Monte Rosa 91. A Milano si rigenera lo storico edificio di Renzo Piano

Un nuovo polo per uffici e non solo, che punta anche a ospitare tanta cultura. Un immobile con una storia complessa, che si trasforma grazie a un’operazione immobiliare ambiziosa. A seguire l’inaugurazione ufficiale del 28 giugno, dopo l’estate, sará l'apertura dell'area della collina, con un progetto artistico site specific. Incontriamo Francesco Rovere, senior manager di AXA IM Alts

In origine era un poderoso complesso industriale, sito tra viale Monte Rosa e via Tempesta, in zona Lotto, nella periferia nord-occidentale di Milano. Nel corso del ‘900 fu sede della casa automobilistica Isotta-Fraschini, poi dall’azienda Siemens-Italtel. Nel 1998 cambia tutto. Comincia una nuova storia e si dà il via al cantiere per il recupero del sito, su progetto del Renzo Piano Building Workshop: gli ex stabilimenti sarebbero stati convertiti nella sede dello storico quotidiano milanese “Il Sole 24 Ore“.

Complesso Monterosa 91, Milano, pianta livello ingresso © RPBW

Complesso Monte Rosa 91, Milano, pianta livello ingresso © RPBW

Nel 2004 viene inaugurata la nuova struttura, con ingresso al civico 91 di via Monte Rosa, un involucro in vetro di oltre 20mila metri quadri, che custodisce un’ampia corte e una collina artificiale.
Dopo aver ospitato la redazione del giornale e l’annessa 24 Ore Business School, l’edificio, rimasto vuoto, viene rilevato da AXA IM Alts e nel 2020 riaffidato allo studio di Renzo Piano per rinnovarlo, con funzione di centro uffici. L’area della collina, dove sono stati organizzati spazi per il lavoro e il tempo libero, è sormontata da un giardino, battezzato Parco della luce e ridisegnato con nuove piantumazioni, sistemi di terrazze e passerelle: sarà l’ultimo brano di questo gigantesco complesso a essere consegnato alla città. Oggi, mentre il cantiere procede per il tratto di strada finale, diverse aziende sono già all’interno, operative da qualche mese. E con l’opening ufficiale del 28 giugno si è tagliato finalmente il nastro.

Renzo Piano, schizzo del complesso Monterosa 91 (sezione), Milano, © RPBW

Renzo Piano, schizzo del complesso Monte Rosa 91 (sezione), Milano, © RPBW

INTERVISTA A FRANCESCO ROVERE DI AXA IM ALTS

Renzo Piano dice che gli edifici hanno una vita lunga, come i fiumi, come i mari e le montagne. E che l’architettura è fatta per trasformarsi, per cambiare pelle. Questo posto, prima fabbrica, poi sede del celebre quotidiano milanese, oggi diventa centro per uffici. Come è cambiato questo complesso architettonico, ideato ieri e oggi ripensato da Renzo Piano?
Facendo una battuta mi viene da dire che nell’immobiliare, in realtà, nulla è immobile! E questa ne è una prova. Siano dinanzi a un rarissimo caso di edificio tutto sommato giovane, appena ventenne, che ha avuto la fortuna di poter essere ulteriormente valorizzato, nonostante non fosse datato, problematico, inattuale. Quello che abbiamo ipotizzato, e poi scoperto e confermato a uno sguardo ravvicinato, è che questo posto aveva tutta una serie di potenzialità rimaste parzialmente inespresse. E per diverse contingenze era rimasto vuoto, inutilizzato. Da qui l’occasione di ripartire e di portare alla luce queste caratteristiche, per rafforzarle, per renderle effettive.
Un merito sicuramente di chi l’ha progettato, cioè l’architetto Piano, che ci aveva visto molto lungo, e merito nuovamente suo nell’aver voluto e potuto esaltare ciò che, di questo posto, non aveva trovato pieno compimento. Non eravamo quindi nella classica condizione in cui un’architettura va demolita, ricostruita, sostituita, stravolta. Certo, alcuni stravolgimenti ci sono stati, ma sono molto poco visibili. Basti pensare al lavoro sull’efficientamento energetico o alla valorizzazione profonda della collina artificiale interna, che ha portato, in una piccola parte del complesso, a operazioni di demolizione e ricostruzione, con differenti destinazioni d’uso. Il messaggio allora, almeno in questo caso – e non dico che sia una regola – è che occorre essere pronti all’azione, per prevenire la vecchiaia degli edifici: prima che siano troppo datati, che diventino problematici, proviamo a dargli una spinta di miglioramento e ad assicurargli una vita lunga, rigogliosa.

