L’architettura di Mattioni e Vietti: cosa resta davvero della Milano degli Anni Cinquanta?
Tra le iniziative promosse a Milano per il centenario dell’istituzione degli Ordini degli Architetti, lo speciale itinerario tra le architetture di Luigi Mattioni e Luigi Vietti incoraggia a riflettere sull’eredità dei due progettisti e sulla tutela del patrimonio moderno
Ampiamente ripudiata, raramente – forse un po’ feticisticamente – amata, l’architettura del secondo Dopoguerra merita di essere conosciuta con tranquillità. Necessita di un tempo di avvicinamento lento che ne faccia emergere il fascino delle forme, la cura per il dettaglio, il desiderio di innovazione tecnologica. Il tour milanese organizzato dalla Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Milano, a cura di Leonardo Chironi e Stefano Passamonti, con la calibrata guida di Carlo Gandolfi, è stata l’occasione per tornare a riflettere – o meglio iniziare a riflettere – sul ruolo ricoperto da Luigi Mattioni e Luigi Vietti nella ricostruzione post-bellica milanese. Tredici edifici, spesso sconosciuti o semplicemente inconsapevolmente conosciuti agli occhi dei meneghini, hanno permesso di rivalutare l’impegno di due architetti ai margini della più ristretta cerchia del “professionismo colto milanese”, ma che indubbiamente meritano di rientrare fra i protagonisti della cultura progettuale del secondo Novecento italiano.
Gli architetti Luigi Mattioni e Luigi Vietti
Luigi Vietti, classe 1903, è forse maggiormente conosciuto per le sue ville a Cortina, per le abitazioni di Portofino o per la diffusa – e a tratti massiccia – urbanizzazione della Costa Smeralda. Sdoganando l’etichetta di solo architetto borghese, la ricerca di Vietti mostra un più ampio respiro, caratterizzata anche dalla puntuale produzione milanese. E qui, come nei luoghi di vacanza, possiamo ritrovare il suo carattere eclettico, quella capacità di spaziare tra stili, che è stata definita in ultima istanza proprio come lo “stile di Vietti”. Uno stile personale – quasi artificioso – che vuole negare ogni adesione a un’estetica predefinita.
Quasi agli antipodi, Luigi Mattioni, allievo di Piero Portaluppi e dieci anni più giovane di Vietti, dimostra nei suoi progetti un rigore tutto milanese, che si traduce in uno spiccato interesse verso soluzioni tecnologicamente innovative più che nella ricerca formale. La densa attività di Mattioni lo portò a realizzare più di 200 fabbricati, anticipando i caratteri razionali dell’office management contemporaneo.
La Torre Piaggio e gli altri edifici di Luigi Vietti a Milano
Il complesso residenziale in Piazza Paolo VI (1955) di Luigi Vietti dimostra l’interesse per il linguaggio costruttivo locale. L’edificio, che presenta un partito di facciata decisamente moderno con ampi riquadri vetrati, ricorda nei toni i materiali tradizionali lombardi, chiudendosi in sommità con una decisamente inaspettata copertura in coppi. Quasi contemporanea, la Torre Piaggio (1951-1955) sembra difficilmente uscire dalla stessa mano progettuale. Frutto del fascino per il grattacielo, inteso come condensatore sociale del tessuto urbano, l’architetto sperimenta in corso Sempione il prototipo di “città nella città”, sviluppando il suo vivere moderno su 62 metri d’altezza. Abbandonato ogni riferimento alla tradizione, con la Piaggio Vietti mira a garantire il massimo comfort termico, luminoso e d’aerazione. Si propongono così i serramenti in alluminio FEAL e le ampie vetrate temperate Securit, accuratamente schermate dai profondi loggiati. Al piano terra, una piazzetta coperta, un ristorante e un ricercato sistema di passaggi confermaronoin origine il carattere semipubblico dell’edificio, risolvendo il tema di accessibilità.
La Torre Breda o grattacielo di Milano
Tecnologicamente ancor più interessante è forse il Grattacielo di Milano, noto anche come Torre Breda (1950), su disegno di Mattioni e dei fratelli Soncini – non senza la consulenza di Piero Portaluppi – in via Vittor Pisani. Dimostrando la risolutezza del giovane Mattioni, la torre si guadagnò importanti primati storici: primo edificio milanese a superare una volta per sempre la vincolante altezza Madonnina e primo caso di bagni ciechi per abitazioni con sistema ad aspirazione forzata. La torre, attaccata dalla critica su più fronti, fu accusata di mera speculazione edilizia e venne difesa da Mattioni in due lunghi articoli apparsi su Edilizia Moderna. Se il carattere imprenditoriale del fabbricato resta indubbio, lo è altrettanto per i raffinati accorgimenti compositivi e tecnologici. Curiosa l’originale idea di arretrare gli spigoli dell’edificio di mezzo centimetro per piano per correggere l’illusione ottica delle verticali divergenti, così come la scelta di sfumare i toni delle tessere musive di rivestimento verso l’alto, quasi a volerne confondere la cima con il cielo – o tra la nebbia? Pensato per una lettura a distanza, le facciate mostrano nettamente il gioco dei pieni e dei vuoti. E qui, sono ancora una volta i “sudatissimi serramenti” Curtisa a divenire gli attori principali, risultati “doppiamente complessi perché nuovi per noi, per gli esecutori e per Milano”.
La tutela del patrimonio architettonico moderno
Deviando forse dagli intenti originari, certamente ad una più ampia scala, l’epilogo di questa passeggiata porta nuovamente a riflettere su una innegabile necessità: la tutela del patrimonio architettonico moderno. Proprietari inconsapevoli, interventi insensibili e normative eccessivamente stringenti sono le concause di radicali alterazioni. Ed ecco che gli originali “sudatissimi serramenti” di Mattioni cedono il posto ad anonimi e correnti profili, i mosaici sfumati cadono vittime di monocrome lastre lapidee, le ricercate facciate di Vietti in via San Pietro all’Orto vengono riadattate in materiali e cromie per meglio incontrare i gusti contemporanei e perfino i corpi inferiori della Torre Piaggio vengono completamente smantellati. Torna così a farsi sentire l’importanza di quella lenta e graduale conoscenza, la sola che permetterà di apprezzare il valore culturale e materiale del moderno, costituendo in ultima analisi la base fondamentale per la futura tutela di questo nostro ricco, ma fragile patrimonio.
Giuseppe Galbiati
Riferimenti bibliografici
C. Pagani, “Stile di Vietti”, in Stile, settembre 1941.
L. Vietti, “Grattacieli”, in Architettura, a. XI, fasc. IV, aprile 1932, pp. 189-201.
L. Mattioni, “L’inedito grattacielo di Milano”, in Edilizia Moderna, dicembre 1955.
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