A Monza l’architettura moderna a portata di smartphone
Dal mese di ottobre, 25 targhe con riconoscimento digitale sono apparse per le strade di Monza. Esito della collaborazione tra il Comune di Monza e l'Ordine degli Architetti PPC di Monza e della Brianza, il progetto è finalizzato al riconoscimento e alla valorizzazione del patrimonio architettonico moderno diffuso sul territorio
All’occhio familiare del monzese o a quello curioso del turista non saranno sfuggite venticinque targhe dorate, nuove pietre miliari per l’Architettura Moderna cittadina. Che si proceda a piedi nel centro storico, a pedali per le periferie o a zonzo tra i vialoni alberati del parco, i segni architettonici del secolo scorso non mancano: spetta a noi ritrovarli, conoscerli e – finalmente – apprezzarli. Questo lo scopo principale delle targhe, frutto di un progetto triennale portato avanti dall’Ordine degli Architetti di Monza OAPPC e denominato AMM Architetture Moderno Monza.
Al momento dell’affissione, Andrea Meregalli – architetto e vice presidente dell’Ordine – ha spiegato che il desiderio è stato proprio quello di rendere i cittadini consapevoli del valore storico, artistico e culturale degli edifici che li circondano, di cui spesso ignorano le ragioni. Si tratta effettivamente di architetture colte, purtroppo trascurate da gran parte della storiografia moderna per via della loro provincialità. Da Portaluppi a Mangiarotti, da Caccia a Gio Ponti, una mappa virtuale permette di riunire i caratteri principali di ciascuna opera rendendoli a portata di smartphone. Ecco una guida a cinque progetti emblematici, disseminati sul territorio cittadino e dalle storie eterogenee fra loro.
‒ Giuseppe Galbiati
http://www.ordinearchitetti.mb.it/amm-architetture-moderno-monza.html
LUIGI CACCIA DOMINIONI ‒ PALAZZO OXFORD, CORSO MILANO 23 (1963)
Resterà abbagliato chi, in un tardo pomeriggio estivo, arriverà a Monza da Milano. Che abbia deciso di procedere in macchina o in treno, vedrà due imponenti torri riflettere gli ultimi raggi di sole. Merito di quel rivestimento in klinker bruno, che ben rappresenta ciò che Fulvio Irace ha giustamente chiamato lo Stile di Caccia. Le torri costituiscono la porta di ingresso alla città di un complesso multifunzionale più ampio, una delle tante trame urbane che caratterizzano l’opera dell’architetto milanese. Si tratta di un edificio complesso che, articolandosi su più livelli, sia costruiti che funzionali, svolge l’importante ruolo di connettore tra la piazza antistante la stazione, posta a una quota più bassa, e la parte più alta della città. Ai piani inferiori sono così previsti servizi pubblici con scalinate, portici e percorsi pedonali completamente permeabili. A completare l’insieme è un corpo aggettante in calcestruzzo armato che Dominioni vuole destinare a uffici. L’uso delle forme e dei materiali, in particolare per quanto riguarda i balconi, le fenditure e soprattutto il rivestimento delle torri, ricorda molti dei più celebri edifici milanesi di Caccia. Dalla casa in Piazza Carbonari alle residenze di via Nievo, dove il klinker a filo col serramento definisce il carattere espressivo dell’intero edificio. Anche per Monza vale quanto sosteneva l’architetto: “Ho cercato di inventare un tipo di casa dove il rivestimento fosse complanare col serramento. Quindi non gioco con lo scuro ma con la complanarità”. E proprio questi stessi caratteri distintivi permettono di riconoscere le altre sue case monzesi, primo fra tutti il Complesso Edilparco, a testimoniare l’attenzione di uno dei grandi maestri del Novecento nei confronti di una città dalle potenzialità tutt’altro che provinciali.
