Quale futuro per la Mostra d’Oltremare di Napoli?
Uscito nel 2021, il libro “Mostra d’Oltremare nella Napoli occidentale. Ricerche storiche e restauro del moderno” riaccende i riflettori su un’area strategica per la Città Metropolitana. Che rappresenta un unicum per il capoluogo campano da conoscere e riattivare
È stato presentato, nella nuova aula magna di Palazzo Gravina a Napoli, il volume Mostra d’Oltremare nella Napoli occidentale. Ricerche storiche e restauro del moderno, curato da Aldo Aveta, Alessandro Castagnaro, Fabio Mangone ed edito da FedOA Press ed Editori Paparo. Voluto dal regime, il polo fieristico è da tempo sottoutilizzato e in attesa di una adeguata rifunzionalizzazione, nonché di restauri. Dalla sua disamina emerge come sia necessario inquadrare la Mostra in una visione sistemica, come valevole porzione della città dotata di un ricco patrimonio architettonico e arboreo, da mettere in rete con le vicine infrastrutture, con le terme e l’ippodromo di Agnano e in primis con la piana di Bagnoli, che da trent’anni ancora attende il suo destino.
LA STORIA E L’ARCHITETTURA DELLA MOSTRA D’OLTREMARE
Nel quartiere di Fuorigrotta viene edificata tra il 1938 e il 1940 la Triennale delle Terre Oltremare. A essa veniva affidata una duplice funzione: celebrare la politica coloniale del regime, a quel tempo all’apice del consenso con la proclamazione dell’Impero nel 1936, e dotare la città di una struttura moderna, che fosse attrattiva e di richiamo per manifestazioni espositive, culturali, turistiche ed economiche. La progettazione plano-volumetrica è affidata a Marcello Canino ‒ che realizzerà anche il Palazzo degli Uffici in prossimità del varco di accesso sull’odierno piazzale Tecchio ‒ e prevede 36 padiglioni su una superficie di circa 1.000.000 di metri quadrati e 36mila alberi ad alto fusto, costituenti il suo suggestivo e variegato parco arboreo. La Mostra d’Oltremare ha rappresentato, soprattutto per i primi laureati della facoltà di architettura di Napoli istituita nel 1928, uno straordinario trampolino professionale. Il loro apporto ha inciso, infatti, sul tono generale del complesso, diluendone l’enfasi e la magniloquenza tipici di quel periodo storico. Nella sua unitarietà si riscontrano sia la corrente accademico-classicista, sia quella razionalista, in una virtuosa sintesi fra tradizione e innovazione avvolta da un’aura di mediterraneità.
IDENTITÀ MEDITERRANEA ALLA MOSTRA D’OLTREMARE
La tradizione ha trovato forma nei padiglioni neo-eclettici dell’Africa orientale (poi “Cubo d’oro”) e delle isole italiane nell’Egeo (l’attuale “padiglione Rodi”), realizzati rispettivamente da Mario Zanetti e Giovan Battista Ceas. A essa ha fatto da contraltare la razionalità delle “Serre Botaniche” (demolite nel 1981 per far posto ai container degli sfollati del terremoto) e del “Ristorante con Piscina”, entrambi di Carlo Cocchia, la torre del partito fascista (poi “Torre delle Nazioni”) di Venturino Ventura, l’“Arena Flegrea” di Giulio De Luca. E ancora la “Fontana dell’Esedra” di Luigi Piccinato e Cocchia, il padiglione della “Sanità, Razza e Cultura” di Ferdinando Chiaromonte, odierno Centro Congressi.
La Triennale, così come concepita dal regime, ha avuto però vita breve: inaugurata nel maggio del 1940, sarà chiusa il mese successivo a seguito della partecipazione dell’Italia al secondo conflitto mondiale. Danneggiata dalla guerra, riaprirà al pubblico nel 1952 con la Prima Mostra Triennale del Lavoro Italiano nel Mondo. Fra i progettisti coinvolti nei restauri, orientati verso una nuova veste “razionalista”, oltre a quelli già attivi originariamente, si aggiunsero i giovani Michele Capobianco, Arrigo Marsiglia, Alfredo Sbriziolo, Delia Maione, Elena Mendia, Marcello Sfogli, Massimo Nunziata, Raffaello Salvatori.
