente, si potrebbe dire, che suggerisce fra le righe la necessità di un approccio olistico alla ricostruzione del Paese, le cui radici affondano nei millenni, proprio come quegli antichi ulivi che ne sono, assieme ai cedri, il simbolo. Ricostruire il Libano significa ricostruire quell’unità sociale, culturale e religiosa che è entrata in crisi nel 1975 e da allora non si è ancora ricostituita. Ulivo luogo di raccoglimento o di incontro, sotto le cui fronde generazioni di contadini si sono riunite per decidere sugli affari del villaggio o per celebrare matrimoni; ulivo metafora di un Paese inteso come “villaggio comune” per maroniti, drusi, musulmani, ebrei. Un Padiglione, quindi, all’insegna dell’arte come della speranza, un appello alla pace dopo quasi mezzo secolo di tensioni e sofferenze.
– Niccolò Lucarelli
Lebanese Pavilion at the Biennale Architettura 2021
Fondamenta Zattere Ai Saloni, 263, 30123 Venezia
www.aroofforsilence.com
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