Donne e architettura alla Galleria Nazionale di Roma
Con la mostra “Cosmowomen”, Izaskun Chinchilla propone alla Galleria Nazionale di Roma un progetto di sostenibilità umana del mondo e soprattutto di rispetto tra le persone.
Il percorso offerto alla Galleria Nazionale con la mostra Cosmowomen. Places as Constellations restituisce appieno l’impegno di Izaskun Chinchilla (Madrid, 1975), una figura dell’architettura che da anni è impegnata nel tracciare alcune parabole linguistiche e teoriche legate al “capitale femminile” dell’ambiente in cui si consuma la vita sociale e personale, passionale e pulsionale (il capitale femminile è, nelle parole dell’architetta, “il ruolo che le persone di genere femminile svolgono nella costruzione delle reti di relazioni fra le persone che vivono e lavorano in una particolare società e che permettono che la società funzioni efficacemente”).
Sul versante della praticità – e della plasticità architettonica in alcuni casi volante e tagliente e corroborante – questo suo impegno, ben visibile negli spazi che accolgono Cosmowomen, si configura come un programma riflessivo che investe sul riadattamento e sullo spostamento della domanda da una angolazione puramente patriarcocentrica a una di natura più squisitamente egualitaria. Ancora, nelle sue parole: “Certo, le città non possono essere demolite e ricostruite. Possiamo però adattarle migliorando quei servizi generali che contribuirebbero a una maggior uguaglianza di genere”.
UNA NUOVA CENTRALITÀ PER LA DONNA
Ad accoglierci, in questo percorso, sono tre imponenti strutture sferiche armillari (molto simili a quelle formulate da Eratostene di Cirene nel 255 a.C.) la cui rotondità è determinata dall’intersecarsi di anelli in cartone a nido d’ape – di armille, appunto, su cui sono montati dei dischi progettuali o anche appendici satellitari – che si attraversano tra loro per dar luogo a mondi possibili e futurologici, ad ambienti agili e complessi in cui possiamo cogliere la meccanica integrativa della donna nello spazio della communitas.
Colorati di rosso, di verde, di ocra o di azzurro (o forse blu primario), gli elegantissimi movimenti armillari progettati da Chinchilla sono sormontati da una serie di frasi e parole – leggiamo ad esempio Unhabitable landscape, Landscape configuring architecture, Landscape as a programmatic board, Private space as the eyes of public space – che invitano a ripensare l’esistenza terrestre, non più otturata dall’imperialismo maschile ma da una visione differente, dove tutti gli esseri umani hanno un loro posto a tavola e dove la donna (tuttora esiliata o circoscritta a fatui stereotipi) è energica spinta promotrice, costruttrice di nuove sensibilità.
Simbolicamente associate al Gineceo, all’Onsen e al Parlamento (tre luoghi di coabitazione che negli anni hanno plasmato e introdotto con fatica la “cultura comune delle donne”), queste tre sfere che troviamo nell’ampio Salone Centrale sono corpi che si dilatano e snodano nello spazio, che si spalancano all’esternità e nel loro amplificarsi ci mostrano orizzonti livellari polidirezionali, deflagrazioni modulari, proiezioni di idee, irraggiamenti, reti di pratiche che ridefiniscono e migliorano la polis.
65 ARCHITETTE IN MOSTRA A ROMA
Intesa quasi come una piazza dove tutti possono diventare attori (e qui viene da pensare alla Lettre à D’Alembert dove Rousseau consiglia di piantare “nel centro di una piazza un palo con una ghirlanda di fiori”, sì da poter radunare “il popolo” per avere una festa – “fate ancora di più, fate degli spettatori uno spettacolo: fateli diventare attori anch’essi”), la sala accoglie sulle sue ampie pareti il lavoro di sessantacinque architette di varia nazionalità, tutte provenienti dalla Bartlett School of Architecture di Londra, che rispondono a una serie di quesiti lanciati dagli anelli dei tre nuclei centrali per creare un’atmosfera avvolgente e coinvolgente. Vale la pena ricordarne almeno uno, il Progetto per il tempo dei bambini: meno tempo negli spostamenti quotidiani, più tempo per il divertimento per i bambini di Pechino di Jiao Peng, che “mira a ridurre il tempo impiegato negli spostamenti quotidiani dei bambini di Pechino attraverso nuovi ambienti educativi e residenziali”.
L’OPERA DI IZASKUN CHINCHILLA
Restituire la città al pubblico, e in particolare alla donna ancora troppo intrappolata in una visione urbana a misura di maschio, è il foglio d’aria su cui si tesse questo nuovo racconto disegnato da Izaskun Chinchilla – qualcuno probabilmente ricorderà il gioioso percorso offerto nella riqualificazione del Castillo de Garcimuñoz (2011-16), la sala VIP di ARCOmadrid (2016) o il progetto Clementina (2019), dove Chinchilla ha plasmato l’interno in maniera davvero sofisticata, coniugando elementi tradizionali a intransigenti e spiazzanti forme dal gusto pop – per definire un problema di più ampia natura e offrire vie di cambiamento nell’assetto culturale contemporaneo fatto non più di semplici etichette maschili e femminili, ma di persone.
‒ Antonello Tolve
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