Architettura ludica. Intervista a Simone Micheli
Attualmente impegnato nella progettazione di un museo nel metaverso, Simone Micheli possiede una lunga e consolidata esperienza nell’architettura e nel design. In questa intervista chiarisce il suo rapporto con la componente ludica, ipotizzando i prossimi scenari per i progettisti
“Tutto sta cambiando con una velocità impressionante! Dovremo sempre più alterare il nostro pensiero immaginando la nuova architettura come un’architettura rigenerabile, ibrida, contaminata e contaminante, elastica, destinata a durare lustri e non millenni, sempre più vicina al concetto di virtualità! Dovremo dunque modificare il modo di pensare ai progetti e il modo di costruirli”. È questa la visione progettuale di Simone Micheli, architetto di fama internazionale, classe 1964, apprezzato per i suoi progetti che valorizzano l’idea di multisensorialità. Micheli ha fondato il suo studio di architettura nel 1990 e nel 2003, con Roberta Colla, la società di progettazione Simone Micheli Architectural Hero con sedi a Firenze, Milano, Puntaldia, Dubai, Rabat e Busan. La sua attività professionale spazia dai masterplan all’architettura e interior, dal design al visual passando per la grafica, la comunicazione e l’organizzazione di eventi. Le sue creazioni, caratterizzate da una forte identità, sono sostenibili e sempre attente all’ambiente.
SIMONE MICHELI E L’ARCHITETTURA LUDICA
Quanto è importante la componente ludica in un progetto di architettura?
Per me è molto importante ed è certamente legata al divertimento, alla passione e all’entusiasmo che si mette nel creare un’opera che sia unica. Il sorriso e il divertimento rappresentano un punto fondamentale del mio fare progettuale.
In un progetto si può sempre considerare anche una componente giocosa oppure a volte bisogna per forza mantenere un atteggiamento serioso?
Credo che la meraviglia di questo mondo sia collegata al sorriso, alla bellezza e all’amore, di conseguenza aborrisco la serietà. I miei temi di architettura hanno sempre rigore, semplicità, ma sono tesi alla valorizzazione dei sensi.
Ci sono spesso dei vincoli?
Se parliamo di architettura, i vincoli sono presenti e sono di carattere normativo, strutturale, urbanistico… Se invece parliamo di disegno industriale, ci sono vincoli ergonomici, funzionali, nell’uso dei materiali. I vincoli sono milioni, Achille Castiglioni amava ripetere una frase: “Senza vincoli si fa la marmellata, perché con più o meno zucchero il procedimento è sempre lo stesso”.
Ai fruitori dell’architettura risulta più facile accettare e capire un progetto che abbia una valenza divertente? Oppure preferiscono essere, per così dire, rassicurati da una certa autorevolezza di facciata?
Credo che tutte le persone al mondo, per vivere bene la propria vita, debbano sorridere: il sorriso deve essere sempre presente. L’amore per tutte le cose che ci circondano, quindi il sorriso, dovrebbe sempre appartenere a tutti gli umani, in tutti i momenti della vita, anche in quelli più drammatici e sofferti. Quando penso alla città, la immagino come un foglio di carta dove tutte le persone, progettisti, committenti e sviluppatori, continuano a scrivere brani diversi che si accavallano gli uni con gli altri. È questa la meraviglia della città, una confusione connessa all’evolversi del tempo. Con tale aggettivazione desidero esprimere questo: c’è spazio per tutto e il contrario di tutto in questa città che dona vita alle persone e aiuta a qualificare l’esistenza.
ARCHITETTURA, METAVERSO E COMUNICAZIONE
Viviamo in un mondo ricchissimo di immagini, che vanno da quelle dei film a quelle proposte nei social. In questo mondo l’architettura è spesso presente. Ma le architetture costruite comunicano abbastanza?
