Inaugura in Arabia il Diriyah Art Futures. Centro per le arti progettato da italiani
Entro fine 2023 verrà inaugurato vicino a un importante sito archeologico saudita il centro per le arti digitali e immersive progettato dallo studio romano Schiattarella Associati. Intervista agli architetti
A Roma, a due passi da Via Nomentana, la sede in cui si è trasferito da un biennio lo studio Schiattarella Associati non è solo un luogo di lavoro. Accanto ai giardini di Villa Paganini, questo luminoso spazio racconta, tra plastici e visioni tridimensionali di interni possibili, l’evoluzione di una realtà professionale “storica” del panorama capitolino, negli ultimi anni sempre più coinvolta in progetti nell’area mediorientale, ma non estranea alla domanda di architettura locale. A dimostrarlo c’è anche la recente partecipazione al concorso per il Museo della Scienza di Roma, conclusa con il secondo posto. Mantenendo viva la volontà di affiancare la pratica con iniziative a favore della diffusione della cultura architettonica, lo studio ha commissionato al fotografo Paolo Pellegrin un reportage d’autore dal cantiere del primo degli edifici in via di completamento in Arabia Saudita tra quelli progettati in loco dal team Schiattarella. Si tratta del Diriyah Art Futures, un versatile hub culturale di oltre 6500mq, a nord-ovest della capitale Riyadh, incluso nella celeberrima Saudi Vision 2030. Il lavoro di documentazione fotografica svolto da Pellegrin, i cui esiti qui pubblichiamo, è stato preceduto dalle ricerche e analisi “sul campo” svolte da Giovanna Silva ed Emilia Giorgi, a loro volta confluite in un volume di prossima uscita. Immagini e parole che “documentano lo stato di attesa del Paese”, racconta Amedeo Schiattarella. “Adesso Riyadh è tutta un cantiere, ma il libro coglie un momento fatidico in cui tutto sembrava pronto a partire, ma era in realtà ancora dormiente”.
Arabia Saudita e architettura contemporanea
Un contesto, quello saudita, repentinamente balzato agli onori della cronaca architettonica globale, dopo anni di prevalente silenzio e ridotto interesse mediatico. Prima dell’attuale boom, in questa terra la scuola italiana aveva già avuto modo di esprimersi, ricorda Andrea Schiattarella: “Albini, Valle, Pellegrini, Barbera: c’è una tradizione molto forte di progettisti italiani in Arabia. Una presenza rilevante, che abbiamo progressivamente scoperto. Tracce del passato che ogni tanto incrociamo lavorando. A un certo punto, tuttavia, questo filone si è esaurito”. Faraonici, controversi, spesso sbilanciati verso la dimensione utopica, i maxi interventi a carattere soprattutto residenziale che di recente hanno conquistato la ribalta anche sulla stampa non specialistica restituiscono un ritratto parziale e frammentato di quanto in progress nel regno, dove il trend di crescita demografica è molto importante, ma si rileva una carenza infrastrutturale da colmare. “Nell’area del Golfo, e anche in Arabia Saudita, la tentazione di molti architetti è essere autori di architetture stupefacenti, autoreferenti, con cui lasciare il segno. Ma questo non è il nostro atteggiamento”, spiega Amedeo Schiattarella, che chiarisce: “Noi siamo capitati in un momento di grande cambiamento, quello che sta avvenendo è addirittura stupefacente. Ciò che arriva fino alle nostre latitudini è una minima parte di quanto è in corso. Dall’Italia non ci rendiamo probabilmente conto dell’entità delle trasformazioni. È qualcosa di inimmaginabile qui, anche solo per la scala colossale con cui si chiede ai progettisti di lavorare. È una sfida continua anche alle nostre capacità professionale. Ed è assolutamente entusiasmante”.
