Nostalgia del passato. I Paesi balcanici alla Biennale di Venezia
Proseguono i nostri tour geografici attraverso i padiglioni nazionali della 17. Mostra Internazionale di Architettura in corso a Venezia. Dopo i viaggi in Medio ed Estremo Oriente, ora vi proponiamo quello lungo i Balcani.
In un’area geografica in cui la convivenza è sempre stata difficile, e dove alle sfide del passato si sono aggiunte quelle di una contemporaneità non meno conflittuale e alienante, gli architetti dei Paesi balcanici si muovono fra tradizione e futuro. Ma soprattutto si avverte l’esigenza di un’architettura che riqualifichi e rianimi la società, prima ancora degli edifici, dopo anni di crisi socio-economica aggravati dalla recente pandemia.
– Niccolò Lucarelli
ALBANIA: IL BUON VICINATO
Per rispondere al quesito che dà il titolo alla Biennale 2021, How we will live together?, il Padiglione Albania – curato da un team tutto al femminile – suggerisce di ripartire dalla solidarietà sociale, da quei rapporti di vicinanza che, paradossalmente, erano molto stretti negli anni del regime comunista, ma che si sono poi dissolti o quasi con l’acquisito benessere e la globalizzazione dello stile di vita albanese.
Oggi che la solitudine urbana sembra essere una condizione tanto comune quanto tragica, In our home, questo il titolo del Padiglione, rievoca il concetto di “casa aperta”, un modo di intendere la propria abitazione come luogo d’incontro e ospitalità: non c’era casa albanese che, almeno fino a vent’anni fa, non avesse una stanza dedicata al ricevimento degli ospiti, amici o vicini di casa che fossero. Questo spazio sociale per eccellenza, attorno al quale ruotava un sistema di vita basata sulla vicinanza e la conoscenza, è venuto meno sia perché gli appartamenti di nuova costruzione sono più piccoli che in passato, sia perché la vita, soprattutto nelle città, è diventata sempre più frenetica e solitaria, e tanti legami sociali si vanno allentando.
L’installazione, dalle pareti leggere e mobili, rievoca simbolicamente quella società basata sulla vicinanza e la solidarietà, oggi fortemente ridimensionata. A raccontarla, una bella e toccante mostra fotografica, con materiale recuperato da archivi familiari di trenta-quarant’anni fa. Il cambiamento verso pratiche residenziali e urbanistiche capaci di rimettere al centro l’individuo passa anche per un ritorno al passato.
SERBIA: AMPLIARE IL PUNTO DI VISTA
Prendendo in esame la cittadina di Bor, importante distretto minerario nella Serbia orientale, 8th kilometer è il progetto espositivo pensato dalla piattaforma Moderni u Beogradu che indaga il modo in cui la dimensione economica può plasmare il volto di una città e condizionare la vita quotidiana dei suoi abitanti.
Se da un lato l’economia della miniera ha permesso lo sviluppo e l’espansione della città, attirandovi lavoratori anche da altre regioni e facendone una piccola realtà cosmopolita, dall’altro ha però disincentivato politiche di sviluppo alternativo; il volto della città è oggi monotono, grigio e razionale, come fosse l’appendice dell’organizzazione del lavoro in miniera. Per cercare di migliorare l’estetica urbana, ma anche e soprattutto per individuare nuove attività con cui riplasmare l’economia e la vita sociale, la mostra attraversa idealmente quella fascia di sette chilometri lineari che, partendo dalla miniera, arriva alla periferia opposta della città. Una mostra fotografica e documentaria ne racconta la storia e, con il supporto di una grande maquette, indaga lo spazio urbano e industriale di Bor.
L’ottavo chilometro, quello mancante, è quello del cambiamento, inevitabile perché le miniere saranno un giorno esaurite. Per non farsi cogliere impreparati, gli architetti serbi hanno cominciato a studiare alcuni possibili scenari, anche all’insegna dell’ecosostenibilità. Non più soltanto zona industriale, Bor potrà finalmente conoscere nuove e più profonde forme di vita sociale, fatte di cultura e relazioni.
