Intervista agli architetti che stanno ridisegnando la Roma di domani
In vista del Giubileo 2025, così com’è stato fino dal 1300, Roma spinge l’acceleratore sui cantieri. Tra gli interventi più attesi e rilevanti, rientra il rilancio dell’area pubblica attorno alla stazione Termini. A pochi giorni dall’avvio del cantiere, abbiamo intervistato gli autori del progetto
Lavorare con il tempo. Mettere a sistema tutti gli strati rilevabili nel patrimonio architettonico esistente, così da rendere percepibili anche le porzioni di passato divenute via via invisibili: ecco uno dei pilastri del “metodo IT’S”. A Roma, lo studio fondato e guidato dagli architetti Alessandro Cambi, Francesco Marinelli e Paolo Mezzalama ha scelto di insediarsi in un edificio già di per sé espressione di questo “desiderio di prossimità” con le tracce e le memorie del tempo. Situato nell’area ex industriale a ridosso della stazione Tiburtina, l’hub condiviso da alcuni anni con start up e realtà attive in settori anche all’apparenza estranei all’architettura sovrasta infatti un intricato sistema di caverne in tufo. In origine miniera di pozzolana, quindi deposito e rifugio antiaereo durante l’ultima guerra, questo luogo sotterraneo partecipa oggi alle dinamiche culturali di IT’S (dai podcast agli eventi in presenza), ispirando esperienze artistiche e performative. Una sede considerata “il manifesto del nostro modo di pensare l’architettura, che è una materia aperta, sempre pronta a contaminarsi con le discipline emergenti per anticipare l’evoluzione della società contemporanea”, raccontano gli architetti di IT’S, tra i protagonisti della stagione che dovrebbe cambiare il volto della Capitale. Promosse in vista del Giubileo 2025, le numerose opere in progress in città sono infatti concepite per generare un duraturo impatto sulle logiche urbane locali, con lo sguardo già oltre l’evento religioso. Lo testimonia piazza dei Cinquecento, per la cui riqualificazione urbanistica e funzionale lo studio (in cordata con lo studio francese TVK, mandataria e con ARTELIA Italia, NET Engineering, Michela Rustici, Latitude Platform for Urban Research and Design) si è aggiudicato nel 2021 il concorso indetto dal Gruppo FS Italiane e dal Comune di Roma. Il cantiere, che verrà gestito per fasi e quadranti cercando di contenere gli inevitabili disagi, è partito lo scorso 16 ottobre.
Piazza dei Cinquecento a Roma: da caos a spazio per la socialità
Come sarà la nuova piazza dei Cinquecento?
Il progetto libera lo spazio per restituirlo alla città. Saranno tolte tutte quelle funzioni che, nel corso del tempo, si sono accumulate in maniera informale: ci saranno un nuovo parcheggio-piastra (al posto dell’esistente) e un parco con 500 alberi; verrà riconfigurato il terminal degli autobus. Proprio qui, tra le novità, si attesterà la linea tramviaria Termini-Vaticano-Aurelio. Soprattutto quest’area inizierà a relazionarsi con il polo museale delle Terme di Diocleziano.
In quale modo?
Oggi, arrivando a Roma Termini, non si ha la sensazione di poter accedere al centro a piedi. L’attuale piazza è respingente, con una successione di presenze che non ne rendono percepibile l’attraversabilità. Di fronte c’è un importante museo, ma le difficoltà di accesso (e, più semplicemente, quelle di percezione visiva) ostacolano la possibilità di visitarlo, magari tra un viaggio in treno e l’altro. Neppure si pensa a questa opzione.
In quest’opera come si riflette la vostra idea di spazio pubblico a Roma?
Sia questo progetto, che quello legato alla gara per la riqualificazione di alcune aree prossime a Città del Vaticano (tra cui via Ottaviano, la salita della Stazione Vaticana, il sottopasso di via Gregorio VII), ripensano lo spazio pubblico in modo unitario. Finora, a Roma, lo si è prevalentemente inteso in senso funzionale. Piazza dei Cinquecento lo testimonia: la chiamiamo piazza, ma non lo è. È un grande caos, con un parcheggio, un hub per gli autobus e molto altro. È un luogo caratterizzato dalle funzionalità anziché dalla socialità. La nostra nuova interpretazione si potrebbe definire “ambientale” e rientra in una visione più ampia, che punta alla valorizzazione del suolo e dello spazio non abitato della città. Roma ha una dimensione unica, si caratterizza per la bassa densità e per l’alta componente di suolo libero. Ripensarla oggi attraverso il suo spazio libero e il suo vuoto è un valore, un’opportunità. Anche in termini di investimenti dai privati.
Su quali peculiarità si fonda questa vostra visione?
In tutti i nostri progetti in corso a Roma – nella nostra storia, forse questo è il momento in cui stiamo lavorando di più sulla città – attraverso lo spazio vuoto diamo evidenza a una visione eco-sistemica, introducendo connotati a carattere ecologico-ambientale. In altre parole vogliamo riportare la natura, per far sì che in questi luoghi si possa recuperare una scala umana: li concepiamo come luoghi di nuove socialità e possibilità, restituiti all’uomo, non più utilizzati per altri tipi di scopo. Agiamo su più fronti: con gli alberi, certo, ma anche attraverso una rilettura del suolo, con una grande attenzione ai temi dell’acqua e della permeabilità dei suoli, che fin qui appaiono prevalentemente sigillati. Oppure introducendo la micro-agricoltura urbana, come nel mix funzionale previsto per l’ex Filanda.