Francesco Rovere, Senior Manager AXA IM Alts

Francesco Rovere, Senior Manager AXA IM Alts

Monte Rosa 91 rinasce per integrarsi in modo nuovo con il quartiere. Come si inserisce in questa zona della città?
In questi vent’anni la zona di Piazzale Lotto è cambiata molto. Penso allo sviluppo e alla nascita di City Life, ma anche ad altri progetti nei dintorni che stanno portando a un radicale cambiamento. Vent’anni fa, quando nacque questo luogo, si partiva da un’ex area industriale, interamente da convertire. Oggi abbiamo riqualificato un’area con destinazione terziario, che tale si conferma e che continua a crescere. È una zona ben servita dai mezzi pubblici, ma in cui sta per arrivare una nuova linea della metropolitana. E c’è l’area di San Siro, anch’essa strategica e in via di sviluppo: un altro bacino residenziale estremamente vicino, giusto a poche centinaia di metri. Tutti aspetti che abbiamo valutato in termini di benefici, dal punto di vista del business. Ma è importante sottolineare quello che abbiamo evitato, ossia che un grande edificio, uno dei più grandi a Milano, diventasse un luogo dismesso, abbandonato, senza futuro. Oggi, al contrario, diventa parte integrante del processo di miglioramento di questa zona.

Complesso Monterosa 91, Milano. Photo Studio Fotografico Enrico Cano

Complesso Monte Rosa 91, Milano. Photo Studio Fotografico Enrico Cano

MONTE ROSA 91. COME SARÀ

L’ambizione di aprirsi all’esterno, dunque, era e rimane prioritaria.  Sarà allora un luogo per chi lavora ma anche per chi, da fuori, desidera trascorrervi del tempo libero. Come e in quali aree specifiche del complesso tutto questo sarà possibile?
Quello che volevamo evitare era l’effetto enclave, ossia realizzare un complesso chiuso, ripiegato su sé stesso, incapace di comunicare con l’esterno. Volevamo ottenere il massimo livello di permeabilità. Da qui una serie di servizi, di opportunità piacevoli, di comfort, quelle che noi chiamiamo “amenities”: e sono una libreria, un’agenzia di viaggi, l’auditorium, nell’area d’ingresso; la grande piazza centrale, circondata dal verde; e poi, nell’area della collina artificiale, un asilo, una palestra, un ristorante-caffetteria e il giardino, che abbiamo rinominato “Parco della Luce“:  vent’anni fa questa zona non era accessibile a nessuno, ed eccezione dei residenti, mentre oggi finalmente comunica con la città.
Questi saranno dunque luoghi e situazioni sfruttabili da chi in Monte Rosa lavora, da chi abita nei dintorni o da chi si troverà a passare per un evento, un appuntamento, una presentazione: puntiamo a muoverci su una scala urbana che sia non solo di prossimità, ma anche di più ampio raggio. Queste, almeno, sono le nostre intenzioni: cominciamo a vederne qualche frutto, ma ci sarà molto da lavorare. Una cosa, intanto, è certa, con il nostro intervento stiamo puntando a rimettere in comunicazione il complesso di via Monte Rosa con l’area circostante, che era una di quelle potenzialità inespresse di cui dicevamo. Così lo aveva immaginato Renzo Piano, vent’anni fa. Oggi succederà davvero.

