Fare architettura negli hotel. Intervista a Piero Lissoni
Prosegue la nostra ricognizione nel settore dell’hôtellerie contemporanea. Non potevamo non includere in questa selezione anche Piero Lissoni, che di hotel nella sua carriera ne ha realizzati decine, in Italia e all'estero
Di sé racconta che avrebbe “tanto voluto fare il maestro di sci”. Alla guida di Lissoni&Partners, l’architetto e designer Piero Lissoni è da anni una delle figure di riferimento (anche) nel settore della progettazione alberghiera, con all’attivo opere su scala globale. Guidato da Piero Lissoni (Seregno, 1956), lo studio Lissoni&Partners, con sedi a Milano e New York, ha all’attivo una storia trentennale nello sviluppo di progetti internazionali nei campi dell’architettura, del paesaggio, degli interni, del product e del graphic design. È inoltre responsabile della direzione artistica per alcuni dei più importanti brand di design, inclusi Alpi, B&B Italia, Boffi, Living Divani, Lema, Lualdi, Porro e Sanlorenzo. Tra i migliori esponenti del Made in Italy – “alla scuola di Milano io devo molto, moltissimo”, ci confessa – Lissoni guida uno studio il cui lavoro è caratterizzato da un senso di rigore e apparente semplicità, con una particolare attenzione per i dettagli, le proporzioni e l’armonia generale. Nel mondo dell’hôtellerie internazionale e dell’hospitality l’architetto e designer è considerato una delle voce più eminenti, con progetti sparsi da Oriente a Occidente: lo Shangri-La Shougang Park a Pechino, The Oberoi Beach Resort, a Ajman (UAE), il Grano Park Hotel a Rovigno e l’NCL Prima The Haven, per citarne qualcuno. Per capire i cambiamenti in atto nel settore, lo abbiamo intervistato.
Intervista all’architetto e designer Piero Lissoni
Iniziamo dal suo ultimo libro Environments – edito da Rizzoli e curato da Stefano Casciani. Lo ha definito “non un bilancio ma una corposa raccolta organizzata col modello con cui è organizzato anche il mio studio”
Sì, i bilanci lasciamoli fare a qualcun altro quando non ci saremo più. Questo libro raccoglie un pezzo di vita professionale fatto di passione, mia compagna di viaggio. Si chiama Environments proprio per rappresentare l’idea di progetto come definizione di nuove visioni dell’ambiente costruito, attraverso la ricerca e l’invenzione di spazi e oggetti attenti alle esigenze di utenti, produttori e costruttori, ma con una particolare vocazione espressiva vicina al mondo delle arti plastiche e visive. A me piace l’idea che tutto quello che faccio abbia un senso, dal più piccolo oggetto al grande progetto architettonico o urbano. Al di là della guida di Stefano Casciani, ho provato a raccontare quello che siamo: non siamo architetti, non siamo designer, non siamo graphic designer, siamo una miscela strana a cavallo tra l’umanesimo e forse un pizzico di scienza.
Ha una solida esperienza nel mondo dell’hospitality. Com’è cambiato negli ultimi anni?
Negli ultimi anni abbiamo assistito a cambiamenti epocali, radicali, profondi. Sono stati aperti molti 5 stelle superior, i 4 stelle spesso trasformati in design o boutique hotel, e i 3 stelle in business hotel. Ma soprattutto sono cambiate le dimensioni, le proporzioni, la complessità generale e la qualità dei servizi offerti all’interno delle strutture. Oggi, per esempio, non si può pensare di fare un hotel di un certo livello senza dotarlo di un adeguato spazio spa e wellness: gli utenti se lo aspettano. Così come di un’offerta food&beverage, magari stellata, dal momento che gli hotel sono finalmente diventati anche qui – e non solo nel mondo anglosassone, dove è cosa normale da anni – luoghi di ritrovo, in cui ci si incontra per bere un drink o per provare le proposte eno-gastronomiche dello chef in house. Sono cambiati, inoltre, gli spazi e i dispositivi di accoglienza: se prima c’erano grandi desk per la conciergerie, oggi si predilige l’uso di dispositivi elettronici, modalità di check-in personalizzate e camere addirittura senza chiave.
Qual è il suo approccio a questo specifico settore progettuale?
Ogni progetto è un progetto a sé. Ne ho fatti tanti di alberghi del mondo, da Milano a New York, da Pechino alla Croazia, da Shanghai a Saint Vincent passando per Amsterdam. Eppure, ognuno, per quanto esistano delle regole comuni e delle normative da rispettare, è stato differente, perché differenti erano il luogo, gli interlocutori, il modello di hotel che si cercava, il budget messo a disposizione.
La progettazione degli hotel nel contesto contemporaneo
Secondo lei, il detto “Tutto il mondo è paese” è applicabile all’hôtellerie? Quali le differenze e/o le similitudini tra l’utenza internazionale e quella italiana?
Come dicevo, esistono elementi comuni e ricorrenti rispetto alla tipologia, anche a livello internazionale. Pensateci: di fatto gli hotel sono potenziali “non luoghi” e i clienti una comunità extraterritoriale. Gli alberghi devono essere contemporaneamente aperti al mondo, ma guardare al contesto in cui si inseriscono. Chi viaggia molto oggi non accetta più la ripetizione pedissequa di alcuni stilemi o format: vuole essere accolto in uno spazio che dialoghi con il luogo in cui sorge e le sue caratteristiche.
E quindi, in fatto di interior, quali elementi fanno la differenza in un progetto di hotellerie?
Partiamo da un presupposto culturale. Quando a noi architetti viene chiesto di intervenire su un albergo non è come un semplice cambio di abito: io, almeno, li disegno pensando alla loro durata. L’investitore deve sapere che per dieci anni minimo non metterà mano – salvo la manutenzione ordinaria – a quegli spazi. La differenza, comunque, la fanno sempre i materiali, le superfici, la luce, il colore. Insomma, l’unione di comfort, estetica e sostenibilità.
Come convivono le sue due personalità – da architetto e da designer – quando si parla di hotel?
Benissimo, senza patemi. È la bellezza bipolare di essere due cose insieme: non capiterà mai di trovarmi di fronte a qualche forma di idiosincrasia.
Chi considera come nomi interessanti in questo ambito?
Di bravi in questo ambito ce ne sono, eccome. In Italia direi Patricia Urquiola e Citterio/Viel. All’estero Arthur Gensler e Yabu Pushelberg.
Ci svela il progetto più divertente fatto finora?
Di progetti divertenti me ne sono capitati tanti negli ultimi trent’anni. Non ho un progetto ideale o un posto dei sogni che mi manca da mettere nel cv, sono stato fortunato finora. Ma sono molto autocritico: mi piacciono tutti quelli fatti, e tecnicamente nessuno. Infatti, diversamente da molti miei colleghi, cerco, se posso, di evitare di tornare “sul luogo del delitto”.
Se si dovesse descrivere dall’inizio della carriera ad oggi, di lei cosa direbbe?
Che avrei tanto voluto fare il maestro di sci!
Giulia Mura
https://www.lissoniandpartners.com/en/
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