Siamo immersi in sollecitazioni multiple, circondati da stimoli reali e digitali immersi in una realtà fisica che si muove sempre di più verso una direzione ibrida. Nella totalità del costruito le architetture comunicano molto poco, le costruzioni che rivestono buona parte della superficie del nostro mondo sono state immaginate per portare pecunia nelle tasche degli sviluppatori. Tanto del costruito è connesso a poca qualità e quindi mostra una comunicazione carente, dall’altra parte ci sono grandi opere di architettura che comunicano tanta bellezza ed espressività di contenuto.
Queste architetture parlano un linguaggio ben comprensibile a tutti?
Non è così importante, a mio avviso, che il linguaggio sia ben comprensibile a tutti: sono sollecitazioni che vengono portate nei cuori delle persone più sensibili, in grado di comprendere questi segni di potenza che circondano il nostro mondo. Un mondo che potrebbe essere migliore, così come la qualità della vita. C’è così tanto da fare per ricostruire e rigenerare.
IL GIOCO NEI PROGETTI DI SIMONE MICHELI
Dopo gli Anni Ottanta del Postmodern, ci sono stati altri slanci verso un’architettura costruita che vuole divertire e divertirsi?
Credo che oggi, in questo momento storico, siamo giunti al desiderio di divertire e di superare lo stereotipo, il conosciuto. Credo di essere uno tra i primi architetti a lavorare nel metaverso, dove non ci sono più vincoli e regole: una risposta a questa volontà di divertimento e sorriso. Una dimensione dove l’architetto si trasforma in uno storyboarder, un regista che esprime forme, colori, significati ed emozioni. Creatore di un cortometraggio, immagino nuove suggestioni che sollecitino sensazioni al fine di portare divertimento e diversità, all’ibridazione. Un nuovo confine per generare operazioni di forma, contenuto, funzionalità. La realizzazione di progetti in questa realtà diversa, che amo definire “periferia terrestre”, porterà a nuovi stimoli e variazioni di contenuto nelle architetture costruite e nella nostra vita.
Quali sono i tuoi progetti in cui si sente una propensione per il gioco?
Un po’ in tutti, cerco sempre di costruire spazi che esprimano gioia e unicità, trasparenza e verità. I miei progetti sono intrisi di sorriso, divertimento e gioco, in grado di nascondere anche un contenuto più profondo.
Ci sono delle architetture giocattolo che ti sono rimaste impresse? Ne hai mai collezionate?
Le architetture giocattolo le ho sempre costruite fin da bambino: i giochi che mi hanno permesso di costruire spazi infiniti anche da bambino sono i Lego. In qualche cassetto probabilmente ci saranno rimasti ancora dei frammenti.
Il grande protagonista del momento è il metaverso. Ti incuriosisce? Offre nuove prospettive per l’architettura?
Certo, recentemente ho intrapreso nuovi progetti in questa “dimensione altra”, che presentano una caratura completamente diversa dalla fisica in cui siamo abituati a lavorare, nuove opportunità che sono tensione all’innovazione. Sto iniziando il progetto di un museo per il metaverso, un’opera dedicata all’arte che, ancora una volta, mi invita a oltrepassare le barriere del conosciuto. Quando incontrai il cliente, lui mi chiese di discutere dei miei lavori dal punto di vista formale. Gli risposi, e lo conquistai, con questa riflessione: potevamo parlare tanto dei miei progetti dal punto di vista estetico e formale, ma quello che io avrei potuto fare per lui nel metaverso era di maggiore interesse, avendo coscienza di dimensioni disgiunte dalla nostra realtà concreta. Queste nuove dimensioni sono frutto di voli intellettuali, non legati ai vincoli che abbiamo nel fare architettura, come le strutture, la forza di gravità e le dorsali impiantistiche. C’è una libertà interpretativa che rende l’architetto un’altra figura, un passaggio straordinario che offre delle prospettive sconosciute, che mi regala uno sprint di meraviglia e di ossigeno incredibile.
Mario Gerosa
https://www.simonemicheli.com/
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