PONTI FORNAROLI ROSSELLI ‒ CENTRO DI CONTROLLO RAI, VIA MIRABELLINO (1950-54)
Oltrepassando il centro storico e immergendoci nel polmone verde della città, poco a nord della Villa Reale, possiamo scorgere, quasi celato tra gli alberi, un basso edificio a sviluppo orizzontale. Si tratta dell’ex Centro di Controllo RAI, progettato dallo studio Ponti Fornaroli Rosselli. Passeggiando con Lorenzo Bini, architetto che ha profondamente studiato l’edificio, osserviamo come “l’insieme nasca dalla necessità di rispondere a concrete esigenze tecniche, sempre permeate da elementi tipicamente pontiani”. In pianta la forma curvilinea dell’edificio ricorda quella di una parabola affacciata sul parco, sovrastata da una elegante torretta circolare, realizzata completamente in legno per poter captare al meglio le onde radio senza influenzare le apparecchiature presenti. Posteriormente un corpo più semplice e squadrato accoglie invece gli alloggi e i locali di servizio. Così nel 1954 Antonio Fornaroli descriveva la sede RAI su Edilizia Moderna: “Espressione di delicatissime funzioni scientifiche, quasi posata più che costruita sul verde […] si apre con un ampio semicerchio vetrato verso i prati del Mirabellino”. Effettivamente un piano seminterrato, quasi invisibile e arretrato rispetto al filo esterno della facciata, genera uno scuro che alleggerisce il corpo superiore, che tocca lieve il verde dei prati. La facciata principale ha purtroppo subito modifiche negli anni, perdendo l’originale trasparenza dei vetri, a favore di una soluzione più riflettente e vedendo la sostituzione integrale dei serramenti. Anche a livello cromatico si è perduta la colorazione storica del fronte giocata sui toni del rosso, nella pensilina, nei corrimano e nella fascia basamentale. Ormai abbandonato da circa due anni, l’edificio della RAI resta un “oggetto” dall’alto livello tecnologico, che speriamo abbia presto una nuova vita.
VITTORIO FAGLIA ‒ EDIFICIO RESIDENZIALE, VIA ZANZI (1953)
Torniamo ora nella zona storica della città, a pochi passi dal centro, attraversando alcune vie destinate essenzialmente a condomini residenziali. Tra questi, in via Zanzi, spicca per l’equilibrata composizione volumetrica l’edificio per abitazioni di Vittorio Faglia, architetto noto soprattutto per le numerose realizzazioni che ancora oggi scandiscono il territorio brianzolo. Se il lessico generale è nel suo rigore geometrico di chiaro stampo razionalista, il fronte su strada dall’andamento sfaccettato mostra un’apertura, seppur timida, a un atteggiamento più organico. A caratterizzare questa facciata è un ricercato gioco di pieni e di vuoti, generato dalla disposizione dei serramenti, dagli scuri in legno scorrevole e dai frangisole in calcestruzzo, posti in corrispondenza delle ampie finestre a tutta altezza delle scale. Dall’altro lato i due fronti minori completamente ciechi concorrono a definire l’edificio come un solido blocco compatto. Così, superando i limiti imposti da un lotto particolarmente complesso e dal rigido regolamento edilizio, Faglia trova il modo di svincolarsi dagli schemi speculativi più banali, ritrovando nel ritmo e nella geometria compositiva le massime possibilità espressive. Pensata per famiglie benestanti, la costruzione si distingue anche per una grande cura del dettaglio. Si notano in particolare le ampie gradonate d’ingresso in beola a sbalzo che conducono a una luminosissima hall d’accesso con rivestimento parietale in tesserine ceramiche. L’attività di Faglia, con gli altri suoi progetti, dimostra come la qualità moderna del tessuto architettonico monzese non sia solo dovuta all’arrivo in città dei grandi maestri milanesi, ma sia anche il frutto dell’opera di numerosi professionisti quotidianamente impegnati sul territorio, laddove “la ristrettezza dell’ambiente deve aver resa la battaglia anche più dura” (Edilizia Moderna, n. 51, 1963).
