Architettura emergente: intervista a Carlana Mezzalira Pentimalli
Progettano libri come piccoli edifici. Si sono fatti conoscere con due opere pubbliche, una scuola di musica e una biblioteca entrambe a Bressanone. Di base a Treviso, Carlana Mezzalira Pentimalli è uno dei più promettenti giovani studi italiani di architettura
Carlana Mezzalira Pentimalli è uno degli studi più interessanti della nuova generazione di architetti italiani. Fondato a Treviso nel 2010, oggi opera prevalentemente tra Veneto, Alto Adige e Svizzera. L’approccio dello studio è particolare perché non concentra la sua attenzione e i suoi sforzi in un’unica direzione; il lavoro infatti si divide tra concorsi internazionali, incarichi privati e progetti editoriali. Settore quest’ultimo in cui lo studio si è recentemente distinto aggiudicandosi, nel 2020, l’International DAM Architectural Book Award, riconoscimento che seleziona ogni anno i dieci libri di architettura migliori al mondo, con la monografia Quirino De Giorgio: An Architect’s Legacy. In quanto a premi legati invece al lavoro progettuale, Carlana Mezzalira Pentimalli ha vinto – cosa rara, per due anni consecutivi – la medaglia d’oro al premio Best Architects: nel 2021 con la Scuola di musica di Bressanone; nel 2022 con la Biblioteca civica, sempre nel comune altoatesino.
Abbiamo intervistato Michel Carlana, uno dei tre fondatori dello studio, Ph.D. e professore a contratto all’Università Iuav di Venezia e presso l’Università degli Studi di Genova.
INTERVISTA A MICHEL CARLANA
È difficile intervistarvi perché il vostro approccio è particolare rispetto al panorama degli studi italiani. Partiamo per esempio dal vostro sito, ormai il vero portfolio per uno studio di architettura. Attribuite molto spazio alla parola e non solo alle immagini; l’incipit è simbolico: “Un’intima selezione di idee”. Per voi il contenuto, la sostanza, è importante quanto la forma?
Fa piacere iniziare questa conversazione informale da questo punto, per il nostro ufficio davvero molto importante. In un momento storico come quello in cui oggi viviamo, dove l’immagine – prima ancora dei significati – sembra essere il principale veicolo del pensiero, sentiamo la forte necessità di tornare a riflettere in profondità sul nostro mestiere e sull’importanza che le idee (intese come momento di incontro tra significato e significante) possono avere per la società in cui viviamo. Provando a risponderti: sì, per noi l’anima dei luoghi che tentiamo di proporre è molto più importante delle forme stesse.
Come avete scelto il nome del vostro studio?
Potrei dire che il nome è nato quasi spontaneamente, ma con il senno di poi contiene molti dei princìpi che in questi anni abbiamo ricercato. Dopo un lungo periodo in cui, come altri colleghi a inizio carriera, cercavamo un nome (il più delle volte forse troppo sofisticato e con risultati quasi imbarazzanti), alla fine ci è sembrato molto più onesto e semplice utilizzare i nostri cognomi in ordine alfabetico. A quel tempo, quasi nessuno in Italia optava per questa scelta, ma oggi, dopo dodici anni di lavoro, credo sia stata una delle cose più in continuità con il passato architettonico del nostro Paese.
Entriamo nel vostro studio: quante persone lavorano nell’ufficio di Treviso? Come organizzate il vostro lavoro?
Al momento di questa intervista, l’organico dello studio è composto da noi tre soci, tre capi progetto fissi e poi una serie di collaboratori e tirocinanti. Nel tempo l’ufficio si è ampliato e ridotto, arrivando a un massimo di quindici collaboratori. Volendo noi tre soci seguire in prima persona tutti i lavori, si è sempre preferito tenere la dimensione del gruppo contenuta: una sorta di piccola famiglia all’interno della quale provare a condividere un metodo e delle ossessioni.
Approfondiamo il lavoro di questa “famiglia”, seguendo come filo conduttore alcuni temi a voi cari, come la corrispondenza tra architettura e struttura, uno degli aspetti più interessanti del vostro progetto per la Scuola di musica di Bressanone. Da dove nasce questa scelta?
Credo che questo aspetto nasca da molte questioni, prima tra tutte la volontà di provare a proporre delle architetture autentiche. Quando la struttura e l’architettura coincidono, si torna a parlare di spazio, mettendo da parte qualsiasi tipo di orpello o cosa superflua. Sicuramente la frequentazione, ancora da studenti, con lo studio di ingegneria svizzero Conzett Bronzini Gartmann (progettisti sui quali poi abbiamo curato un libro per Mondadori Electa) è stato uno dei momenti più formativi, sia per comprendere in profondità il significato dell’ingegneria, sia per riscoprire una tradizione di architetti italiani che fino a quel momento era nascosta.
