L’urbanistica bloccata a Milano. Problema enorme di cui nessuno parla: gli architetti ci spiegano
Mentre la preposta commissione della Camera sta esaminando gli emendamenti del decreto ribattezzato “Salva Milano”, architetti e amministratori delegati di studi e società di progettazione di base nel capoluogo lombardo dicono la loro sul clamoroso “stallo urbanistico” della città
Studi di architettura e società di progettazione integrata di base a Milano hanno risposto all’invito di Artribune a raccontare il loro punto di vista, tra timori e auspici, in merito allo “stallo urbanistico” che si sta palesando da mesi nel capoluogo lombardo. Cosa è successo? Negli ultimi mesi alcune inchieste della procura di Milano stanno esaminando le possibili errate interpretazioni nei permessi concessi dal Comune per la realizzazione di progetti immobiliari di varia entità. Da una parte l’amministrazione comunale è convinta di aver interpretato correttamente le norme, dall’altra i magistrati affermano che alcune concessioni andavano gestite in maniera diversa. Nel frattempo la situazione si è bloccata: nessun funzionario firma volentieri dei permessi che potrebbero essere impugnati e costringerlo a difendersi in un’inchiesta. I progetti si incagliano, gli investitori internazionali si trovano spiazzati e decidono di abbandonare Milano per portare i propri soldi altrove, idem gli studi di architettura. Il Comune non incassa più gli oneri di concessione e si trova con decine di milioni di euro di ammanco: il modo stesso con cui la città si è sviluppata e trasformata negli ultimi anni è messo in discussione e si prospettano problematiche economiche e occupazionali di dimensioni clamorose. Oltre al danno diretto sullo spazio pubblico della città: arredo urbano, verde, infrastrutture. La vicenda, complessa e delicatissima, è in questi giorni al centro del lavoro dei componenti della commissione parlamentare impegnati nella valutazione del cosiddetto emendamento “Salva Milano”. A loro, lo scorso 11 luglio, un gruppo di urbanisti, architetti, giuristi e costituzionalisti ha indirizzato una “lettera-appello” chiedendo di non interrompere il lavoro degli inquirenti. Una situazione gravissima non solo per Milano ma per l’impatto che potrà avere a livello nazionale, un cataclisma economico di cui curiosamente si parla pochissimo. Lo scenario attuale preoccupa gli operatori sotto vari punti di vista: lo documentano le testimonianze degli esponenti della comunità architettonica milanese che Artribune ha ritenuto di coinvolgere. In parallelo, però, le opinioni raccolte offrono spunti di riflessione e analisi sulle direzioni intraprese nello sviluppo immobiliare del capoluogo lombardo, sulla “reputazione urbanistica” della città, sulle prospettive professionali interne ai diversi studi, sulla ben nota stratificazione normativa che affligge alcuni settori produttivi in Italia.
Floriana Marotta – MAB Arquitectura
Quello che oggi viene definito il “caso Milano”, ovvero le indagini della Procura su alcuni interventi edilizi, mette in luce una situazione di incertezza normativa a livello nazionale che rende vulnerabili i procedimenti urbanistici e amministrativi in tutte le grandi città italiane, prima tra tutte Milano, e che ha di fatto generato uno stallo in attesa di chiarimenti. È una situazione di grande delicatezza per lo sviluppo delle nostre città che ha anche pesanti ricadute economiche sul Paese, sia sugli attori coinvolti direttamente (sviluppatori, professionisti architetti e ingegneri, imprese edili) sia sugli equilibri del mercato immobiliare. Questa situazione ha poi ricadute anche sulla capacità dell’Italia di attrarre investimenti rispetto ad altri Paesi dove maggiori garanzie e tempi di realizzazione certi consentono agli operatori di investire in modo sicuro. Alla base c’è una normativa che in alcuni casi si presta a interpretazioni nonché la coesistenza di norme ormai desuete spesso in contrasto con gli strumenti attuativi locali, PGT/piani regolatori, ma che pure sono rimaste in vigore e che dunque generano contraddizioni.
