Dialoghi di architettura. Intervista ad Antonio Fanigliulo

Allievo di Giovanni Michelucci, al quale deve l’amore per la ricerca organica, l’architetto Fanigliulo si racconta facendo luce sul suo modus operandi, sul peculiare rapporto con il decostruttivismo e sul ruolo dei progettisti nella società contemporanea

Un poeta può eccitare dolci e vive emozioni anche con un discorso ordinario e dire con decenza cose comuni. Così le ingegnose disposizioni di un abile architetto daranno lustro ai più vili materiali; mentre gli sforzi di un ignorante presuntuoso renderanno spiacevoli le più sontuose costruzioni”. Con quest’adagio del Milizia, Giovanni Fuzio ben definisce il pensiero dell’architetto Antonio Fanigliulo (Grottaglie, 1948), formatosi presso l’Università degli Studi di Firenze, dove ha avuto come maestro Giovanni Michelucci.
Nella sua produzione, Fanigliulo ha realizzato prevalentemente residenze private e chiese in periferia, ma anche edifici polifunzionali o restauri conservativi come quello del Castello Episcopio a Grottaglie. Alla fine degli Anni Ottanta si avvicina al Decostruttivismo, producendo opere che si guadagnano il plauso di Bruno Zevi. Proprio sulle pagine de L’Architettura. Cronache e Storia vengono presentati alcuni dei suoi manufatti più emblematici, dai quali si evincono la sua tensione all’organicismo (di stampo wrightiano nell’edificio di viale Trentino a Taranto, 1982) e la forte espressività conferita alle strutture da lui stesso calcolate (come nell’edificio plurifamiliare di Grottaglie, 1985). Notevole è l’attenzione conferita ai materiali e alla plasticità delle sue opere, in un sapiente gioco di pieni e vuoti, in cui l’istanza organica e la decostruzione si compenetrano restituendoci un suggestivo dinamismo geometrico. Di taglio espressionista è invece l’edificio polifunzionale di via D’Aquino a Taranto (1992), in cui l’utilizzo del mattone a faccia vista gli consente di creare “elementi fuori piombo che simulano un dissesto facendo temere l’ipotesi di un imminente crollo” (M. Pisani, Edificio polifunzionale a Taranto, in Costruire in Laterizio, 45/1995) aprendo così un dialogo con le vicine rovine romane e col prospiciente Museo Nazionale.

Ritratti di Fanigliulo

Ritratti di Fanigliulo

L’ARCHITETTURA SECONDO ANTONIO FANIGLIULO

Dei progetti più recenti (2021) citiamo quelli sviluppati in sinergia con la figlia Chiara, anche lei architetto, relativi a due concorsi sviluppati rispettivamente per il Comune di Taranto e per l’ADISU Puglia. Nel primo si è proposto la rigenerazione urbana del quartiere “Porta Napoli-Tamburi” nei pressi dell’ex-ILVA, sviluppando un modello di “Città Verticale Integrata” di circa 20.000 abitanti, in cui ogni unità urbana si configura come una città tra i 2.000-5.000 abitanti dotata di funzioni e servizi primari e amministrata come un municipio.
Nel secondo, invece, concernente il restauro di Palazzo Frisini (edificio degli inizi del Novecento) a Taranto si è proceduto con l’“aprire l’edificio alla città” strutturandolo come contenitore polifunzionale di servizi, commerci, ma anche sede per meeting, studi professionali, con l’ardita soluzione della grande bolla di vetro sulla terrazza di copertura adibita ad auditorium, ristorante, sala conferenze.
Numerosi spunti emergono avvicinandosi alle opere di Fanigliulo e alla sua filosofia progettuale. In essa troviamo citate spesso le parole bellezza, benessere, ma soprattutto “uomo”, delineando una visione in cui riassume particolare rilievo il ruolo dell’architetto.

Antonio Fanigliulo, Edificio polifunzionale di via D’Aquino, Taranto, 1992, courtesy Studio Fanigliulo

Antonio Fanigliulo, Edificio polifunzionale di via D’Aquino, Taranto, 1992, courtesy Studio Fanigliulo

INTERVISTA ALL’ARCHITETTO ANTONIO FANIGLIULO

Ci può descrivere l’incontro con Giovanni Michelucci? Cosa conserva della sua lezione?
Mio primo maestro, e ancora oggi punto di riferimento essenziale nel mio lavoro, da studente ho avuto il piacere e l’onore di incontrarlo nella sua casa di Fiesole per catturargli il pensiero in conversazioni lunghe e affascinanti. In un parlare sereno, semplice, schietto e asciutto, si faceva ascoltare in un incantevole magico silenzio. Alla sua scuola, con Leonardo Ricci e Leonardo Savioli, ho maturato l’amore per la ricerca organica ma anche il rispetto per l’umanesimo della materia nell’uso dei materiali: dalla pietra al cemento all’acciaio alla natura stessa, spesso intesa proprio come “materiale” dell’architettura.

Criticamente la sua produzione passata e anche parte della più recente viene etichettata come decostruttivista. Lei come si autodefinisce?
Vengo inquadrato, e considerato, nello “stereotipo” del Decostruttivismo, e forse certamente lo sono. Però devo dire che per me la “decostruzione” dei volumi nello spazio (forse, per quanto mi riguarda, sarebbe meglio dire delle “funzioni” nello spazio) è un punto di arrivo, non di partenza. Direi che è una “necessità” nella quale, quasi casualmente, “scivolo” e mi ritrovo, con la consapevolezza che anche la bellezza è una condizione del benessere: l’architettura è arte, perciò è, e deve essere anche, bellezza.