CARLANA MEZZALIRA PENTIMALLI FRA EDITORIA E ARCHITETTURA
A proposito di libri, torniamo ai vostri progetti editoriali. Qual è il punto di partenza?
Il libro su Conzett Bronzini Gartmann di cui parlavo poco fa, così come quello su Quirino De Giorgio pubblicato da Park Books, sono progetti editoriali nati quasi per caso. Sia il primo, durato tre anni, che il secondo, durato cinque, possono essere intesi come risposta a delle necessità personali: nel primo caso, rispetto al tema ingegneristico, di cui non sapevamo nulla; nel secondo caso, rispetto a un “lascito” architettonico e a un territorio – il Veneto – che ci interessava conoscere nel profondo.
E il terzo? Cosa puoi anticiparci del prossimo libro in uscita?
Il nuovo libro a cui stiamo lavorando da tre anni è un libro differente dai primi due, ma come i precedenti è inteso come un piccolo edificio. Per la prima volta, riguarda due nostre opere, le più importanti realizzate dal nostro ufficio: la Scuola di musica e la Biblioteca civica. Sono due edifici entrambi costruiti a Bressanone, in Alto Adige. Sono due opere tra loro molto differenti, nonostante siano distanti poco più di cinquecento metri, e consentono di fare un ragionamento sul metodo, prima ancora che sullo stile. Non sarà un libro tradizionale sull’architettura e neppure una monografia (quest’ultima, solitamente, dovrebbero fartela gli altri e non a questa età!), quanto piuttosto il tentativo di tornare a porci delle domande semplici sulla nostra disciplina. Si parlerà di quello che sta dietro agli edifici che abbiamo realizzato a Bressanone, e riguarderà “quello che non si vede”. Per riuscire a documentare in modo “antropologico” tutto il lavoro abbiamo collaborato con Armin Linke (attraverso la fotografia) e per tradurre questo materiale in forma editoriale è stato fondamentale il contributo di Lorenzo Mason Studio (per mezzo della grafica).
ARCHITETTURA E GENEROSITÀ SECONDO CARLANA MEZZALIRA PENTIMALLI
Parlate spesso di generosità e di architettura che deve essere generosa. Ovvero?
È una parola ambigua che riesce a tenere insieme molte questioni: per prima cosa, il fatto che non va mai dimenticato l’aspetto filantropico del nostro lavoro, essendo noi al servizio degli altri; in secondo luogo, perché la città antica italiana è uno dei manifesti per eccellenza in cui architettura e urbanistica coincidono, divenendo il piano di supporto delle relazioni umane. Nell’ultimo libro di cui siamo autori la parola generosità ha assunto un’altra declinazione, venendo intesa come la volontà di condividere, mettendoci a nudo, gli aspetti che non sempre vogliono essere mostrati, quelli legati al nostro lavoro. Penso sia questa l’idea alla base di questo ultimissimo progetto editoriale, che sarà completato entro la fine dell’anno.
Cito alcune tue parole: “L’idea richiede ricerca e tentativi. Non è una cosa che arriva all’improvviso”. Quindi come nasce l’“Eureka!” dei vostri progetti?
Il fatto di essere tre progettisti intorno a un tavolo comporta la scelta, importante, di trovare un “veicolo” che superi le singole autorialità o i gusti personali. Noi abbiamo fin da subito visto l’idea come il vero strumento per la ricerca di una coerenza in architettura. Il fatto stesso di dovere ricominciare da zero in ogni progetto – essendo noi un ufficio privo di “stile” – fa sì che la ricerca dell’idea sia un processo lento, complesso e faticoso, che vede nella specificità dei luoghi il vero autore di un’opera. Per il raggiungimento di questa sintesi (e concisione) servono molti tentativi, coscienti del fatto che, in questo percorso, l’errore e la possibilità di risultare banali sono degli aspetti che fanno parte del viaggio progettuale.
Chiudiamo sempre queste interviste con una domanda che vuole essere ottimista, ma anche stimolare al confronto. Cosa pensate dell’architettura contemporanea in Italia? Cosa augurate a voi e ai vostri colleghi per il futuro?
Credo che quello in cui viviamo oggi sia un momento molto fortunato e fecondo per l’architettura italiana. Molti architetti di generazioni e pensieri diversi dialogano tra loro e si confrontano, cosa che quindici anni fa non accadeva minimamente. Sono molto ottimista e mi auguro che questa nuova presa di posizione collettiva riporti l’architettura italiana ad affermarsi anche all’estero, dove purtroppo ancora non si è al corrente di quanto stia accadendo nel nostro Paese. Alle generazioni più giovani suggerisco di pensare all’architettura come a un mestiere che va completamente re-inventato, senza dimenticare però che i veri destinatari delle nostre opere – giudicate dal tempo – sono gli altri e, mai, noi stessi.
Silvia Lugari
https://carlanamezzalirapentimalli.com/
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