Una mostra racconta la celebre scuola di architettura svizzera-italiana di Mendrisio
Le scuole internazionali d’architettura (e in particolare quella di Mendrisio) sono al centro di una mostra all’interno del Teatro dell’Architettura di Mario Botta, fondatore, insieme ad Aurelio Galfetti, della scuola d’architettura della città svizzera
Gli spazi del Teatro dell’Architettura dell’Accademia USI di Mendrisio aprono al pubblico La scuola di Mendrisio. Un progetto, un’esposizione dedicata all’organismo innovativo e sperimentale della scuola di architettura inaugurata nel 1996 dagli architetti Mario Botta e Aurelio Galfetti. L’evento costituisce l’occasione di riflessione sull’evoluzione sul ruolo che ha assunto nella storia lo spazio formativo: la scuola di architettura è infatti sia un ambiente fisico nel quale lo studente viene istruito attraverso il sapere del passato, ma è anche incubatore di idee per il progettista del futuro.
La mostra sulla Scuola di Mendrisio
I curatori dell’esposizione, Marco Della Torre e Manuel Orazi, hanno così colto dell’appuntamento accademico annuale di esposizione dei lavori degli studenti allargandolo ad uno spettro più ampio e pubblico, per “far conoscere meglio l’attività della scuola anche agli abitanti di quella che Aurelio Galfetti, primo direttore dell’Accademia, chiamava Città-Ticino, ovvero un’unica città che va da Lugano a Milano”, spiega Orazi.
L’esposizione si sviluppa sui tre piani del Teatro dell’Architettura di Mario Botta, dispiegando al pubblico il percorso plurale che si presenta allo studente nel corso dei semestri accademici. Il piano terra ospita una sintesi delle attività del primo anno sviluppate dai professori Annina Ruf, allieva di Arduino Cantafora, Valerio Olgiati e Riccardo Blumer: una proposta formativa dove la componente artistica e manuale si fonde con la sollecitazione di un pensiero progettuale critico di stampo umanistico. Il secondo piano ospita una panoramica delle diverse tematiche approfondite all’interno della facoltà: i lavori degli studenti approfondiscono gli specifici ambiti nei quali la scuola di architettura si declina, dalle tecniche costruttive, ai materiali, dalla storia e teoria dell’architettura al cinema, fotografia, scenografia e architettura dell’effimero.
La formazione dell’architetto di domani
L’esposizione propone poi un focus sulla nascita ed evoluzione delle più importanti scuole di architettura diffuse nel mondo, mentre a chiusura si trova una selezione illustrativa di tutti gli atelier di progettazione suddivisi per gruppi tematici: abitazione, scala territoriale, riuso e “internazionalismo critico”.
La mostra porta il pubblico all’interno di un organismo in continua evoluzione e trasformazione, riscontrabile direttamente attraverso le narrative delle scuole accademiche internazionali e i modelli degli studenti che ogni anno crescono e contribuiscono alla crescita dello stesso polo universitario. In un’attenta simbiosi tra esperienza pratica e assimilazione dei concetti scientifici e umanistici, si va sviluppando l’architetto di domani, cui è richiesta una formazione completa per contribuire proattivamente alle più disparate sfide.
Intervista ai curatori Marco Della Torre e Manuel Orazi
L’Accademia di Mendrisio costituisce, da quasi tre decenni, un polo di riferimento dove architetti internazionali trovano lo spazio per formare e tramandare il loro pensiero e il loro approccio al progetto, contribuendo così a formare quello che viene definito l’architetto generalista. Cosa indica questa definizione?
In un volume pubblicato anni fa dall’Accademia e curato dai professori Christoph Frank e Bruno Pedretti, si sottolineava come gli indispensabili contributi interdisciplinari che ogni architetto assume non debbano trasformarsi in precetti che riducono il progetto a un collage di soluzioni, con risultati d’insieme sconfortanti. Per evitare che l’architettura finisca relegata a un destino di servizio tecnico o di intrattenimento estetico, si rende necessario un continuo ripensamento del processo progettuale che conduca a rafforzare la figura di un operatore “totale”, generalista e soprattutto critico.
