L’Estremo Oriente alla Biennale di Architettura 2021
Dalla Corea a Singapore, un itinerario fra le proposte suggerite dai Paesi dell’Estremo Oriente alla Biennale di Architettura 2021.
In attesa dell’apertura del Padiglione Cina, prevista per la fine di luglio, gli altri Paesi della medesima area geografica affrontano le sfide sociali della nostra epoca. Fra passato e futuro, l’Estremo Oriente si dimostra dinamico e culturalmente ricco, determinato a utilizzare il suo patrimonio spirituale.
‒ Niccolò Lucarelli
LA FUTURE SCHOOL DEL PADIGLIONE COREANO
Architetti e intellettuali da tutto il mondo, in presenza e collegati in streaming, lavoreranno sotto gli occhi del pubblico nell’ambito di Future School, il campus internazionale sull’architettura ideato dai curatori del Padiglione coreano, che ospiterà mostre, laboratori, installazioni e incontri con il pubblico. Un padiglione “attivo”, curato da Hae-Won Shin, e ispirato nella concezione alle case tradizionali coreane, ma che racconta l’architettura al lavoro, mentre progetta e si confronta in un incubatore internazionale di pensiero radicale, un luogo d’incontro per scambiare idee e progetti per costruire un futuro migliore. L’architettura diventa essa stessa un luogo da vivere e condividere, una sorta di casa comune. Per questo il padiglione, i cui ambienti sono ognuno costituito da un’installazione artistico-architettonica, include spazi domestici e informali come una cucina aperta, un salotto circolare e una stanza per la solitudine e la meditazione, costruita interamente in hanji, una tradizionale carta coreana fatta a mano.
Il progetto Future School (già avviato a Seoul nell’estate 2020) offre oltre 50 programmi che esplorano questioni che vanno dal raffreddamento degli ambienti urbani alla nuova configurazione delle scuole a interventi innovativi per realizzare luoghi di integrazione. A Venezia, in particolare, si svolgeranno seminari sul design, sulla pianificazione urbanistica e la ricerca sulle tecniche di costruzione innovative. L’obiettivo finale di questo ambizioso programma è forgiare nuove e molteplici collaborazioni fra architettura e contesto socio-politico, per fronteggiare le sfide del nostro tempo, fra cui le migrazioni di massa, il cambiamento climatico e l’impatto della tecnologia sulla vita quotidiana.
www.korean-pavilion.or.kr/20pavilion/index.html
SOLIDARIETÀ SOCIALE NELLE FILIPPINE
Nella tradizione del popolo filippino, il bayanihan è il principio che consente ai membri delle comunità di prosperare e vivere insieme, comprende i valori altruistici che si dice caratterizzino i filippini di tutte le classi sociali e, da un punto di vista più concreto, si sviluppa in molte forme di solidarietà che tengono unite le comunità rurali più povere dell’arcipelago. Povere ma, appunto, unite e solidali. Per questo, la mostra fotografica Structures of Mutual Support, curata da Framework Collaborative, punta il dito contro le pratiche architettoniche moderne sottolineando la necessità di un ritorno al bayanihan (con il suo senso della proprietà condivisa e il forte legame di appartenenza), che sviluppa a sua volta quell’impulso al sostegno reciproco e consente alle comunità di prosperare in mezzo alle avversità e alle crisi. Completa il padiglione la riproduzione di un tipico edificio di villaggio, dai molteplici usi comuni.
Parallelamente alla mostra di Venezia, il collettivo terrà una serie di workshop nei villaggi di Angat e Bulacan, per progettare e costruire insieme alla locale comunità Gawad Kalinga alcuni edifici da utilizzare in comune, secondo gli specifici bisogni economici e sociali. Azioni concrete per dare nuovo impulso all’unità sociale.
https://philartsvenicebiennale.org/
PROVE DI CONVIVENZA NEL PADIGLIONE TAILANDIA
Dopo decenni di occidentalizzazione selvaggia che ha prodotto ampi vuoti spirituali nell’identità del Paese, i discendenti dell’antico Siam corrono ai ripari. Analizzando il secolare rapporto che lega il popolo Kuy agli elefanti, il Padiglione Tailandia, curato da un team guidato da Apiradee Kasemsook, risponde alla domanda su come l’architettura possa promuovere modalità di convivenza fra animali e umani, nel rispetto della natura.
La deforestazione ha in gran parte distrutto l’habitat che per secoli ha dato da vivere ai Kuy e ai loro elefanti, cui si sta adesso cercando di porre rimedio con programmi governativi ad hoc, uno dei quali sviluppato nel villaggio di Tha Tum. Il padiglione riproduce una tipica abitazione di questo popolo, esempio di spazio condiviso e di coabitazione fra umani e animali: la casa, infatti, incorpora una struttura che serve da riparo per l’elefante domestico, utilizzato come forza lavoro. Materiali naturali e tecniche di costruzione tradizionali che accolgono costumi abitativi plasmati dall’economia locale. Un grande schermo trasmette invece un documentario che racconta la straordinaria simbiosi fra l’uomo e questi grandi pachidermi, trattati e rispettati come membri della famiglia per riconoscenza al loro contributo al sostentamento del villaggio. In contemporanea con la Biennale, un altro padiglione è aperto in Tailandia, appunto a Tha Tum, e ha le medesime caratteristiche. Una specularità che suggerisce come i villaggi Kuy possano fungere (pure senza elefanti) da esempio di convivenza, anche per società e situazioni profondamente diverse.
www.instagram.com/thailandiabiennalearchitettura/
COMUNITÀ URBANE A SINGAPORE
Città-Stato che sin dal primo giorno dell’indipendenza ha conosciuto una rapida espansione urbanistica, ed è oggi una fra le aree più densamente popolate al mondo, dove la maggior parte della popolazione vive in alloggi governativi, Singapore ha una lunga tradizione di ibridazione fra spazio pubblico e privato. In quest’ottica, poiché l’architettura e il design urbano sono discipline imprescindibili per affrontare le nuove sfide globali, è importante facilitare la partecipazione della comunità alla progettazione degli spazi pubblici. Con questo obiettivo, il padiglione documenta la “tensione produttiva” che si stabilisce fra un’architettura generica e aperta e la sua appropriazione da parte di una comunità urbana ibrida e dinamica. To-gather, curata da un team di cinque architetti, racchiude sedici progetti realizzati dal confronto fra architetti, designer, comunità urbane e organizzazioni senza scopo di lucro, che indagano i diversi modi in cui gli abitanti di Singapore condividono gli spazi pubblici e come questi spazi possono fungere da catalizzatori nel formare relazioni, migliorare la qualità dell’ambiente antropizzato e forgiare nuovi “contratti informali” di gestione dello stesso. Un modo per cementare il senso di comunità e di appartenenza, ma anche per mitigare limitazioni ai diritti fondamentali come la libertà di opinione e di associazione.
Al confronto però con altre esperienze autoritarie indocinesi, caratterizzate da instabilità interna, Singapore si distingue per la stabilità e l’alto tenore di vita degli abitanti. Risultati che, al di là del giudizio storico, passano anche per un’accorta politica urbanistica.
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