Qual è la sua filosofia progettuale?
Quando inizio a progettare qualsiasi cosa ‒ una casa, una chiesa, un edificio commerciale o una struttura pubblica, un villaggio turistico o una piazza parto sempre dal “razionalismo – funzionalismo” umanistico e poi mi ritrovo, quasi inconsapevolmente, ma inevitabilmente, nel “decostruito”: ma forse è proprio la vita dell’Uomo che è decostruita! Quindi il decostruttivismo è una condizione di ovvietà, per la forma quanto per la sostanza.

Antonio e Chiara Fanigliulo, Concorso di progettazione per Palazzo Frisini, Taranto, Schizzo di prospetto e sezione, courtesy Studio Fanigliulo

Antonio e Chiara Fanigliulo, Concorso di progettazione per Palazzo Frisini, Taranto, Schizzo di prospetto e sezione, courtesy Studio Fanigliulo

I PROGETTI DI FANIGLIULO

Nelle sue opere la componente strutturale ha un’importante valenza estetica. Ce ne può delineare i principi ispiratori?
La struttura portante e persino la sua sfida strutturale va vista e intesa come attestato di coraggio e schiettezza, verità e bellezza dell’architettura! [cita Pier Luigi Nervi, N.d.R.]
Far emergere e mostrare l’essenza di un edificio: la sua forza portante, la sua chiarezza di composizione geometrica e volumetrica, la schiettezza delle linee di forza, che sono anche di linguaggio, significa rendere la “verità” di pensiero della sua ideazione.
Forse a determinare il mio pensiero è stata l’infanzia trascorsa fra i costruttori di “tendoni” per gli impianti vitivinicoli, realizzati nella loro essenzialità strutturale, trasmettendomi il senso della sobrietà e della “portanza statica” e, al tempo stesso, l’amore per l’essenzialità strutturale che inconfutabilmente diviene emozione, equilibrio. In un’opera architettonica, mostrare chiarezza delle sue linee strutturali (romanico e gotico) è segno di eleganza e distinta verità.

Come declina l’istanza organica con la decostruzione?
Se devo progettare un’area pranzo o relax modello lo spazio in funzione dei movimenti, non solo fisici ma anche visivi e persino acustici e olfattivi, delle persone che dovranno occuparlo e viverlo il suo interno. Così inclino o ruoto le pareti per captare la luce o i raggi solari, per esporre un quadro o fissare uno schermo televisivo. Se devo intercettare una veduta paesaggistica, il mare o la campagna, oppure una vista di lunga gittata, persino sfidando la tecnica e la scienza delle costruzioni, porto l’aggetto fino al punto estremo per lanciare le sguardo al punto di interesse o al panorama. Quindi si finisce per “decostruire” i piani, le superfici e gli spazi, i rapporti materici e cromatici, persino i rapporti dei vuoti sui pieni e i contrasti di luci e ombre, per renderli funzionali all’uomo che vivrà all’interno come all’esterno e a trasferire viste suggestive e originali che impegnino lo sguardo ed emozionino la visione.

Antonio Fanigliulo, Edificio residenziale e commerciale al Corso Italia, Taranto, 1991, courtesy Studio Fanigliulo

Antonio Fanigliulo, Edificio residenziale e commerciale al Corso Italia, Taranto, 1991, courtesy Studio Fanigliulo

L’ARCHITETTO COME UMANISTA

Che ruolo svolge l’uomo nella sua progettazione?
Dal design alla grande infrastruttura, pongo al centro l’Uomo, intercetto le sue esigenze per restare aderente al suo benessere. Immaginando di dar corpo e forma alle funzioni, gli costruisco il “vestito addosso”. Modello lo spazio architettonico, ovvero urbatettonico, attorno alla persona che lo dovrà “animare”, vivere e usare. Proprio per questo, quando inizio a pensare e disegnare un progetto, parto sempre dalla pianta pur creandomi nella mente, al tempo stesso, la composizione architettonica spaziale complessiva ed estesa nella vista di insieme più ampia possibile.

Come concepisce la figura dell’architetto?
L’architetto non ha bisogno del rigidismo delle normative e delle leggi che sovente rigetta perché gli sono ostili e condizionano, talvolta impediscono, la creatività. Basti pensare all’idiozia dei cosiddetti “standard” che sempre di più vengono introdotti o alle Norme Tecniche di Attuazione di un piano urbanistico, o alla vergogna dei Piani di Lottizzazione ancora largamente utilizzati per cementificare ampie aree agrarie.
Un intervento architettonico deve sempre dipendere e guardare in primo luogo all’identità e ai caratteri del contesto naturalistico in cui si inserisce, con il quale deve vivere in simbiosi. L’architetto deve essere innanzitutto un umanista, sapendo progettare e costruire il benessere dell’Uomo e per l’Uomo.

Carlo De Cristofaro

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Carlo De Cristofaro

Carlo De Cristofaro

Carlo De Cristofaro, architetto-designer, si forma presso le università di Napoli Federico II e di Roma La Sapienza. Dal 2014 al 2020 ha collaborato presso il Dipartimento di Architettura di Napoli (DIARC), come Cultore della materia in Storia dell’Architettura. Dal…

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