L’esposizione esplora anche la nascita e l’evoluzione delle più importanti scuole di architettura internazionali. Potete parlarcene?
Nella prima galleria la mostra presenta con una sezione dedicata alle scuole di architettura del XX Secolo partendo dal conflitto tra modello formativo dell’École des Beaux-Arts (aristocratico e accademico) e quello Politecnico (militare e scientifico), tuttora molto diffusi in Europa e oltre. Nel ‘900 la Bauhaus fondata da Walter Gropius e chiusa nel 1933 portò ad una riforma modernista che è stata il punto di riferimento obbligato per tutte le sperimentazioni didattiche del dopoguerra anche negli Usa e in Asia. La Hochschule für Gestaltung di Ulm di Max Bill e Tomas Maldonado tentò di rinnovarne lo spirito nella Germania democratica, mentre altre esperienze significative sono state le due coppie, anche queste contrapposte. Da un lato la Facoltà di Architettura dell’Università di Firenze diretta da Leonardo Ricci e dall’Architectural Association di Londra di Alvin Boyarsky, interdisciplinari e con un ruolo molto attivo degli studenti; dall’altro l’Istituto Universitario di Architettura di Venezia diretto da Carlo Aymonino e l’Institute for Architecture and Urban Studies a New York diretto da Peter Eisenman, oggetto di una specializzazione disciplinare e metodologica.
Cosa contraddistingue la proposta formativa e la storia dell’Accademia di architettura di Mendrisio dagli altri campus internazionali?
Sicuramente il modello didattico interdisciplinare adeguato ai nostri tempi, che va oltre gli specialismi tradizionali ed è teso a formare architetti “umanisti” e “generalisti”, ma anche i suoi programmi di ricerca mirati, assieme al valore indiscusso dei suoi professori, architetti e studiosi, e al favorevole rapporto numerico docente-studente.
C’è qualcosa che accomuna tutte le scuole di architettura, negli intenti, nelle ambizioni, nei principi?
Rispondiamo con Mies van der Rohe: “Non impartiamo soluzioni, ma cerchiamo di insegnare agli studenti i mezzi per risolvere i problemi”.
Come immaginate possa essere l’accademia tra qualche anno? Ci sono degli obbiettivi da conseguire per il futuro?
L’obiettivo è quello di continuare a consolidare Mendrisio come uno dei tre poli della formazione in architettura nella Confederazione Svizzera. Con la sua magnifica Biblioteca, il Teatro dell’architettura e l’Archivio del Moderno, il campus dell’Accademia è di fatto un luogo che continua ad attrarre pubblici differenti e sempre più ampi.
Quali strumenti occorre fornire allo studente oggi? Secondo voi sono cambiati nel tempo?
Gli strumenti utili alla preparazione dei futuri architetti sono in costante evoluzione. Nella scuola di Mendrisio l’offerta formativa è da sempre centrata sul progetto: il 50% dei crediti formativi vengono raccolti dagli studenti e dalle studentesse negli atelier di progettazione, possono accedere ogni semestre a differenti atelier di progettazione dove vengono sviluppati metodi di trasmissione dei saperi, ovvero di pratiche progettuali, spiccatamente differenti, sempre all’interno di una piattaforma di dialogo e pensiero comune, che in ultima analisi risulta essere la vera ricchezza dell’offerta formativa della scuola di Mendrisio. L’intento dell’Accademia è sempre stato infatti quello di garantire al suo interno un interessante pluralismo di visioni e ‘tendenze’. Per il restante 50% del percorso, l’Accademia offre negli anni poco più di 150 corsi differenti, dedicati alle Humanities e alle discipline tecnico-costruttive ispirate da una visione di consapevole sostenibilità. La sfida delle scuole oggi, in questo periodo storico avviato verso la post-globalizzazione, deve essere quella di riuscire a comprendere per tempo, ovvero anticipandola, la corretta impostazione didattico-formativa da fornire ai futuri architetti.
Sophie Marie Piccoli
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