Pare proprio che ad AXA piaccia costruire spazi comuni, attraversabili. Penso alla piccola piazza di Vetra, pensata come snodo urbano, liberamente transitabile. E qui è il caso della grande piazza e del parco. Possiamo dire che “privato”, oggi, deve anche un po’ significare “pubblico”, rimettendo in campo il tema del bene comune, del valore comune? Con tutte le problematiche del caso, naturalmente, in termini di sicurezza, di gestione, di organizzazione. 
Assolutamente sì, la compenetrazione tra pubblico e privato è una direzione che seguiamo, non solo a Milano. A volte è una distinzione che resta solo da un punto di vista amministrativo: è il caso di spazi formalmente privati, ma fruibili pienamente (o quasi) dai cittadini. Un beneficio per le attività che si svolgono all’interno, ma anche un modo per restituire parte di questo beneficio alla città stessa. È una risposta in termini di responsabilità sociale, con tutte le problematiche e complessità del caso: il principio è molto chiaro, la sua applicazione implica delle difficoltà che affrontiamo giornalmente e che sono, in certi casi, rilevanti.

Parliamo di cantieri. Luoghi straordinari, pieni di umanità, di storie. Capaci di raccontare moltissime cose. Difficili da gestire, ma anche miracolosi, rappresentano la magia di ciò che si edifica e si trasforma. Ognuno legge il cantiere da una prospettiva diversa. Qual è la tua? Te lo chiedo come manager, ma anche come osservatore più sensibile, che magari ha fatto sue anche altre letture, altri sguardi. In due parole: cosa hai imparato dai cantieri?
Forse per deformazione professionale li considero delle macchine affascinanti, soprattutto quando si tratta di scale di grandezza importanti, come per Monte Rosa. Devo dire che l’esperienza personale è duplice: da un lato la pazienza, direi persino al resilienza nel portare a termine progetti che hanno durate prolungate, mille complessità, difficoltà quotidiane, costi, conflitti, cambi di strategia; dall’altro, c’è il pensiero costante della soddisfazione finale, quel momento in cui metti a fuoco il risultato, ed è una gioia che si condivide, che non è mai strettamente personale: parte dell’appagamento è generato dal gradimento degli altri, che possono essere i nostri investitori, i conduttori che abitano nei nostri immobili, eccetera. È un lavoro lungo e paziente, ma la sensazione finale, se pur assai più breve, ripaga della fatica.  E c’è, alla fine di ogni lavoro, anche quel sentimento sottile di dispiacere, un misto di orgoglio e di malinconia, mentre dici a te stesso ‘finalmente ci siamo; adesso pensiamo al prossimo cantiere, aspettiamo di innamorarci del prossimo lavoro’.

Complesso Monterosa 91, Milano, sezione trasversale © RPBW

Complesso Monte Rosa 91, Milano, sezione trasversale © RPBW

L’ARTE CONTEMPORANEA A MONTE ROSA 91

E poi c’è l’arte contemporanea, che avrà un ruolo in Monte Rosa, di nuovo in continuità con le intenzioni originarie e con il primo esperimento di vent’anni fa. Allora, anche in relazione al lavoro fatto con Vetra, cosa rappresenta per te, per AXA, la presenza dell’arte in un progetto architettonico e urbanistico, al di là del semplice (e fuorviante) concetto di abbellimento?
Il tema dell’arte, su cui investiamo molto, è ormai un elemento caratterizzante di alcuni nostri progetti. Abbiamo visto l’incredibile successo in termini di visibilità, di riconoscibilità, di risposta del pubblico, ottenuto con le iniziative portate avanti in Piazza Vetra. E anche in Monte Rosa, giocoforza, non potevamo non proseguire. C’era già un’opera, sì, una scultura sospesa dell’artista giapponese Susumu Shingu, che è stata ricollocata nel suo luogo originale, a cui si aggiungeranno ulteriori installazioni, alcune permanenti e site specific – di cui non anticipiamo nulla! –, altre temporanee. Abbiamo invece già annunciato l’inserimento di una versione ridotta di Momentum, il grande cubo progettato da MAD Architects, presentato durante il Salone nel Cortile della Statale.
Credo dunque che anche questo faccia parte di quell’engagement sul tema sociale, di quell’idea di responsabilità e di sostenibilità sociale a cui guardiamo come investitori immobiliari e su cui riteniamo di continuare ad investire.