La visione condivisa da tutti gli operatori coinvolti, incluse le amministrazioni e gli avvocati che si occupano di urbanistica, è che sia necessario e urgente intervenire nel quadro normativo e permettere agli operatori del settore di lavorare con serenità nel rispetto della legge. Ultima riflessione che come architetti non vogliamo trascurare riguarda l’evoluzione delle città, che è il vero obiettivo ultimo su cui costruire il sistema normativo. La legge deve adeguarsi ai tempi in cui essa viene applicata, dunque una legge del 1940 potrebbe non essere adeguata nel 2024, in città di una certa densità, rispetto alle nuove politiche di contenimento del consumo di suolo, di decarbonizzazione ecc. Ma soprattutto, le norme nazionali che poi guideranno la stesura degli strumenti urbanistici locali devono avere una visione sulle nostre città e fornire un indirizzo di sviluppo, che combinato agli strumenti locali possa ricoprire e definire tutte le differenti realtà del Paese. La questione evidentemente va gestita in Parlamento, su un piano politico, non più tecnico. Probabilmente al margine di una eventuale legge emergenziale, di cui si discute per far fronte all’impasse che si è creato, sarebbe opportuna una norma strutturata che possa dare gli indirizzi corretti allo sviluppo delle nostre città in ottica di rigenerazione e di rispetto degli accordi europei sullo sviluppo sostenibile delle città.
Paolo Brescia – OBR
La situazione di stallo urbanistico che stiamo vivendo a Milano rappresenta una sfida cruciale per la città. In realtà, pensiamo che sia una grande opportunità per essa. Forse dovremmo ripartire da una domanda: che cosa hanno prodotto i recenti interventi di questi ultimi vent’anni a Milano, oggetto delle note inchieste? Sicuramente una tendenza allo sviluppo in altezza. Se da un lato sono evidenti i benefici ambientali in termini di riduzione di consumo di suolo, come ha reagito Milano, la città della permanenza dei tracciati, degli allineamenti stradali, la città compatta con i suoi “palazzotti bassi”, con i suoi cortili e i suoi giardini interni? È vero che molti di questi interventi – pensiamo a Porta Nuova, Garibaldi-Repubblica e CityLife – sono ormai entrati nell’immaginario collettivo urbano come delle nuove centralità (soprattutto per i turisti e gli stranieri), ma a quale prezzo? Qualcuno sostiene che l’edifico alto, per sua natura, elevandosi in altezza dal tessuto urbano, non comunica con il suo contesto, anzi, emergendo a 360°, non ha più un fronte, un retro, un fianco, vanificando di fatto la gerarchia tra tipologia edilizia e città.
Ma c’è un’altra cosa che credo si stia facendo strada, che vuole superare la natura “individualista” e “a-topica” di questi nuovi sviluppi in altezza: è la riscoperta dello spazio pubblico, la sete di urbanità, la fame di piazze. Questa considerazione mi fa venire in mente l’antinomia di Albert Hirschman in Private Interest and Public Action, secondo cui la storia umana sarebbe un continuo oscillare da un desiderio di soddisfazione individuale al desiderio (opposto) di soddisfazione collettiva di condivisione. Ecco, questo desiderio di fare città rappresenta ora la grande opportunità di Milano. Facendo architettura, auspichiamo progetti che, benché di iniziativa privata, restituiscano qualcosa al dominio pubblico, senza indulgere a soluzioni ostentate ma, al contrario, cercando una maggiore urbanità e qualità sociale. Da questa crisi, crediamo che possa nascere un nuovo modello di sviluppo di Milano a partire dal “bordo urbano”, inteso nel senso classico di limes, ovvero come l’inizio – e non la fine – della città, creando spazi civici coerenti con le nuove aspettative sociali di una comunità urbana sempre più in divenire. Del resto, è come viviamo che deve determinare il nostro abitare, non viceversa.
