La storia centenaria dei ponti in acciaio. Dal Portogallo all’Africa
Se l’incendio del Ponte dell’Industria a Roma fa ancora discutere, ripercorriamo qui la storia di alcuni fra i primi ponti costruiti in acciaio e ghisa, materiali rivoluzionari a fine Ottocento.
Mentre il battito ritmico delle mani dei turisti aumenta di volume fino quasi a coprire il rumore del traffico, il ragazzo si alza in piedi. Sembra che le sue palme non soffrano il contatto con l’acciaio rovente, e che la sua testa non giri a guardare dall’alto il fiume scorrere sotto di lui. Un’ultima occhiata al suo coetaneo incaricato di raccogliere i soldi sulla sponda che con un gesto della testa gli dice che sì, la somma raccolta è sufficiente a giustificare il salto, e poi si tuffa.
Oporto periferia d’Europa, in quel Portogallo che è rimasto il più mediterraneo dei Paesi atlantici, è anche questo. Nel cuore di una grande città dell’Unione si può assistere al salto di ragazzini dal poderoso ponte in acciaio che divide la città, disposti a mettersi in pericolo per pochi soldi. Eppure quest’articolo non parla di attrazioni di strada né di Paesi lontani, bensì di ponti d’acciaio. Come lo stolto che guardava il dito di Mao, anche qui nel dettaglio del giovane saltatore si è persa quella che è la luna indicata: il ponte Dom Luís I, un arco in ferro lungo 385 metri e alto 85, che varca il fiume Douro unendone le due sponde.
ACCIAIO E FERRO: UNA NOVITÀ RIVOLUZIONARIA
In questi giorni in Italia si è fatto molto parlare del Ponte di Ferro di Roma, vittima di un incendio che ne ha minato la struttura. Il motivo per il quale questa notizia ha tanto sconvolto i cittadini della Capitale è in primo luogo affettivo, dovuto all’abitudine con cui siamo soliti valutare gli elementi paesaggistici cittadini come se fossero i mobili delle nostre case, in secondo luogo artistico. Se infatti oggi i ponti di ferro e acciaio possono apparirci come dei semplici anelli di congiunzione tra le rive, strade sospese sull’acqua, è straordinario pensare che dietro a queste opere architettoniche risiede il progresso tecnologico di un intero secolo, l’entusiasmo festante legato alla speranza per il futuro, e finanche la paura per l’ignoto.
L’acciaio e la ghisa infatti, materiali che oggi siamo abituati a valutare come base dell’edilizia moderna, erano all’epoca misteriosi e incomprensibili come lo sono i microchip o i linguaggi di scrittura informatica alla maggior parte dei nostri contemporanei. Se il grande sviluppo industriale nell’Ottocento ne aveva permesso la diffusione a scopo costruttivo, ottenendo travi con alte resistenze, ancora in pochi avevano compreso la portata rivoluzionaria della scoperta.
DA PARIGI A NEW YORK NEL SEGNO DEI PONTI
È cosa nota che la costruzione della Tour Eiffel di Parigi, nata per l’Esposizione Universale del 1889 e costruita dalla Compagnie des Établissements Eiffel, dell’omonimo “architetto del ferro”, era volta proprio a dimostrare l’incredibile resistenza e versatilità di questo materiale. Ma se in quel caso la sfida era meramente estetica e tecnica, è proprio nei decenni che circondano la costruzione della torre che si comincia in tutto il mondo a progettare e costruire ponti di ferro, destinati in alcuni casi a diventare iconici, monumenti simbolo delle città che le ospitavano tanto quanto lo sarà la torre per la Ville Lumière.
Per capire il motivo di tanta attenzione e tanto timore all’epoca, immaginate di rivivere la prima volta che avete attraversato il Millennium Bridge di Londra, con quelle linee aere leggere che paiono all’occhio dell’inesperto inadatte a reggere grandi pesi. I ponti in acciaio di fine diciannovesimo secolo davano ai contemporanei la stessa idea di fragilità: dopo secoli di pietra massiccia e solida, quelle travi metalliche parevano decisamente non sufficienti. Per fare un esempio di quanto quella percezione fosse forte all’epoca, basti pensare che per inaugurare il Ponte di Brooklyn il 17 maggio 1884 vi vennero fatti passare in contemporanea ventun elefanti, dieci dromedari e sette cammelli, provenienti dal circo di Phineas Taylor Barnum.
IL PONTE DOM LUÍS I A OPORTO
Il ponte Dom Luís I, quello da cui è partito quest’articolo, è della stessa epoca. E non a caso fu progettato e realizzato da un allievo di Alexandre Gustave Eiffel, l’ingegner Theophile Seyrig, che aveva vinto il concorso internazionale con il suo progetto. Oggi ci viene difficile immaginare il senso di stupore che deve aver provato la popolazione locale vedendo inaugurare il 31 ottobre 1886 quella meraviglia di metallo, che andava a sostituire un precario ponte pedonale di barche. Ma che questo tipo di rivoluzione fosse nell’aria in Portogallo le classi più ricche lo avevano già percepito, grazie proprio a Eiffel che dieci anni prima aveva costruito un analogo ponte ferroviario, il ponte Maria Pia, che serviva a sostenere i treni nella tratta tra le due principali città del Paese, la già citata Oporto e Lisbona.
IL PONT FAIDHERBE IN SENEGAL
Ma forse il più notevole ponte d’acciaio dell’epoca i francesi lo costruirono in Africa, in quella che fu la meravigliosa città di Saint-Louis, oggi decadente sogno coloniale destinato a essere inghiottito dalla foce del fiume Senegal.
Questa città, simbolicamente avamposto della Francia su un altro continente, si trova come Manhattan su un’isola, e nel 1858 era collegata alla terraferma solo da un ponte di chiatte, insufficiente a sopportare l’incremento del traffico dovuto alla colonia.
Nel 1891 il governatore decise di costruire il Pont Faidherbe, e per l’opera fu interpellato come consulente il maggior esperto di ponti metallici dell’epoca, ovvero l’ingegnere Jean Résal, autore di tutti i principali ponti di metallo di Parigi e della Francia (Pont Résal a Nantes, Ponte del Generale de la Motte Rouge a Nantes, Pont Mirabeau, Ponte Alessandro III, Pont de Bercy, Passerelle Debilly e Pont Notre-Dame a Parigi).
Costruito nel 1897 dalla ditta Nouguier, Kessler & Compagnie d’Argenteuil, e inaugurato nella data non casuale del 14 luglio dal governatore generale Jean-Baptiste Chaudié, il ponte è ancora lì nonostante il passaggio dei secoli e le difficoltà di preservazione che ne hanno richiesto la ricostruzione tra il 1929 e il 1931, oltre a riparazioni nel 1987 e 1999.
Nonostante questi continui lavori, nel nuovo millennio sono stati necessari ulteriori interventi, fortemente voluti dal governo senegalese che vi ha investito 22,5 miliardi di franchi CFA.
Se in Europa questi ponti sono parte del passato, in Africa hanno un ulteriore significato: sono l’eredità dolorosa della storia e al contempo il simbolo della capacità di gestire il proprio patrimonio culturale, e non a caso questo ponte oggi è Patrimonio dell’umanità UNESCO.
‒ Federico Silvio Bellanca
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