Complesso Monterosa 91, Milano. Photo Studio Fotografico Enrico Cano

Complesso Monte Rosa 91, Milano. Photo Studio Fotografico Enrico Cano

 
Investire in progetti artistici realizzati ad hoc per un luogo, mettendo in dialogo architetti, artisti, critici, scrittori, e cercando delle chiavi di lettura progettuali, è una direzione nobile, ma che chiede un grande impegno. Pensi sia un modello sostenibile e che avrà fortuna in un settore come quello del reale estate, così come si sta evolvendo in questi ultimi anni?
Se tutto questo avrà fortuna ce lo chiediamo, me lo chiedo tutti in giorni. Da un punto di vista che potrebbe sembrare di parte, mi verrebbe di rispondere di sì. Ma proprio in queste settimane ci stiamo ulteriormente strutturando rispetto a questo, per valutare in modo un po’ più obiettivo e scientifico l’impatto sociale dei nostri investimenti, inclusi quelli destinati all’arte, alla cultura, al tema dell’apertura al pubblico. È sicuramente un lavoro che richiede molto tempo, molte energie e che ha un suo costo economico. Ma riteniamo che a un certo punto, alcuni elementi distintivi siano indispensabili per identificare i luoghi e la maniera di lavorare, vivere, all’interno dei nostri progetti, che non sono e non vogliono essere progetti qualunque, che hanno connotazioni speciali, che puntano a differenziarsi.

Certo, quando si investe in cultura – e questo vale soprattutto per le politiche culturali di un Paese – il ritorno non è necessariamente immediato, è una sorta di semina lenta, che conduce gradualmente a un cambiamento sociale. Per chi fa investimenti immobiliare invece?
Beh, sono considerazioni che dipendono molto dai parametri che usi per misurare un risultato. Ma dal nostro punto di vista non sono così convinto che non si possa avere una misurabilità nel breve tempo e un impatto positivo immediato, o quasi. Al contrario, potrei persino dirti che sono più preoccupato degli affetti nel lungo termine, ovvero di cosa bisogna fare per mantenere alta l’attenzione, il livello di esperienza che abbiamo promesso, rappresentato e fatto vivere in un certo momento: farlo durare nel tempo è estremamente impegnativo.

È una sfida per continuare a non essere luoghi qualunque, sempre vivi e rinnovati. A tal proposito, al di là delle opere d’arte, a Monte Rosa svilupperete dei palinsesti artistici e culturali? Cinema, musica, teatro, letteratura… L’auditorium disegnato da Renzo Piano, ad esempio, come e da chi sarà gestito?
Ospitare eventi culturali è un nostro obiettivo. Pensiamo ad esempio alle possibili attività da organizzare nella piazza centrale. Quanto all’auditorium, è stato dato in gestione a una società che lo valorizzerà, quindi sarà un asset sul mercato, non un servizio dedicato esclusivamente a chi lavora in Monte Rosa, cosa che non avrebbe avuto senso. Sarà anzi uno dei driver più importanti, rispetto al tema dell’apertura al pubblico: potrà essere utilizzato per eventi e occasioni non prettamente business (classiche presentazioni aziendali, convention), dunque per attività di natura culturale, alcune delle quali già in programmazione. La sera del 4 luglio, per cominciare, ospiteremo l’ultima data della tournée del Premio Strega.

Complesso Monterosa 91, Milano. Photo Studio Fotografico Enrico Cano

Complesso Monte Rosa 91, Milano. Photo Studio Fotografico Enrico Cano

MONTE ROSA 91 E LA SOSTENIBILITÀ

E veniamo all’aspetto green, altrettanto strategico per i vostri edifici. Quali caratteristiche ha Monte Rosa, dal punto di vista degli spazi verdi e della sostenibilità ambientale?
In generale la sostenibilità, nel senso più ampio del termine, è assolutamente essenziale nei nostri progetti. A maggior ragione quando si tratta di operazioni di riqualificazione. Per quanto riguarda l’aspetto ambientale c’è naturalmente il tema dell’efficientamento e del risparmio energetico, su cui in verità lavoravamo già da anni, al di là dell’attuale situazione economica (che è un motivo ulteriore). Basti pensare che per un edificio come Monte Rosa puntiamo a risparmiare oltre il 40% dei consumi, a fronte di un estremo comfort garantito ai residenti. Un obiettivo raggiungibile grazie all’innovazione tecnologica, in un immobile che aveva appunto solo due decenni, quindi non particolarmente obsoleto e non sottoposto a operazioni di demolizione e ricostruzione integrale. Lo riteniamo un traguardo eccezionale. Questo, come altri nostri investimenti, si caratterizza dunque per standard di altissimo livello, che sono ormai essenziali. Poi, nello specifico, il verde è proprio il colore del progetto Monte Rosa. E non è un caso: abbiamo persino un parco interno!
 