Monica Tricario – PIUARCH
In attesa di conoscere in che modo la politica sbloccherà lo stallo edilizio della città di Milano dopo le inchieste aperte nei mesi scorsi, desideriamo sottolineare come, a nostro avviso, l’attuale situazione sia la conseguenza di un quadro normativo per l’edilizia eccessivamente complesso e confuso nei contenuti e nell’interpretazione. Ne deriva un percorso amministrativo mai chiaro e tempi di approvazione indefiniti. Il caso specifico della situazione milanese attuale, che sta bloccando il lavoro di molti progettisti, disincentivando gli investitori e causando al comune importanti perdite sul fronte degli oneri di urbanizzazione, mette in evidenza come sia fondamentale ottenere un chiarimento sulle prassi interpretative della norma adottate nei progetti sviluppati in città negli ultimi anni. Molti nuovi interventi, infatti, sono fermi in attesa di capire qual è la strada amministrativa da percorrere. Gli studi di progettazione sono penalizzati da questa situazione con molti progetti “sospesi” e nessuna idea dei tempi che saranno necessari per trovare una soluzione: programmare le attività in studio con queste estreme incertezze, infatti, porta di conseguenza ad un aumento del costo interno del progetto. Anche il nostro studio sta subendo questa situazione di forte rallentamento dei progetti italiani, bilanciata fortunatamente da progetti all’estero che non vivono queste difficoltà. Fermo restando che gli abusi devono essere individuati e perseguiti, a nostro avviso è quindi necessario risolvere questa complessità intervenendo in modo più radicale sul quadro normativo e sulle procedure amministrative dando la possibilità agli operatori di usufruire di strumenti aggiornati, coerenti e snelli, con indicazioni chiare sia sulle procedure da seguire sia sui tempi di approvazione dei diversi iter.
Massimo Roj – Progetto CMR
Progetto CMR, da trent’anni nella progettazione integrata, non ha mai adottato il cosiddetto “rito ambrosiano”, anche se questo comportava tempi maggiori di gestazione dell’intervento. Lavorando in questo modo abbiamo sempre portato a termine i lavori commissionati, ponendoci come interlocutori affidabili, e ora come semplici spettatori delle inchieste in corso. E proprio se guardiamo Milano, troviamo una città che, a livello burocratico, è bloccata dalla paura, con un conto salato da pagare, non solo per chi lavora nella filiera delle costruzioni. Venti milioni di euro in meno di oneri di urbanizzazione, rispetto a quelli previsti, che sono destinati a crescere fino a cento, se si considera il valore delle opere pubbliche a scomputo che non potranno essere realizzate. È questa la misura della paralisi edilizia che sta “impoverendo” la nostra città che, da sempre, trae la sua forza vitale dall’andare avanti, dal guardare oltre. A questo, si aggiungono i dati appena pubblicati da Nomisma sull’andamento delle compravendite a livello nazionale: Milano ha subito una battuta d’arresto a due cifre (-13%) nel primo semestre del 2024, segno di una sfiducia serpeggiante anche tra i cittadini. Aspettiamo di vedere cosa succederà con il decreto “Salva Milano”, ma quello che ci auspichiamo è un vero cambio di passo: quando le regole e i confini del gioco sono chiari, bastano poche parole per portare a casa i fatti.
Per il futuro crediamo che la direzione da seguire sia quella del partenariato pubblico-privato. Proprio su questo virtuoso modello di collaborazione si basa la proposta metodologica elaborata per la riqualificazione del quartiere di Edilizia Residenziale Pubblica di San Siro, nella zona tra Piazzale Selinunte e Piazzale Segesta: degli Anni Trenta, fortemente degradato e con servizi inadeguati, ma servito dalla metropolitana e a 700 metri da CityLife. Il caso pilota di questo modello applicabile su scala nazionale, attraverso le leve della riqualificazione e della ridensificazione, è concepito per innescare una rigenerazione urbana senza costi per l’amministrazione pubblica, con un consumo di suolo pari a zero. Così, si darebbe forma all’idea di una città sempre più policentrica, con quartieri indipendenti e completi di ogni funzione. Inoltre, i costi di urbanizzazione risparmiati potrebbero essere investiti per potenziare i servizi.
