Sarà una Biennale Architettura all’insegna della collaborazione: intervista a Carlo Ratti 

Chiama a raccolta le intelligenze globali Carlo Ratti, che immagina la sua Biennale Architettura come un’esperienza corale, collaborativa, estesa oltre i consueti confini fisici. E annuncia un omaggio a Italo Rota, che si sarebbe dovuto occupare del design della mostra veneziana

Per introdurlo il presidente della Biennale di Venezia Pietrangelo Buttafuoco è ricorso all’Eraclito dell’“uno è diecimila”. Ha condensato nella formula a effetto “Ratti è diecimila” tanto la sua stima verso il direttore della 19. Mostra Internazionale di Architettura, quanto le aspettative dell’istituzione lagunare attorno all’architetto-ingegnere torinese di nascita e ormai pienamente internazionale. Da Intelligens. Naturale. Artificiale. Collettiva, in programma a Venezia dal 10 maggio al 23 novembre 2025, ci separa un intero anno. Più immediata è però la scadenza – fissata al 21 giugno 2024 – per l’esperimento che debutta con l’architetto Carlo Ratti, regista di un’operazione di curatela che passa attraverso la prima raccolta di idee promossa in seno alla Biennale: si attendono visioni, idee, proposte dall’intera comunità globale di professionisti, scienziati, studiosi, attivisti. È una scelta di metodo necessaria, spiega nella nostra intervista lo stesso progettista, per concretizzare la volontà di porre “in primo piano la diversità di prospettiva”: solo il meglio del pensiero globale, insomma, per capire come agire nell’ambiente costruito alla luce dell’accelerazione della crisi climatica. E non c’è dubbio che per un progetto espositivo che chiama in causa le categorie della prova e dell’errore, dalla qualità e quantità dei feedback pervenuti si potrà misurare la capacità della Biennale di Venezia di attrarre, ancora una volta a sé, i mondi della progettazione e delle discipline affini. 

Padiglione Francia Expo 2025 Osaka. Courtesy Coldefy & CRA-Carlo Ratti Associati
Padiglione Francia Expo 2025 Osaka. Courtesy Coldefy & CRA-Carlo Ratti Associati

Intervista all’architetto e ingegnere Carlo Ratti 

Con la sua nomina, la direzione della Biennale Architettura torna a essere affidata a un architetto italiano dopo quasi venticinque anni da Massimiliano Fuksas. Avverte una responsabilità aggiuntiva legata al dato anagrafico? 
Sono onorato dell’incarico. Credo che la mia presenza porterà più Italia alla Biennale. E lo farà partendo proprio da Venezia, città che è la sintesi mirabile dei vari tipi di intelligenza che esamineremo: naturale, artificiale, collettiva. Consideriamo un’opportunità la chiusura del Padiglione Centrale per ristrutturazione: i progetti che sarebbero stati allestiti al suo interno saranno invece diffusi in città. 

Annunciare l’allestimento di dispositivi temporanei sul suolo di Venezia incuriosisce e sfiora una questione che negli anni è divenuta un tema per partecipazioni nazionali e esperienze indipendenti: mi riferisco alla relazione della kermesse (e dell’istituzione che la organizza) con la città stessa e all’accessibilità dei suoi spazi da parte della comunità locale. 
Nella sua lunga storia, la Biennale si è reinventata moltissime volte. Il suo rapporto con la città è sempre stato fondamentale. Dalle precedenti esperienze della Biennale di Shenzhen o di Manifesta a Pristina sappiamo che i grandi eventi che riescono a interfacciarsi in maniera positiva con la città sono catalizzatori di cambiamenti altrimenti impensabili. In piccola parte, ci piacerebbe riuscire ad andare nella stessa direzione anche in questo caso e lasciare il segno per le biennali di domani. 

