The Line, la città verticale saudita che fa discutere
Come funzionerà la mastodontica città verticale che prenderà forma nella provincia di Tabuk? E, soprattutto, è davvero necessaria?
“You’ve got a way to keep me on your side / You give me cause for love that I can’t hide / For you I know I’d even try to turn the tide / Because you’re mine, I walk the line”. I celebri versi scritti nel 1956 e intonati dalla voce graffiante di Johnny Cash sono stati letti più volte come un’autentica promessa d’amore. Risuonano spesso nelle orecchie del sottoscritto data la passione sfrenata per la sua musica, hanno però assunto un significato diverso durante la lettura di una recente notizia. Se siete fortunati, la ritroverete semplicemente cercando su un motore di ricerca: The Line. Il futuro dell’abitare nello spazio urbano sarebbe infatti la “città lineare”, un mastodontico complesso che è già in costruzione e si estenderebbe per 170 chilometri nella provincia di Tabuk, in Arabia Saudita. Pur collocandosi in un’area pressoché desertica sulle coste del Mar Rosso, l’imperiosa struttura, la cui apparenza si colloca tra il Nautilus del Capitano Nemo (ne La leggenda degli uomini straordinari) e un pantagruelico Bosco Verticale, si offre ricca di acqua e rigogliosa vegetazione completa di tutti i confort per un’esperienza di vita meravigliosa. Gli slogan che la raccontano grondano di accessibilità, funzionalità e, ovviamente, sostenibilità: è già tutto previsto, ogni dettaglio è stato passato al vaglio degli ideatori, il progetto corrisponderà alla realtà, presenze umane comprese.
“Abbiamo davvero bisogno di questa alternativa? È possibile che l’ipotesi futuribile immaginata nel presente sia così vicina a una distopia?”
THE LINE IN ARABIA SAUDITA
La domanda allora è: abbiamo davvero bisogno di questa alternativa? È possibile che l’ipotesi futuribile immaginata nel presente sia così vicina a una distopia? Prendiamo per esempio l’immagine guida che appare sul sito internet, nel video di presentazione e perfino a corredo dei numerosi articoli che ne annunciano l’imminente erezione. È impossibile non notare la somiglianza con un fotomontaggio di architettura radicale, che allora però nasceva con scopi opposti. “La città cammina; si snoda come un maestoso serpente attraverso territori sempre diversi, portando a spasso i suoi otto milioni di abitanti, attraverso valli e colline, dai monti alle rive dei mari, generazione dopo generazione”: così si apre la descrizione della settima delle Dodici città ideali del Superstudio, ognuna delle quali nasconde in piena evidenza uno o più lati oscuri. In esse, e nelle metafore che rappresentano, lo sfruttamento del lavoro, l’omologazione delle esistenze, l’alienazione della ripetitività fungevano da monito rispetto alla dittatura della regola progettuale e all’ottenebramento del progresso fine a se stesso.
Sarà la rigidità geometrica di The Line, forse, a incutere in chi scrive un sentimento di inquietudine, sarà la sua declamata perfezione, l’assenza garantita di qualsiasi difetto o imprevisto a scatenare una incontenibile volontà di trasgressione. Eppure, come scriveva Manlio Brusatin nel suo Storia delle linee, “la vita è una linea, il pensiero è una linea, l’azione è una linea. Tutto è linea”. Ma aggiungeva: “Anche per Euclide la linea si stacca dalla dimensione dei corpi per riuscire a dominarli”. Chissà che non si riesca a fermarsi prima di aver tirato una riga che sarà impossibile cancellare.
Claudio Musso
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #71
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