In mostra a Vienna la storia di uno dei più grandi progettisti del ‘900
La grande mostra che il MAK di Vienna sta dedicando a Josef Hoffmann offre un’ampia ricognizione sulla sua parabola umana e professionale. Fra Secessione, Wiener Werkstätte, guerre mondiali e la rivalità con Adolf Loos
Nel vasto spazio che il MAK dedica alla mostra di Josef Hoffmann (Brtnice, 1870 ‒ Vienna, 1956) la penombra dona al tutto un’atmosfera sacrale. Ma non c’è da stupirsi. Lui, architetto e designer austriaco, insieme a Otto Wagner e Adolf Loos, è uno dei “mostri sacri” nazionali alle radici del Movimento Moderno. Grande protagonista dell’epoca a cavallo dei due secoli scorsi, è autore di una produzione da antologia nel campo delle arti applicate, sorretta da una creatività capace di destare tuttora interesse tra gli storici e i cultori del settore.
CHI ERA JOSEF HOFFMANN
Ha la fama di essere stato un architetto pioniere dello Jugendstil, poi iniziatore dell’Art Déco, un perfezionista maniacale dello stile, amante dell’ornamento, con l’intento di creare l’opera d’arte totale. A voler tracciare il profilo di Josef Hoffmann, che sia consono al suo talento creativo e prolifico e, per l’appunto, incline al decorativo, vale la pena di ricordare l’aneddoto irrispettoso che gli cucì addosso Adolf Loos, suo collega, coetaneo, concittadino, nonché antagonista riguardo alla concezione della modernità in architettura. Era il marzo 1910: Loos, questo suo rivale eccellente – che in quel momento aveva in costruzione sulla centralissima Michaelerplatz della capitale l’edificio che lo renderà famoso, comunemente detto Looshaus – pubblicò un pungente articolo nel giornale tedesco Der Sturm. Vi si alludeva ironicamente a un architetto esuberante, senza però fare alcun nome, ma il riferimento era velatamente esplicito, data la particolare notorietà acquisita da Hoffmann. E non che la storiella fosse vera, ma di certo suonava verosimile quanto satirica. L’articolo parlava di un ricco uomo che vive con moglie e figli in una pregevole dimora, il cui arredamento, però, non lo appaga affatto, e pertanto si affida “speranzoso” a un affermato e celebrato architetto per trasformare gli interni in un’armoniosa opera d’arte. Di conseguenza il progettista svuota la casa degli oggetti esistenti per far posto a un allestimento di sua progettazione in cui ogni frazione di spazio risulti impreziosita, satura di “bellezza”. Infine crea l’abbigliamento più appropriato per ogni ambiente della casa. A opera compiuta, un giorno l’architetto fa visita al proprietario, il quale, per sua sfortuna, lo accoglie in pantofole create anch’esse dal progettista, ma per essere indossate unicamente negli ambienti più intimi dell’abitazione. Apriti cielo! Comincia un battibecco in cui ogni desiderio di libertà da parte del proprietario di casa viene tristemente mortificato dall’architetto, il quale arriva a proibirgli di alterare qualunque dettaglio del progetto originario. Ogni violazione sarebbe un’offesa alla “bellezza”, mettendo a rischio l’autenticità della casa, la reputazione dell’artefice, e perfino la moralità del cliente. Finisce che “il povero ricco” uomo vedrà sfumare la propria speranza di felicità in una beffarda delusione.
HOFFMANN ARCHITETTO-DIVO?
D’altro canto, tra i due architetti viennesi – Hoffmann e Loos – la cifra della differente concezione teorica è ben sintetizzata nella celebre affermazione loosiana “l’ornamento è un crimine”. Non per nulla, nel 1987, sempre il MAK propose una antologica ugualmente dedicata a Hoffmann con un titolo investigativo come Ornamento tra speranza e crimine, riferendosi proprio a quella “regola”, e dunque riportando all’attenzione della critica una questione di fondo.
