Riapre dopo i restauri il Palazzo Fortuny a Venezia e diventa museo. Le immagini
Il Palazzo che racconta la storia di Mariano Fortuny e racchiude le sue collezioni diventa museo del circuito della Fondazione Musei Civici di Venezia.
La notte del 12 novembre 2019 Venezia si ritrovò sott’acqua. Non la “solita” acqua alta, ma un’”Acqua Granda” che invase, irrefrenabile, gran parte della fragile città. Si insinuò anche all’interno di palazzo Fortuny: il pavimento in tavolato di legno sembrava spacciato, e la situazione assai grave. Passata l’emergenza, si fece la conta dei danni e si constatò la necessità di procedere a un risanamento del piano terra: serrato il portone, cominciarono importanti lavori – cui ha contribuito con 500mila euro, sotto forma di Art Bonus, l’insegna PAM Panorama – che hanno coinvolto l’impiantistica e grazie ai quali si è potuto salvare anche il pavimento originale, rialzandolo peraltro di 16 centimetri per metterlo in sicurezza nel caso di ulteriori eventi infausti. Ma non è tutto: oggi quello che si visita è un palazzo “rinnovato”, trasformato da sede di mostre temporanee a museo permanente del circuito della Fondazione Musei Civici Venezia e che ha l’obiettivo di raccontare la vita e le opere di Mariano Fortuny.
LA STORIA DEL PALAZZO FORTUNY
Chi ricorda il precedente aspetto delle sale rimarrà stupito dalle novità e dalle diverse atmosfere che sono state rievocate dal regista e scenografo Pier Luigi Pizzi, cui spetta il riallestimento insieme alla direttrice Gabriella Belli e a Chiara Squarcina. Ripercorriamo allora i piani e le sale: varcato l’ingresso si incontrano la biglietteria e il bookshop, oltre il quale l’ampio spazio con muri a vista accoglie alcune opere di artisti americani, tra cui Lawrence Carrol e David Simpson, donate alla Fondazione dalla Raccolta Panza di Biumo. La vecchia e angusta scala in legno conduce al mezzanino, destinato a esporre dei pannelli didattici, e poi al cuore del museo: nel vastissimo “portego” del piano nobile si è ricostruita la poliedrica attività di Mariano Fortuny e della moglie Henriette Nigrin prendendo spunto dalle fotografie dell’epoca e recuperando una miriade di opere e oggetti conservati nei depositi dello stesso palazzo. Le sezioni sono fluide, al pari degli interessi del protagonista, che spaziavano dalla pittura all’illuminotecnica, dalla scenografia alla fotografia e all’incisione, nonché alla decorazione dei tessuti che divenne il “core business” della coppia, tanto che ancora oggi esiste la Tessuti Artistici Fortuny, società che collaborerà con il museo per i prossimi cinque anni.
IL MUSEO FORTUNY A VENEZIA
La novità che colpisce di più questo piano nobile è la luce, quella che mancava quasi totalmente nel precedente allestimento: entra dalle ampie finestre polifore gotiche e si appoggia su un trionfo di dipinti – sia di Mariano Fortuny sia del padre –, di pregiate stoffe decorate – come il sontuoso corredo funerario per il XIV duca di Lerma e i raffinatissimi i costumi di scena realizzati l’Otello di Giuseppe Verdi – e poi sugli oggetti di alto artigianato, sulle lampade ispirate ai pianeti e sui mobili disegnati dal padrone di casa. Luminosissimo e coloratissimo è ora anche il “giardino d’inverno”, un ambiente dipinto da Fortuny tra 1915 e 1940 che lo ha animato con figure allegoriche, satiri, animali esotici disposti in una loggia “alla Veronese” ricca di motivi vegetali e ghirlande fiorite; qui è ospitato anche il modellino della “cupola” con cui Fortuny portò nei teatri di tutta Europa luce indiretta e diffusa, cieli colorati e nuvole. Nelle altre stanze aperte ai lati del “portego” si visitano l’ipotetico atelier di pittore con dipinti di Mariano, riproduzioni di statue antiche e gli strumenti del mestiere; o ancora la sala con le armi e armature – alcuni pezzi provengono dalle raccolte civiche veneziane – che evocano l’originaria collezione della famiglia e poi un focus sulla passione di Fortuny per la musica wagneriana e per concetto di “opera d’arte totale”. Ovviamente non manca la moda: del resto lo scialle Knossos e l’incantevole abito Delphos dai primi anni del Novecento divennero simboli dell’emancipazione femminile. Il secondo piano, visitabile solo a partire da giugno, consente di sbirciare da “dietro le quinte” gli atelier di Mariano ed Henriette: sui tavoli si ammira quel che resta della raccolta di incisioni, la collezione di tessuti della madre Cecilia de Madrazo y Garreta, gli studi e le matrici per la stampa su tessuto, le attrezzature per la fotografia e pure tante fotografie d’epoca. E c’è anche la biblioteca, con gli arredi da lui disegnati, gli schedari e oggetti curiosi. Infine il sottotetto: sarà l’ambiente destinato all’attività didattica e per le conferenze.
– Marta Santacatterina
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