JUSTUS DAHINDEN ‒ COMPLESSO PARROCCHIALE CHIESA DI SAN GIUSEPPE (1972-76)
Cambiando nuovamente tipologia edilizia, ci spostiamo verso sud, nel quartiere San Giuseppe. Qui troviamo l’omonima chiesa, il cui ampio complesso parrocchiale è il risultato di un bando di concorso del 1970, vinto dall’architetto svizzero Justus Dahinden. Si tratta di una proposta progettuale integrale, che supera la singola chiesa, prevedendo una realizzazione articolata in diversi volumi edilizi quali la canonica, la biblioteca parrocchiale, il campanile e un’arena ottagonale, ponendosi quale riuscita occasione per il riordino del preesistente tessuto urbano. Secondo una composizione suggestiva che richiama l’idea di un borgo medievale, ogni edificio nasconde le visuali al passante e lo prepara a incontri nuovi e inattesi. A unificare linguisticamente i corpi è la scelta di un materiale comune: il mattone di laterizio faccia a vista, che rimanda a molti dei più noti modelli nordici. L’eco dell’architettura scandinava non si fa però sentire solo negli esterni, bensì anche all’interno della chiesa, dove la luce diviene un elemento dominante nella definizione degli spazi. Carica di valori spirituali e simbolici, la luce passa per tre fenditure principali radente alle pareti inclinate rivestite di legno e mattone, guidando lo sguardo verso il tabernacolo e l’altare. Innovativa è anche la disposizione asimmetrica dell’assemblea liturgica, che evita l’abitudinarietà e mira a un coinvolgimento personale nella celebrazione. Per questa ragione l’architetto svizzero sceglie come seduta non le solite e pesanti panche di legno, ma delle leggere sedie, che ogni individuo può collocare nella posizione più adatta al tipo di funzione in corso. Così, nella sua originalità compositiva, la chiesa di San Giuseppe concorre ad arricchire il panorama costruito monzese, con una portata architettonica internazionale carica di rimandi alle più riuscite esperienze estere.
FREDI DRUGMAN ‒ EDIFICIO RESIDENZIALE, VIA TOSCANA (1957-59)
L’ultima tappa di questo percorso ci porta in via Toscana, dove Fredi Drugman realizza un particolare edificio residenziale. A differenza di Faglia in via Zanzi, si tratta in questo caso di un’opera di edilizia sociale, svolta su incarico dell’INA-Casa. Sedici alloggi sono distribuiti su quattro piani e contenuti in un involucro dalle ricercate trame in mattoni. Curiosa è la scelta di abbinare una struttura in calcestruzzo a telaio con murature portanti esterne, che l’architetto spiega nelle ragioni della sincerità costruttiva, ossia “l’intendimento di portare il paramento di laterizio all’esterno non come un rivestimento, ma sulla base di una precisa motivazione di indole costruttiva” (relazione di progetto). Nella sua composizione l’edificio rivendica chiaramente il ruolo sociale e politico dell’architettura e del disegno della città, tema sempre caro a Drugman. Accentuando un senso di parità sociale, oltre che per efficaci ragioni distributive, tutti gli appartamenti si configurano in maniera analoga. I locali della zona giorno sono disposti verso sud e arricchiti da ampie logge, pensate come ulteriori spazi per il soggiorno all’aperto. Le camere e i servizi sono invece posti a nord, definendo un prospetto geometricamente più sobrio. Il doppio affaccio di tutti gli alloggi dimostra l’attenzione a garantire condizioni di aerazione ottimale per gli abitanti. L’accento comunitario dell’edilizia sociale passa anche nella progettazione del piano terreno: qui un ampio porticato è pensato come il luogo di incontro per eccellenza, adatto al gioco dei bambini e allo svago degli adulti. Questi cinque progetti nella loro eterogeneità tipologica e funzionale dimostrano una comune attenzione all’azione progettuale e concorrono alla definizione di un tessuto edilizio moderno di alto valore, invitando cittadini ‒ e non solo ‒ alla riscoperta di altri e altrettanto interessanti edifici monzesi.
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