Cosa c’è di vero, invece, nell’aneddoto che fa di Hoffmann lo stilista della signora Stoclet, l’elegante proprietaria e residente, insieme al marito, dell’omonimo Palais a Bruxelles? È certamente un malizioso pettegolezzo d’epoca, semplicemente tramandato a memoria. Teniamo conto che il lussuoso Palais Stoclet, costruito dal nostro tra il 1905 e il 1911 senza limite di costi, è considerato il suo capolavoro quanto a innovazione architettonica e stilistica. Così, certe stravaganze di contorno che accompagnavano il clamore suscitato da quell’opera non potevano che rafforzare il mito dell’architetto-divo nell’immaginario di un pubblico partecipativo. Di sicuro, però, in occasioni particolari, il creatore dello Jugendstil si è davvero calato nel ruolo di fashion designer per armonizzare persone e ambienti, secondo l’ideale di una vita estetica. Così come ha prodotto prevalentemente dei manufatti personalizzati per i suoi committenti.
LA STORIA DI JOSEF HOFFMANN E LA MOSTRA A VIENNA
Nato nel 1870, Josef Hoffmann si forma a Vienna a cavallo di due secoli, quando la città è culturalmente tra le più attive d’Europa, e dunque immersa nel clima dell’Estetismo, del rinnovamento delle arti e del gusto, e nella suggestione di personaggi letterari che consumano l’esistenza nutrendola nel culto della bellezza: l’arte per l’arte, si diceva. Così oggi la mostra dedicata a Hoffmann per il 150esimo anniversario della nascita – slittata a causa del Coronavirus – intende celebrare l’importanza storica e la ricchezza creativa di Josef Hoffmann con una raccolta di materiali e documentazioni originali mai così ampia e dettagliata.
Tra i primi impegni della sua carriera c’è la collaborazione con la Secessione viennese, sulla cui rivista Ver Sacrum pubblica progetti d’arredamento e d’altro genere. Ma nella carriera di Hoffmann resta una pietra miliare la fondazione, nel 1903, insieme al designer e decoratore Koloman Moser, della Wiener Werkstätte, un’associazione impegnata a promuovere e produrre artigianato artistico in contrapposizione al dilagare del design industriale, arruolando tanti creativi appartenenti alla sfera delle arti applicate. L’associazione durerà un trentennio, abbastanza da lasciare il segno, e questa nuova mostra ne è un osservatorio vasto e dettagliato.
Nella tendenza all’astrazione geometrica di Hoffmann c’è, per esempio, una cifra stilistica che lui è incline a ripetere nel tempo su oggetti di sua ideazione: si tratta semplicemente di un quadrettato. Che sia in legno o in metallo, questa forma, spesso di piccole dimensioni, diviene l’elemento che lo rende riconoscibile.
I PROGETTI DI JOSEF HOFFMANN
Negli anni giovanili, progettando i suoi primi villini per la borghesia viennese, mostra libertà interpretativa pur facendo riferimento a determinati stilemi. Poco dopo passa a un modernismo limpido e funzionale nel progettare il Sanatorio di Purkersdorf (1904-06), a ovest di Vienna, che è il suo primo lavoro impegnativo, curando totalmente l’allestimento degli interni. Fa uso del calcestruzzo armato che gli permette libertà nell’articolare volumi e spazi. Con l’eleganza del già citato Palais Stoclet a Bruxelles, rimette tutto in discussione. Al tempo stesso, tra il 1909 e il 1911, con la realizzazione di Casa Ast a Vienna (1909-11) usa elementi classicisti, realizzandoli in cemento, trasfigurandoli però con personale fantasia. A questo punto la sua fama è ormai decollata e da qui in avanti si susseguono importanti committenze, pubbliche e private, con frequenti incarichi anche nell’allestimento di edifici di rappresentanza per esposizioni internazionali. Suo il Padiglione Austria ai Giardini della Biennale, inaugurato nel 1934.
HOFFMANN E IL NAZISMO
La sua lunga carriera attraversa gli eventi drammatici della prima metà del Novecento austriaco: due devastanti guerre mondiali, la traumatica fine dell’impero asburgico, gli anni tragici del nazionalsocialismo. Per tale regime Hoffmann non si fa scrupolo d’accettare commesse, pur rimanendo legato ai propri gusti. È del 1940 la realizzazione della Haus der Wehrmacht di Vienna, la Casa della Wehrmacht con il circolo ufficiali, poi distrutta durante un bombardamento.
Il suo ultimo progetto, tra il 1953 il 1954, riguarderà un edificio di abitazioni sociali a Vienna, in Heiligenstädterstrasse.
‒ Franco Veremondi
Vienna // fino al 19 giugno 2022
Josef Hoffmann. Fortschritt durch Schönheit
MAK
Stubenring 5
http://www.mak.at/
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