“L’architettura è mettersi in gioco”. Parola all’architetto Aimaro Oreglia d’Isola

Bisogna trovare nuovi modi di far abitare la Terra e renderla più bella e più attraente. Aimaro Oreglia d’Isola indica la strada agli architetti di oggi e di domani

Nato nel 1928 a Torino, Aimaro Oreglia d’Isola si laurea in Architettura con Carlo Mollino nel capoluogo piemontese e prosegue la sua carriera al Politecnico torinese come Professore Ordinario di Composizione Architettonica e Progettazione Urbana.
La lunga attività di insegnamento e ricerca è portata avanti, non con minor successo, parallelamente a quella di progettista: dal 1950 insieme a Roberto Gabetti lavora nello studio Gabetti e Isola. I due architetti firmano opere di rilievo nazionale e internazionale, tra cui la Borsa Valori di Torino (1953), la Bottega d’Erasmo (1952-56), l’Unità Residenziale Ovest Olivetti di Ivrea (1968-71), il Quinto Palazzo per Uffici dell’ENI a San Donato Milanese (1985-92), per citare alcuni dei più noti. Con la scomparsa di Gabetti nel 2000, Isola apre il suo studio (Isolarchitetti), dedicando attenzione progettuale ai temi del paesaggio e dell’ambiente alle diverse scale.
La sua carriera “ha nutrito il dibattito architettonico intorno ai temi del rapporto tra modernità e tradizione, naturale e artificiale, territorio e paesaggio, per tutta la seconda metà del Novecento, traghettandoli fino a oggi, dove ci appaiono più che mai attuali. L’originalità dello studio si impone fin dai primi anni di attività, per arrivare ben presto a scatenare un intenso dibattito a livello internazionale sul senso dell’architettura moderna rispetto alla storia e alle culture locali”, indica la motivazione con cui all’unanimità la giuria gli ha conferito il Premio alla carriera nell’ambito della IV edizione del Premio italiano di Architettura.

La consegna del Premio alla Carriera ad Aimaro Oreglia d'Isola, Premio Italiano di Architettura, Triennale Milano e MAXXI. Photo Gianluca di Ioia
La consegna del Premio alla Carriera ad Aimaro Oreglia d’Isola, Premio Italiano di Architettura, Triennale Milano e MAXXI. Photo Gianluca di Ioia

L’architettura secondo Aimaro Oreglia d’Isola

Alla Triennale di Milano, dove ha ricevuto il riconoscimento promosso annualmente da MAXXI e Triennale, Oreglia d’Isola è di casa. Lo racconta lui stesso, citando un episodio in cui Guido Canella (1931-2009), curatore della mostra Idea e Conoscenza per la XVI Triennale di Milano del 1981, affidò a lui e Gabetti il compito di rappresentare con un’installazione la Conoscenza. Ad Aldo Rossi fu assegnata la sezione Idea, ricorda Isola: “E se dalla mostra di Rossi, che aveva creato un ambiente platonico, il pubblico usciva pensoso, dalla nostra, piena di ponteggi, drappi, materiali di montaggio e poesie, i visitatori uscivano divertiti. E questa è rimasta la nostra idea di architettura, un eclettismo. Si apre un panorama in cui non ci sono regole precise, non si sa cosa aspettarsi, è un mettersi in gioco”. Per i progettisti di oggi e di domani, ascoltare e leggere le sue parole è un’occasione da non lasciarsi sfuggire.

Intervista all’architetto Aimaro Oreglia d’Isola

L’incontro con l’architetto Isola avviene al termine della consegna del premio, quando il pubblico, dopo avergli tributato un sentito e ammirato applauso, si avvia verso la mostra associata al Premio italiano di Architettura (allestita in Triennale, fino al 24 settembre 2023). Ha commosso molti dei presenti l’architetto ultranovantenne, citando una poesia alla fine del suo discorso: “C’è una poesia di Montale che parla di un bambino che perde un pallone tra le case: il bambino siamo noi, gli architetti, le case sono l’architettura, il pallone è la Terra, della quale dobbiamo occuparci. C’è, oggi, una perdita di mondo. Io sono vecchio, ma c’è continuità, non è una fine”. Uno spunto da cui prende avvio il nostro dialogo: “La carriera è un cursus honorum, un intreccio tra opera e vita. La vita sono anche le opere che uno ha visto. La vita è anche quella di chi abita questi edifici. Mi è sempre piaciuta la dimensione di approvazione di chi abita le opere e di chi lavora”, confessa Isola ad Artribune.

A suo avviso, è una dimensione, anche etica, che in questo momento i professionisti dovrebbero recuperare?
Sì. Ma non etica come avrebbero inteso i regimi totalitaristi. Oggi c’è un tema di interdisciplinarità: dovendo fare, bisogna andare al di là della propria disciplina. C’è chi fa gli impianti, ci sono gli operai, chi fa il giardino, i sociologi. L’architettura è fatta da tanti.

Si potrebbe allora parlare di una dimensione corale della professione e dell’architettura. C’è qualcosa che vuole aggiungere per compiere una ricognizione sullo stato della professione e dell’architettura oggi?
Non sono pratico. Guardo il mio studio e quello che fa. Mi interesso con piacere a quelli che guardano all’oggetto.

E in questa risposta, tra le righe, c’è di nuovo la sua visione del fare architettura, l’avventura di chi si mette su una strada per far abitare la Terra e rimettersi in gioco, senza sapere cosa aspettarsi. Oggi, “che l’architettura sembra quasi evaporare verso un’intelligenza artificiale”, riflette Isola, il compito dell’architetto risiede proprio nel trovare nuovi modi di far abitare la Terra e “renderla più bella e più attraente”. E questo è il messaggio di continuità che Isola, con il suo premio, lascia a chi sta affrontando oggi e affronterà la carriera di architetto.

Letizia Pellegatta

https://www.isolarchitetti.com/

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Letizia Pellegatta

Letizia Pellegatta

Letizia Pellegatta, laureata in Architettura presso il Politecnico di Milano con una tesi in ambito storico-urbanistico, è appassionata di storia, arte e dei legami tra storia e manifestazioni artistiche ma anche profondamente curiosa della contemporaneità. Inaspettate casualità l’hanno portata a…

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