Álvaro Siza protagonista con la Santa Sede alla Biennale Architettura 2023
“Amicizia Sociale: incontrarsi nel giardino” è il titolo della seconda storica partecipazione della Santa Sede alla Biennale Architettura di Venezia. Ecco tutto quello che c’è da sapere su questo atteso ritorno in laguna
“In coincidenza con il X anniversario dell’elezione di Papa Francesco, la Santa Sede torna alla Biennale di Venezia”, afferma il Cardinal José Tolentino de Mendonça, Commissario e responsabile per l’organizzazione del Dicastero per la Cultura e l’Educazione. “La coincidenza di questi due eventi apre alla possibilità di un dialogo che reputiamo importante: constatare come alcune delle linee principali di questo pontificato possono essere chiave di un dialogo con l’architettura contemporanea e convergere in una visione che assuma il rischio di pensare un futuro diverso”. È a partire da queste premesse e dagli insegnamenti su uomo e ambiente tratti dalle encicliche di Francesco Laudato si’ (2015) e Fratelli tutti (2020), che nasce la partecipazione del Vaticano alla 18. Mostra Internazionale di Architettura La Biennale di Venezia 2023. Dal 20 maggio al 26 novembre, presso l’Abbazia di San Giorgio Maggiore, si svolge Amicizia Sociale: incontrarsi nel giardino, la mostra pensata in risposta al tema Il Laboratorio del Futuro proposto dalla curatrice generale Lesley Lokko.
IL PADIGLIONE DELLA SANTA SEDE ALLA BIENNALE DI VENEZIA 2023
Presentata negli spazi espositivi e nel giardino del monastero benedettino dell’isola, invita i visitatori a “prendersi cura del pianeta come ci prendiamo cura di noi stessi e a celebrare la cultura dell’incontro”. Con queste parole il curatore, Roberto Cremascoli, e il Commissario, il Cardinal José Tolentino de Mendonça, hanno presentato il lavoro dell’architetto portoghese Álvaro Siza (Premio Pritzker nel 1992), insieme al collettivo italiano Studio Albori (Emanuele Almagioni, Giacomo Borella, Francesca Riva) che, grazie allo sviluppo di una pratica multidisciplinare, frequenta la realtà del progetto mescolando architettura a processi partecipativi ed ecologici. Già curatore nazionale per il Portogallo insieme a Nuno Grande nel 2016, Roberto Cremascoli ci ricorda che “il Portogallo, come la Santa Sede, non possiede una sede permanente alle Biennali di Venezia, diversamente dai tantissimi paesi presenti. Credo che sia una risorsa in più, quella di andare alla ricerca di un luogo per organizzare il padiglione nazionale: perché ci mette in relazione con la città e il territorio lagunare consentendoci di essere in qualche modo utili al territorio stesso, ai residenti, alla Biennale”. Utili a tal punto che nel 2016 la sua scelta di ospitare il padiglione portoghese all’interno del cantiere edile fermo da anni sull’isola di Giudecca – le case popolari a Campo di Marte (1986) di Siza – rese possibile la ripresa dei lavori che, finalmente, sono in fase di conclusione.
L’ARCHITETTURA DIVENTA INCONTRO A VENEZIA
Sette anni più tardi, nel convento palladiano con Amicizia Sociale: incontrarsi nel giardino si realizza la costruzione di un processo reale, la dimensione evocativa di un progetto che non è necessariamente pensato per definire uno spazio finito, bensì un modus operandi. Scrive a proposito Mirko Zardini, responsabile del progetto scientifico: “In un momento, e in un’occasione come la Biennale di Venezia, in cui la presenza dell’architettura è spesso legata più alle parole che ai fatti, si è preferito proporre alcune azioni modeste, avviare dei processi, presentare dei fatti concreti come coltivare un orto, riutilizzare dei materiali, creare un luogo per delle conversazioni. Non un proliferare di parole o attività, ma un luogo di pausa e di quiete, di silenzio, dove riflettere su come, e da dove, ricominciare”.
IL PROGETTO DI SIZA PER IL PADIGLIONE DELLA SANTA SEDE
La prima parte del percorso si sviluppa, infatti, all’interno delle sale espositive del monastero gestite dalla Benedicti Claustra Onlus, a cui si accede dalla Darsena Grande dell’Isola, di fronte al bacino di San Marco, al piano terra dell’edificio storico denominato Manica Lunga. Ad accogliere i visitatori il video racconto di Mattia Borgioli, che mostra il processo che ha portato alla realizzazione di tutte le installazioni presenti, dal concepimento dei primi prototipi sino al loro arrivo sull’Isola. Un incipit che, attraverso grafica, schizzi originali e fotografie di Marco Cremascoli, dà inizio alla narrazione. Alla soglia dei 90 anni che compirà il 25 giugno prossimo, Álvaro Siza ha ancora l’approccio di chi si lascia stupire dalla bellezza, lo sguardo fresco di un bambino curioso che insegue un sogno. Per il Cardinal de Mendonça l’architetto portoghese “all’età di novant’anni si presenta come una riserva di giovinezza per il mondo, scommette su un’architettura che non si fissa tra quattro mura, ma si disloca. È un’architettura viva, figurale, «in uscita». Un intenso manifesto politico e poetico su cosa sia o possa diventare l’incontro tra gli esseri umani. Dall’altra parte la proposta complementare dello Studio Albori pone dentro l’architettura tutti i viventi, rendendoci corresponsabili della nostra casa comune. Álvaro Siza e Studio Albori sono la garanzia di proposte magistrali e innovative che fanno riflettere sul contributo dell’architettura, presentandola come pratica laboratoriale di futuro, non lontana da interrogativi tipicamente spirituali”.
NON SOLO SIZA: IL PROGETTO IN DUE ATTI DI STUDIO ALBORI
L’installazione O Encontro di Álvaro Siza è costituita da una sequenza di figure – realizzate in legno massello – che dalla galleria principale si dispongono attraverso le sale fino al giardino. Queste figure dialogano con lo spazio incolume del convento, dialogano tra di loro e con i visitatori: la loro interazione crea un movimento incessante, dinamico, fatto di pause e di sorprese, che culmina con l’ultimo monolite, verso il ritrovato orto monastico e le strutture di accoglienza appositamente create. Qui, come primo atto, Studio Albori e il gruppo di artisti Michela Valerio, Agostino Vallonzer e Riccardo Bermani (Associazione culturale About) hanno fatto ordine nel giardino, integrando le essenze esistenti con le nuove piantumazioni e con varie sezioni di ortaggi (per consumo conventuale o esterno), erbe aromatiche e officinali, erbe spontanee e fiori eduli. La disposizione delle colture si identifica con un elemento della natura – sole, terra, aria, acqua –, associando la parte commestibile delle piante al proprio elemento e, dove è stato possibile, suddividendo l’orto in aree geografiche per raccontare l’origine delle essenze. Come secondo atto, invece, su disegno e costruzione di Studio Albori, sono stati realizzati – attraverso il riuso di legno tratto dalla rimozione di un’abitazione a Cortina d’Ampezzo, che vive qui una seconda vita – manufatti come il chiosco (limonaia), un parasole con sedute, il deposito dei semi con pergola, una serra, che rendono possibile la sosta, il riparo, l’incontro o semplicemente la contemplazione. Pensata come spazio a disposizione di tutti, la nuova conformazione degli spazi esterni permette di vivere uno scenario vicino alla vita quotidiana del monastero benedettino e alla sua Regola, facendo incontrare architettura e natura, materiale e spirituale, semplicità e complessità.
Giulia Mura
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