Visiteremo la mostra del curatore all’Arsenale e un corollario di presenze in giro per Venezia, sulla scia del “modello Fuorisalone”? 
Come avviene con il Fuorisalone, già da tempo la Biennale è affiancata da eventi collaterali in città. Però qui si tratta di lavorare su una mostra internazionale che contamina Venezia con idee e progetti: alcuni di questi saranno nei siti tradizionali di Biennale, come i Giardini e l’Arsenale, altri usciranno dal consueto perimetro.  

In conferenza stampa ha dichiarato che tali dispositivi renderanno Venezia “viva, vivente”: l’aggettivo evoca anche una dimensione biologica e organica, mentre l’operazione nel complesso porta alla mente precedenti che hanno fatto la storia della kermesse. 
Senza dubbio una delle esperienze più ricordate delle passate edizione della Biennale resta il Teatro del Mondo, in cui Aldo Rossi riuscì davvero a confrontarsi con la città, in quel caso con Punta della Dogana. Mi piace l’analogia biologica: l’idea è proprio immaginare la città come qualcosa di vivo, al centro di una trasformazione a cui possono contribuire gli architetti.  

AGO Modena. Image credits CRA-Carlo Ratti Associati
AGO Modena. Image credits CRA-Carlo Ratti Associati

Citava Shenzhen. Rilevo almeno due analogie con la mostra che lì ha curato con Michele Bonino. La prima risiede nell’ambizione di realizzare un allestimento 100% circolare, che rimodula l’allestimento di Shenzhen, dove ogni installazione era realizzata localmente?
A Venezia vorremmo andare un passo oltre rispetto alla mostra in Cina, facendo in modo che tutto quanto verrà costruito non vada sprecato. Mi piacerebbe che neppure una vite andasse perduta, ovvero che tutto possa poi essere riusato o riciclato alla fine della mostra, oltre a scegliere tra materiali recuperati. Questo è un tema ormai cruciale per tutti gli eventi e pensiamo che la Biennale possa davvero fare un salto.  

In concreto, come? Prevedete linee guida anche per le partecipazioni nazionali? 
Sì, le stiamo mettendo insieme lavorando con fondazioni e studi di ingegneria internazionali, in modo da poter dare un contributo tanto alla Biennale quanto ai grandi eventi globali in generale. 

La Biennale Architettura 2025 spiegata da Carlo Ratti 

In continuità con l’open curatorship della Biennale cinese del 2019, anche a Venezia adotta un approccio che privilegia la curatela aperta.  
Attingo a Umberto Eco – con lui ho avuto un rapporto personale fin da quando ero studente e poi insieme anche a Filippo de Vivo e Marco Santambrogio siamo stati tra i promotori del Collegio di Milano – e alla sua Opera Aperta per ispirare la Biennale 2025. Da questa premessa teorica nasce la volontà di non perdere nessuna voce rilevante: vogliamo mettere insieme una molteplicità di intelligenze, che poi diventeranno la mostra stessa. Per questo abbiamo attivato la raccolta di idee: vorrei davvero che la Biennale 2025 fosse la “Biennale della collaborazione”, con il mondo dell’architettura e con mondi diversi. 

Non mancano mai le critiche ai direttori della Biennale Architettura. Tra le più ricorrenti: ottimi progettisti o eccellenti educatori, ma non altrettanto convincenti curatori. Lei riunisce queste tre professioni: progetta, insegna; ha esperienze curatoriali nel mondo. Cosa teme e cosa auspica per la sua Biennale? 
È e sarà impossibile mettere d’accordo tutti. Tuttavia potremmo iniziare a lavorare di più insieme: oggi le varie declinazioni di intelligenza proposte nel titolo appartengono a silos diversi nelle università, ma in realtà hanno qualcosa in comune che è il codice della vita. Sarebbe molto importante se riuscissimo a ricomporre alcune delle fratture presenti nella professione e nell’insegnamento dell’architettura. La speranza? Riuscire a fare una Biennale capace di incidere sul presente. 