Quale idea invece è alla base dei vostri progetti dedicati agli uffici? Come sta cambiando questo mondo, tra pandemia e smartworking, crisi economica, flessibilità dei coworking, servizi di eccellenza dei proworking? Cosa cerca in un ufficio un professionista e perché dovrebbe scegliere Monte Rosa?
La difficoltà, per noi investitori, sta principalmente nell’inseguire quella che sembra una chimera, ovvero realizzare spazi il più possibile flessibili, adatti a esigenze diverse. I nostri clienti finali sono tanti. A Monte Rosa parliamo al momento di almeno una dozzina di conduttori ed è sempre complicato progettare qualcosa che vada bene a tanti. Potrei dire, guardando dove siamo arrivati oggi, che ci siamo riusciti, anche solo misurando i risultati in termini commerciali. Una delle chiavi di lettura di questo successo sta, probabilmente, nella capacità non solo di realizzare spazi accoglienti, flessibili, funzionali, efficienti, ma anche di “vendere” esperienze speciali, differenti.
I nostri conduttori vedono in un progetto come Monte Rosa un posto in cui i loro dipendenti hanno il piacere di restare, da cui traggono benessere. Un valore che tutte le aziende oggi vorrebbero offrire alle proprie persone: non si tratta più, semplicemente, di garantire una postazione di lavoro, ma di dare servizi, occasioni, per l’appunto esperienze. Qualcosa che motivi e spinga a tornare in quel luogo di lavoro, preferendolo a un altro o preferendolo all’idea di restarsene a casa. Ti faccio un esempio. Negli uffici dei nostri immobili una media del 50% degli spazi viene destinata ad attività di supporto dei conduttori: l’area break, la sala giochi, gli ambienti comuni, etc. Non siamo più davanti a open space in cui la parte preponderante è costituita da desk. La gente oggi lavora nei modi e nelle situazioni più diverse e soprattutto cerca di stare bene: noi vogliamo favorirli.

Complesso Monterosa 91, Milano, sezione tipo ufficio © RPBW

Complesso Monte Rosa 91, Milano, sezione tipo ufficio © RPBW

Adesso che è tutto pronto, o quasi, qual è il tuo sentimento, la tua percezione? Sii sincero: alla fine del viaggio, cosa avresti fatto diversamente e di cosa, invece, sei particolarmente fiero?
Si è sempre fieri delle proprie creature. E lo dico non perché sia semplicemente merito mio, anzi, questi sono incredibili lavori di team, quindi lungi da me volermi arrogare tutti i meriti (e anche tutte le colpe!). Penso sia sempre importante condividere, nel bene e nel male, pregi, difetti, battaglie vinte e battaglie perse, con coloro che hanno lavorato per l’obiettivo. Un bilancio vero e proprio non l’ho ancora fatto, ma potrei dirti che, come qualcuno aveva suggerito – e non citerò chi – bisognava avere un po’ di pazienza, perché sarebbe stato un progetto di incredibile successo. Forse è presto per dirlo, ma penso che non siamo lontani. Quanto ai difetti, tanti. Come certe scelte che magari abbiamo fatto per via di compromessi o per errori: nel tempo ne verranno fuori, sicuramente. Ma poco male. Ci prepariamo così, tra 15 o 20 anni, a rimetterci mano. Come abbiamo detto, niente è eterno, niente è immobile e i luoghi continuano a cambiare.
 
Helga Marsala

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Helga Marsala

Helga Marsala

Helga Marsala è critica d’arte, editorialista culturale e curatrice. Ha insegnato all’Accademia di Belle Arti di Palermo e di Roma (dove è stata anche responsabile dell’ufficio comunicazione). Collaboratrice da vent’anni anni di testate nazionali di settore, ha lavorato a lungo,…

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