IL LIBRO SULLA MOSTRA D’OLTREMARE
Il volume curato da Aldo Aveta, Alessandro Castagnaro, Fabio Mangone, docenti afferenti al Dipartimento di Architettura di Napoli (DIARC), con i contributi di circa 45 autori per lo più docenti della “Federico II”, a cui si aggiungono quelli di altri provenienti dall’Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli” e dell’Università degli Studi “Suor Orsola Benincasa”, approfondisce in un’ottica multidisciplinare gli aspetti storici, architettonici e del restauro relativi alla Mostra d’Oltremare. Azione certamente ambiziosa questa, come espressamente dichiarato dai curatori, i quali si propongono di “fornire un quadro che si avvicini quanto più possibile a una comunque impossibile esaustività”. E ancora di “delineare per esso uno scenario futuro adeguato al suo valore, a partire da un corretto recupero delle multiformi e pregiate architetture che lo compongono”. Il polo fieristico rappresenta un unicum per Napoli, che nel poderoso volume, grazie alla rigorosa metodologia di ricerca e al (per lo più) inedito apparato iconografico, viene riletto criticamente volgendo lo sguardo al futuro dell’area occidentale, in cui insiste il complesso. Infatti soltanto attraverso la conoscenza si possono innescare “circoli virtuosi” di conservazione, restauro e rifunzionalizzazione dell’opera. Alle origini del testo la convenzione stipulata nel 2012 dalla Mostra d’Oltremare SpA, al tempo sotto la presidenza Rea, con l’allora Dipartimento di Storia e Restauro della Facoltà di Architettura di Napoli, guidato da Benedetto Gravagnuolo alla cui memoria il libro è dedicato. Essa, insieme ad altre convenzioni universitarie, era stata stipulata per fornire una base scientifica per gli interventi di recupero del patrimonio materiale e immateriale della Mostra, andati poi tristemente disattesi. Il volume, strutturato in quattro aree tematiche, ha il valore di un progetto, ponendosi come riferimento per le amministrazioni alle quali è affidato il compito di individuare, quanto prima, nuove vocazioni per una delle porzioni più significative della Città Metropolitana.
PASSATO E FUTURO DEL POLO FIERISTICO DI NAPOLI
Alla presentazione hanno preso parte, in prima battuta, Matteo Lorito, rettore dell’Università “Federico II”, Gaetano Manfredi, sindaco di Napoli, Federica Brancaccio, presidente ACEN Napoli, e Michelangelo Russo, direttore del Dipartimento di Architettura di Napoli, il quale ha anche moderato l’incontro. Nei loro interventi è stato sottolineato il cospicuo valore dell’opera di ricerca alla base del testo, nella quale, come ricordato da Russo, l’università svolge la “funzione di cerniera per lo sviluppo di conoscenze e l’elaborazione di visioni di futuro”. Futuro della Mostra per la quale vanno intercettate nuove funzioni, oltre a quella espositiva, per altro oggi molto ridimensionata dall’introduzione dell’e-commerce e del virtuale. La seconda sessione dell’incontro si è caratterizzata, invece, per gli interventi di Francesco Barbagallo, professore emerito di Storia contemporanea della “Federico II”, di Pasquale Belfiore, presidente della Fondazione Annali dell’Architettura e della Città, di Renato De Fusco, professore emerito di Storia dell’architettura della “Federico II”, di Paolo Giordano e Antonella Greco, docenti rispettivamente presso l’Università della Campania “Luigi Vanvitelli” e presso la Sapienza di Roma. In questa fase conclusiva ci si è focalizzati sull’analisi del contesto storico-architettonico, che ha condotto alla fondazione della Mostra, individuando analogie e differenze con il pressoché coevo quartiere dell’E42 a Roma. E ancora di come sia, per Belfiore, “assente o complicata la relazione della Mostra con la città”. Passando invece all’articolazione del testo, Giordano ha riportato i suoi capisaldi riconducibili a un duplice obiettivo: “Conoscenza del passato e adeguatezza per il futuro”. Parola chiave, questa, che come si può ben notare è più volte emersa durante i lavori e nel libro, passando dalla rilettura dell’area in una chiave sistemica con l’ex-Collegio Ciano e l’ex-ILVA di Bagnoli, anch’essi in attesa, purtroppo da tempo, di conoscere il proprio destino.
– Carlo De Cristofaro
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