Per riuscirci proverà a parlare a tutti? Magari proprio grazie alla presenza in città. 
Portare fuori dal perimetro alcuni interventi va in questa direzione; nello stesso tempo, vogliamo usare strumenti e linguaggi diversi per arrivare a più persone possibili. Il tema che trattiamo, ovvero come le nostre città si possano adattare al cambiamento in atto, interessa tutti, non solo gli architetti.  

Italo Rota, foto Massimo Listri
Italo Rota, foto Massimo Listri

Ambientalista e militante: affiancherebbe questi due vocaboli alla sua Biennale? 
No, non userei queste parole perché lasciano intendere l’esistenza di soluzioni note a priori. Credo invece che ciò che la progettazione, intensa come ambito ampio, possa portare siano dei tentativi: alcuni avranno successo; altri falliranno. Ma nel complesso ci permettono di accelerare la trasformazione del presente. Ispirandoci di più alla natura, anziché pensare a soluzioni definitive dovremmo procedere per prove ed errori. 

A proposito del fallimento. La sua Biennale arriva dopo quella di Lokko, ovvero la seconda del settore architettura per numero di visitatori. La preoccupano gli ingressi? 
Più che ai numeri guarderei all’impatto della mostra, che va sempre oltre gli accessi. È qualcosa che si riflette sulla città, sul Paese, sul dibattito in architettura, sulle nuove generazioni, sul percepire l’architettura come parte delle soluzioni rispetto ad alcune delle ansie e crisi del nostro tempo.  

I progetti di Carlo Ratti Associati e Italo Rota 

Possiamo aspettarci un omaggio a Italo Rota in mostra? 
Con Italo Rota abbiamo lavorato a tanti progetti negli ultimi anni: avremmo dovuto collaborare anche a Venezia. Lui sarebbe dovuto essere il direttore di tutto il design della mostra. Vogliamo fare in modo che quanto avevamo iniziato insieme continui e che la sua lezione sia presente alla Biennale 2025.  

La vostra collaborazione è stata percepita come un “episodio insolito” nel panorama italiano. Com’è nata? 
Fin dai tempi di Expo 2015 Milano con Italo siamo stati negli stessi progetti, ma lavorando in maniera separata. Poi è arrivata Expo 2020 Dubai e ci siamo molto divertiti. In questi ultimi sei anni abbiamo fatto insieme la maggior parte dei nostri progetti. È stato un bellissimo sodalizio professionale, che purtroppo si è interrotto.  

Ma proseguono alcuni interventi sviluppati insieme. Penso alla rigenerazione dell’ex Ospedale Sant’Agostino di Modena. 
Sì, AGO Modena Fabbriche Culturali sta andando avanti. In questo tipo di progetti si affronta un vecchio dilemma – A quale condizione precedente dell’edificio tornare? –, che ha i due estremi nelle posizioni di Viollet-le-Duc o Ruskin. Concettualmente in Sant’Agostino la struttura dinamica del tetto origami permette di avere configurazioni diverse nello storico cortile e propone una sorta di terza via. Di conseguenza quello spazio pubblico potrà essere fruito così com’era nel Settecento, potrà essere chiuso oppure si potrà sperimentare un aspetto nuovo, intermedio.  

Quali opere del suo studio si concluderanno nel 2024? 
Tra i vari progetti in chiusura, cito la nuova mensa per Francesco Mutti. La segnalo per due aspetti interessanti. Il primo, a livello concettuale: si tratta una mensa per i dipendenti dell’azienda, ma sarà gestita da uno chef stellato che proporrà un menù per tutti per il servizio della cena. Il secondo, a livello architettonico: si presenta come una grande zolla che si solleva nei campi del parmense. 

Valentina Silvestrini 

https://www.labiennale.org/it

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Valentina Silvestrini

Valentina Silvestrini

Dal 2016 coordina la sezione architettura di Artribune, piattaforma per la quale scrive da giugno 2012, occupandosi anche della scena culturale fiorentina. È cocuratrice della newsletter "Render". Ha studiato architettura all’Università La Sapienza di Roma, città in cui ha conseguito…

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