Citavate la disponibilità di spazio e di verde. Eppure, nonostante questo, Roma continua ad apparire afflitta da varie criticità. Cosa le è mancato negli ultimi anni?
Roma, forse paradossalmente, è una delle città più verdi d’Europa. Il paesaggista Michel Desvigne, quando ne parla, la descrive come “un sogno”. Il verde di Roma è ovunque: abbandonato, massacrato, coltivato, ma è ovunque. Il problema, quindi, è che non viene curato. Per questo, nella nostra idea di spazio pubblico (incluso quello privato a uso pubblico), alla micro e nella macro-scala, attraverso la sua presenza cerchiamo di riportare la cura: un processo lungo, di natura culturale. È questo che veramente manca a Roma: la cura degli spazi. Negli anni si è persa l’attenzione al dettaglio, il voler bene alle cose, la pratica di occuparsi di tutto ciò che, teoricamente, ogni romano potrebbe avere a sua disposizione ogni giorno. E poi c’è il Tevere…
Ovvero?
Stiamo producendo un docu-film per raccontare l’ecosistema del fiume dal punto di vista esperienziale; abbiamo presentato il teaser alla Biennale dello Stretto diretta da Alfonso Femia. Il Tevere costituisce un altro ambito naturale che, potenzialmente, può contribuire a restituire una visione contemporanea a questa città. Ne racconta bene il potenziale: quando lo si percorre, da Ponte Milvio fino al mare di Ostia, si attraversano tessuti diversi, realtà incredibili. Ci si scorda dell’esistenza della città appena sei metri sopra. Si percorre un fortissimo e sviluppatissimo corridoio ecologico, selvatico e potente, che conta perfino sue rotte migratorie. Navigarlo è un’esperienza che ci ha sorpreso per la potenza che ha rivelato. Quello che in altre città stanno cercando di creare adesso a Roma già esiste, ed è una condizione che ci fa affermare che la città ha bisogno di una sua visione, senza ispirarsi a quelle altrui. Deve, piuttosto, prendere consapevolezza della sua unicità per costruire il suo modello e affrontare le difficoltà di governance: lo scollamento tra cittadino e amministrazione si deve anche al fatto che ogni municipio è grande quanto una città media italiana.
Questo approccio, incline all’apertura e all’ibridazione, come si riadatta dallo spazio urbano a quello architettonico, in particolare nelle vostre opere non legate al Giubileo?
Analizziamo le due riqualificazioni in corso. Da via dell’Amba Aradam, con l’ex sede INPS che viene riconvertita a uffici, fino al recupero di un edificio moderno su viale della Civiltà del Lavoro, all’Eur, ci confrontiamo con tutti gli strati temporali che compongono Roma. Si tratta di progetti che ci pongono davanti al DNA profondo di questa città, incluso quello archeologico. È il caso della villa romana dell’imperatrice Maxima nell’ex INPS: lì siamo esattamente dentro quella che chiamiamo la “città palinsesto”, una città che si riscrive di continuo, tra sovrapposizioni e stratificazioni. È l’attitudine di Roma. Dovendo offrire una risposta contemporanea, il nostro è un edificio che si relaziona con tutti i tempi della città, molto più poroso dell’esistente così da essere accessibile, sia visivamente che fisicamente, con servizi per tutti. Gli edifici istituzionali della Roma moderna avevano una postura volutamente distante dai ritmi della società, ma secondo noi oggi l’ibridazione funzionale è vitale. E, in più, è un edificio vuole essere “meteorologico”.
Cosa si intende con questa definizione?
È dotato di un sistema di oscuramento della facciata che reagisce alle condizioni climatiche: la facciata si chiude sulla base dell’incidenza del sole. E, così facendo, rispecchia la nostra visione dinamica dell’architettura.
Operate in due capitali europee in parallelo (IT’S ha sedi anche a Parigi e Ginevra; in Francia sono in corso i lavori del nuovo campus universitario nella banlieue di Nanterre e di un edificio per uffici, a Bordeaux, ndr). Questo vi rende osservatori delle trasformazioni che le attraversano. In vista delle Olimpiadi 2024, Parigi si è fatta promotrice di modifiche anche alla scala infrastrutturale. Qual è il vostro giudizio su questi due contesti urbani, anche in considerazione dell’ambizione di Roma di ospitare l’Expo 2030?
Al contrario di Roma, Parigi è una città iperpianificata. E, per di più, i francesi nella cura sono incredibili: c’è solo da imparare. Dalla Provenza alla Bretagna, attenzione e cura del dettaglio sono impressionanti. Ma, prima di tutto, Parigi pensa al proprio spazio pubblico in occasione di ogni singoli intervento. Anche quando si sviluppa un grande quartiere di espansione, l’atto di partenza è pianificarne lo spazio pubblico con i trasporti e un grande parco, che inizia a vivere da subito. E la regia è sempre pubblica. Da questo punto di vista, a Roma la logica resta più spontanea, ma anche in relazione ai grandi eventi Roma ha ancora tutto il potenziale per ragionare del suo spazio pubblico. Questo è un momento cruciale: si stanno ridisegnando, senza non poco fatica, nuove infrastrutture per la mobilità, i tram in particolare. Ci sono tanti processi in corso, da quelli sul Tevere al recupero delle vele di Calatrava, che insistono proprio sullo spazio pubblico. È un’occasione da non perdere.
Valentina Silvestrini
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