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CROAZIA: DENTRO-FUORI
Comunità e isolamento, vicinanza e distanza: l’universo che circonda ogni individuo può essere plasmato come un set cinematografico o un palcoscenico teatrale, a seconda delle esigenze personali e del contesto storico-sociale. Accentuando il lato artistico della pratica architettonica, il curatore Idis Turato propone un Padiglione-laboratorio, in forma di ready-made nato dall’assemblaggio di elementi provenienti da una fabbrica abbandonata, un cantiere navale, una vecchia garitta in cemento. Uno spazio fisico e metaforico insieme, che impedisce a chi è dentro di vedere chi e cosa rimane fuori, creando una comunità e isolandola dal resto. Gli elementi costruttivi del Padiglione, isolati dal loro contesto originario e adattati a un nuovo scopo, assumono temporaneamente nuove funzioni e molteplici identità possibili, determinando relazioni inaspettate tra loro, ma anche in relazione al visitatore. Punto focale di questo ragionamento, la garitta, che diventa colonna portante della struttura, ma anche “cellula di isolamento” per il singolo, ulteriore elemento di cesura dal mondo esterno. Un Padiglione performativo, che invita il pubblico a ripensare per un momento le relazioni sociali, a come le comunità si formano e si sciolgono, e impattano sulla qualità della vita nelle città.
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KOSOVO: CONTENITORE D’IDEE CONDIVISE
Intitolato Containporary e curato da Maksut Vezgishi, il Padiglione del Kosovo indaga il ruolo dell’urbanizzazione globale la progettazione di ambienti sostenibili. Posto al centro di una mostra a carattere artistico e installativo, l’elemento architettonico del container diventa la metafora per riflettere su come l’umanità possa rispettare e mantenere l’equilibrio dell’ecosistema attraverso politiche urbanistiche rispettose dell’ambiente, con costruzioni a basso impatto energetico, pensate per armonizzarsi con il paesaggio circostante. Il container inteso come spazio architettonico aperto a contributi dalle molteplici sfaccettature, come luogo di dialogo per uno sviluppo condiviso e a basso impatto.
A oggi, tuttavia, gran parte dei nuovi progetti di urbanizzazione su larga scala, o anche soltanto singoli edifici, non sono gestiti in maniera coerente con le attuali necessità di ridurre il consumo di suolo e di risorse. Troppo spesso infatti, entrano in gioco soggetti economici e politici, interessati più al profitto che all’etica, che manipolano le scelte urbanistiche e la realizzazione dei progetti, riducendo al minimo l’uso intelligente delle risorse già esistenti, con ampio impatto sull’ecosistema. E la generale mancanza di una pianificazione sostenibile mette a rischio la sopravvivenza del pianeta Terra. Prima ancora di ripensare le dinamiche di convivenza fra individui, è opportuno ripensare la convivenza fra questi e l’ecosistema.
GRECIA: URBANISTICA E INCLUSIONE SOCIALE
Per pianificare il futuro, molto spesso è utile guardare al passato, e il Dipartimento di Architettura del Politecnico di Salonicco porta a Venezia, attraverso una mostra documentaria, un caso emblematico di pianificazione urbanistica e architettonica che ridisegnò il volto della città nel primo Novecento, quando il francese Ernest Herbard progettò la grande area del Boulevard de la Société des Nations, realizzata fra il 1918 e il 1922, e oggi intitolata ad Aristotele. Luogo d’incontro fra popoli diversi, che proprio su quell’asse viaria e nei suoi immediati dintorni convivevano gomito a gomito: mercanti da tutto il mondo, rifugiati armeni fuggiti dai massacri in Turchia, ma anche bulgari, caucasici, serbi. Una pianificazione urbana capace di rispondere alla geografia umana locale, che si dipanava dalle lussuose case sulla spiaggia alle zone popolari di Egnatia, nell’interno della città, dove ancora oggi abitano molti immigrati. Il viale è costellato di spazi pubblici come piazze, gallerie, porticati, aree verdi, ed è il fulcro della vita pubblica salonichiota. Un microcosmo dove la convivenza è sempre stata la regola, e che nonostante non corrisponda in pieno alle intenzioni del progettista (molti degli edifici che affacciano sulla piazza furono realizzati negli Anni Cinquanta in uno stile razionale molto più semplice rispetto alla grandiosità ancora ottocentesca immaginata da Herbard), ancora oggi costituisce un valido esempio di buona programmazione urbanistica, da cui ripartire per affrontare nuove sfide come l’integrazione dei nuovi flussi di immigrati e la polarizzazione sociale.
Per la cronaca, la Municipalità di Salonicco ha indetto un concorso per la riqualificazione dello spazio pubblico attorno alla piazza, alleggerendo i flussi del traffico e migliorando l’illuminazione.
www.boulevarddelasocietedesnations.com
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