Il progetto del Diriyah Art Futures di Schiattarella Associati
Presentato al MAXXI, in un talk al quale hanno partecipato anche Mona Khazindar, Consigliera Ministero della Cultura del Regno dell’Arabia Saudita, e Haytham Nawar, Direttore Diriyah Art Futures, il centro culturale in dirittura d’arrivo costituisce un unicum per il contesto della regione. In corso di completamento sul crinale di un wadi, è sorto nelle vicinanze dell’At-Turaif World Heritage Site, uno dei più importanti siti UNESCO storici e archeologici dell’intera penisola arabica, nonché originaria residenza della famiglia reale Al Saud. Esito di un concorso internazionale a inviti, indetto dal governatorato di Riyadh (all’epoca non esisteva ancora il Ministero saudita della cultura; istituto nel 2018, è oggi considerato tra i principali attori nel processo di riforma del Paese) e vinto da Schiattarella nel 2014, il Diriyah Art Futures incarna un modello funzionale senza precedenti.
Un versatile hub per provocare i digital artist
In quanto hub per le arti digitali, riunisce al proprio interno non solo spazi espositivi e amministrativi. Dispone, infatti, di aree riservate alla produzione (con studi per gli artisti), alla vendita delle opere d’arte, alla formazione (con una scuola) e di residenze per i borsisti. Un mix funzionale unico per l’Arabia, neppure contemplabile fino a una manciata di anni fa, al quale lo studio Schiattarella ha risposto con un’impostazione compositiva articolata, “essenzialmente fondata sulla centralità del valore del vuoto in architettura”, spiega il team, che include anche Paola Schiattarella. “Si tratta di un tema spesso sottovalutato, poiché di solito il vuoto si ottiene per residualità tra volumi, oppure ha un carattere celebrativo, come accade nell’area giapponese; in altri casi ancora è il risultato di un’azione di scavo nel pieno. Il vuoto come tale non viene considerato. Noi, invece, nell’hub proviamo a dare forma plastica al vuoto, sia all’esterno che verso l’interno, finendo per generare uno speciale rapporto con la luce. Il nostro è un vuoto multidirezionale, con cui provochiamo l’artista digitale incoraggiandolo a concepire opere ad hoc per questo spazio, date le sue potenzialità infinite: vuole essere uno spazio che provoca gli artisti”.
Roma, Riyadh e la corsa all’Expo 2030
L’iter costruttivo dell’hub, che ha conosciuto anche battute d’arresto, si inserisce dunque nel novero dei progetti sauditi (in larga parte legati a concorsi internazionali) dello studio romano, oggi incaricato dai sauditi della stesura della linea guida per l’architettura locale. Ma, volendo prendere le distanze delle modalità frequentemente adottate in questo territorio da grandi nomi del panorama internazionale, qual è il metodo di lavoro alternativo da mettere in campo? “Abbiamo usato il nostro lavoro come strumento per avvicinarci all’architettura saudita. Lingua, valori, tradizioni, clima, segni architettonici, clima: in Arabia Saudita tutto è diverso. La luce è diversa. Questa consapevolezza ci ha messo di fronte a una responsabilità, che come architetti abbiamo sempre sentito: quella di agire nell’interesse della comunità. Dunque, in controtendenza con quanto stava accadendo, ci siamo proposti come strumento per portare il senso e le radici dell’architettura saudita all’architettura contemporanea. Siamo ripartiti da zero, andando a studiare, cercando di cogliere l’essenza della cultura desertica, senza fermarci al vernacolare”. Così facendo è emersa “un’architettura legata al modo di essere della comunità stessa, a sua volta basata sul nucleo familiare, che tende a racchiudersi attorno a un luogo comune centrale, ma nello stesso tempo si protegge dall’esterno, per evitare alla sabbia e al caldo di entrare, divenendo così massiva. All’interno però è aperta, così da lasciare al vento la possibilità di entrare e generare moti convettivi. Apprendere tutto questo è stato il nostro punto di partenza; abbiamo riconsiderato il nostro modo di fare architettura per rapportarci a queste condizioni e a questi valori”. A precedere l’inaugurazione del Diriyah Art Futures, entro dicembre 2023, sarà l’atteso annuncio della città sede dell’Expo 2030, evento per il quale Roma e Riyadh sono in lizza. “Possiamo dire che tifiamo Roma, la città ne avrebbe davvero bisogno. Quella in corso è proprio una bella sfida!”, concludono gli architetti.
Valentina Silvestrini
https://www.schiattarella.com/
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