Il gusto italiano per il cibo raccontato all’M9 di Mestre
Alterna richiami pop e allestimenti equilibrati la mostra che ripercorre la storia del gusto italiano a tavola fra le sale del M9 di Mestre. Con una serie di scelte architettoniche
Il gusto è un’ossessione di questi tempi: la soddisfazione di godersi il cibo come aspirazione tra le più alte; un’aspirazione capace di attrarre a sé l’estetica, la storia e la cultura, come se il gusto del buon mangiare e bere fossero un necessario legante tra di esse. L’ingigantirsi del fenomeno è iniziato sul finire degli edonisti Anni Ottanta con un centro di diffusione preciso, il mondo anglosassone, che si è rivolto ai Paesi del buon gusto, in primis l’Italia, che hanno risposto aumentando e migliorando l’offerta, basti pensare al vino a valle dello scandalo del Metanolo.
È possibile realizzare una mostra su un fenomeno di sua natura così impalpabile? Complicato ma possibile. La risposta è dunque affermativa se si visita la mostra Gusto! Gli italiani a tavola. 1970-2050, curata da Laura Lazzaroni e Massimo Montanari nel M9 diretto da Luca Molinari. È senza dubbio la mostra di Mestre un’esibizione pop, nel senso che riconosciamo i tanti prodotti popolari che hanno caratterizzato il nostro cibo e i nostri vini, quasi un’anamnesi in qualcosa che tutti noi conosciamo ma che abbiamo sempre percepito per frammenti, non riconoscendo quel legame tra essi che la mostra, con arguzia e una certa grazia, riesce a evocare. Interessante è poi l’allestimento nella grande sala superiore a opera dei napoletani Gambardella Architetti, ovvero Simona Ottieri e Cherubino Gambardella, a cui si aggiunge, per quel che riguarda la grafica, il lavoro di CamuffoLab.
LA MOSTRA SUL GUSTO A MESTRE. GLI ALLESTIMENTI DI GAMBARDELLA
Non era facile mettere in scena il gusto, che di sua natura è un fattore del tutto immateriale. Certo gli stilemi della buona tavola sono ben noti a tutti, ma essi il più delle volte scivolano nel corrivo, se non in un kitsch commerciale spesso allappante. Inoltre il rischio è quello di esaltare oltre misura quegli oggetti di uso e consumo quotidiano che come tali intendono essere. Certo le scatole di detersivo Brillo non pensavano di diventare, nelle mani di Andy Warhol, delle icone della postmodernità, ma questo è un caso del tutto peculiare, di un’epoca ormai alle spalle.
Gambardella Architetti si sono allora chiesti come nobilitare senza esaltare, come raccontare i prodotti (perché di prodotti si tratta) senza scadere nell’adulazione commerciale per di più vintage: in definitiva come narrare il gusto con gusto. La scelta allora è quella di realizzare dei veri e propri padiglioni, ognuno dalla forma diversa, il cui materiale però è lo stesso: tavole riciclate in legno, nervate e dipinte in bianco. Oltre che per la loro forma i padiglioni si distinguono per come finiscono i pannelli, con delle cimase che mimano alcuni motivi decorativi dell’architettura storica. Il risultato è che ci aggiriamo per una città in miniatura, o meglio in un modello di città ingrandito a scala umana. All’interno i padiglioni ospitano con discrezione le diverse sezioni in cui la mostra è articolata per darci l’idea di un gusto, quello italiano, che varia al variare continuo del suo territorio ed è variato nel tempo, tenendo però costanti determinati caratteri.
IL GUSTO TRA POP E GARBO
L’abilità dei curatori e di Gambardella Architetti è allora quella di mettere in piedi una mostra pop che non scivola nelle iperboli, nelle gag, del pop commerciale. La città del gusto allestita a Mestre è infatti discreta. Ci aggiriamo tra i micro padiglioni con fluidità: essi sono presenti, personalizzati, ma sanno anche ritrarsi, diventare degli sfondi che non intralciano una veduta di insieme. Il gusto italiano infatti, nonostante la sua estrema varietà, va visto nell’insieme, come fenomeno collettivo fatto di individualità che, ritrovandosi, trovano il modo di convivere, rafforzandosi a vicenda. Prodotti e allestimento evocano inoltre nell’insieme una caratteristica dell’arte italiana degli ultimi decenni: quel saper trattare il pop addomesticandolo, tenendolo a bada, asservendolo a un messaggio meno urlato, più concettuale. Lo strumento per far ciò è ancora oggi, come attesta la mostra di Mestre, quel carattere che Luigi Barzini Jr riconosceva nel gusto nazionale: il garbo. Un termine spesso osteggiato, divenuto persino tabù, ma a cui ancora oggi ci appelliamo per ritrovare il nostro gusto, anche quello personale.
‒ Valerio Paolo Mosco
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