Federico Fellini, Rimini e il cinema. Un focus sul museo dedicato al regista
Inaugurato pochi mesi fa a Rimini in diversi luoghi della città felliniana, il museo intitolato al grande regista ne evoca l’immaginario anche negli allestimenti. Combinando grandeur e sobrietà
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La gloria è diventare un aggettivo. Fellini ad esempio lo è diventato. “Felliniano”, o “felliniesque” se volete, evoca più che un personaggio, un mondo da lui creato. Un mondo inimitabile, composto di sogni e verosimiglianze di provincia, di umanità e cialtroneria, di miti presi dal quotidiano tra le strade di un’Italia che a bene vedere non è del tutto cambiata. Un mondo fatto di frammenti iconici che tendono alla caricatura, d’altronde lo stesso Fellini è stato un abile caricaturista di un giornale satirico molto popolare nell’immediato dopoguerra, il Marc’Aurelio. Frammenti che compongono un mondo magico che ha stregato molti ma che poi è imploso su se stesso, perdendo quella capacità di tenere miracolosamente insieme l’alto e il basso, il sofisticato con il volgare.
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Museo Fellini, Rimini © Lorenzo Burlando
IL MUSEO FELLINI A RIMINI
Tutto ciò rivive nel museo di Rimini dedicato al regista, curato da Studio Azzurro e allestito da Orazio Carpenzano con Studio Dismisura e ADTP Architetti, mentre a Marco Bertozzi e Anna Villari sono stati affidati i contenuti. Il museo non ha una sede unica, ma è disseminato in diversi luoghi della città: a Castel Sismondo, il complesso monumentale edificato da Sigismondo Malatesta; a Palazzo Valloni (dove al piano terra c’era il cinema immortalato in Amarcord), e a Piazza Malatesta. Chiaro è l’intento dei curatori e dei progettisti: restituire Fellini alla sua città, incontrarlo nei suoi esterni e nei suoi interni, come se il tutto fosse un momento di quelle feste di paese amate dal regista a cui non a caso lo stesso dedica le prime scene di Amarcord. L’allestimento delle diverse zone in cui si articola è tenuto insieme dalla stessa strategia: alleggerire gli spazi esistenti (gli autori usano il termine “denudare”) per colonizzarli con le abbondanti e iconiche figure dell’immaginario felliniano, con le sue ossessioni fatte di personaggi estremi: grandi icone che così tornano nei luoghi da cui provengono, nella loro sede originaria.
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Museo Fellini, Rimini © Lorenzo Burlando
L’ALLESTIMENTO DEL MUSEO FELLINI
Da notare il fatto che l’allestimento (e questo è uno dei suoi pregi) non entra in competizione con le immaginazioni di Fellini, ma le ambienta senza mimare il linguaggio del maestro. C’è un momento di 8 e mezzo in cui Fellini bambino si aggira per il collegio solitario e pieno di luce di tarda primavera e lì il suo sguardo è come rapito dalle architetture barocche e velatamente funeree dei confessionali. Sembrerebbe questa l’architettura amata da Fellini, ma i confessionali, come altre architetture cariche di segni e significati, sono ingombranti come lo sono i personaggi caricaturali del maestro. Così, per non scendere nel paradosso di allestire il carico con il carico, il kitsch con il kitsch, i progettisti scelgono un linguaggio che parte dalla sobrietà del moderno e poi, con poche mosse, sospingono questa sobrietà facendola affacciare sulla sarabanda del mondo felliniano. Figure ambientate su degli sfondi che non mimano ma contribuiscono a evocare un mondo che per metonimia è andato a corrispondere, almeno in parte, alla città in cui questo nome è nato e ha vissuto quell’infanzia e quella adolescenza che noi tutti conosciamo attraverso la sua arte.
‒ Valerio Paolo Mosco
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