Franco Guidi – Lombardini22
Da quando, oltre sei mesi fa, l’urbanistica milanese è stata travolta dallo tsunami che ha messo in discussione anni di applicazione delle norme di riferimento, realtà come la nostra hanno risentito dell’effetto domino che ha coinvolto tutta la filiera edilizia milanese. Nella nostra quotidiana esperienza di relazione con gli uffici del Comune, con i clienti e con gli attori della filiera, abbiamo sempre visto agire nel rispetto delle norme di riferimento e del principio di gerarchia delle fonti. La nostra principale preoccupazione, sia attuale che futura, riguarda la mancanza di chiarezza nell’interpretazione delle norme, che potrebbe portare a un’accentuazione e un possibile peggioramento della situazione di stallo attuale. La mancanza di chiarezza e l’allungarsi dei tempi di rilascio dei permessi aumentano i rischi e i costi dello sviluppo urbanistico e allontanano gli investitori.
Per rispondere alle esigenze di questa epoca e a quelle di una città in continuo movimento, trasformazione e sempre più aperta al mondo, servono una presa di posizione e delle regole certe e chiare da seguire. Nell’attuale situazione di stratificazione delle norme, risultato di diversi decenni di accavallamenti tra norme nazionali, regionali e comunali, riteniamo necessario un intervento definitivo del Legislatore per fornire un’interpretazione univoca, e pertanto autentica, della materia. Questo garantirebbe certezza del diritto e permetterebbe agli investitori e alla filiera dell’edilizia di proseguire nel normale svolgimento delle proprie attività. Una nota sulle soluzioni che prevedono dispositivi sanatori: non ci convincono poiché si avallerebbe la tesi secondo cui, fino ad oggi, non si è operato nel rispetto delle norme.
Stefano Belingardi Clusoni – Stefano Belingardi Architects
Milano, città di grande cultura architettonica presente e passata, si trova ora imprigionata in un paradosso urbanistico. Le recenti inchieste della procura, che hanno gettato un’ombra sulle amministrazioni locali, hanno sospeso il suo slancio proprio nel momento del suo massimo splendore. Incatenata dalle stesse istituzioni che dovrebbero liberarlo, Milano sembra auto-infliggersi un freno al suo potenziale. Questa metropoli, la maggiore locomotiva economica del nostro Paese, è ora stazionaria, con ripercussioni che si propagano ben oltre i suoi confini. L’immobilismo che ne deriva non solo offusca il suo futuro, ma minaccia di rallentare l’intero sistema economico italiano. La situazione si aggrava ulteriormente quando consideriamo l’inevitabile fuga degli investitori esteri, scoraggiati dai labirinti burocratici e dalle incertezze che tali inchieste alimentano. È desolante constatare come il nostro apparato amministrativo e giudiziario possa soffocare l’energia creativa di una città pronta a competere con le grandi metropoli internazionali.
Come studio di architettura, siamo spinti a cercare nuove opportunità all’estero. È un’esperienza stimolante confrontarsi con realtà internazionali, dove il processo urbanistico si rivela più snello e lineare. Tuttavia, questo porta con sé un profondo senso di amarezza perché come architetto milanese, il desiderio di contribuire alla crescita della mia città natale è impagabile. Il potenziale di Milano è sconfinato, e il suo sviluppo urbanistico non dovrebbe essere ostacolato da barriere legali e procedurali. È essenziale delineare un percorso rapido che consenta alla città di riprendere il suo tragitto verso la concretizzazione delle sue ambizioni, accogliendo nuovamente investimenti e creando nuove opportunità. Solo così, Milano potrà continuare a incarnare la visione di una metropoli all’avanguardia, un faro di innovazione e progresso per l’intero Paese.
Filippo Pagliani e Michele Rossi – Park Associati
Quello che è successo a Milano negli ultimi mesi ci disorienta e preoccupa. Come a volte accade nella legislazione italiana, improvvisamente niente sembra certo e tutto sembra interpretabile. Se strumenti urbanistici in uso da molti anni, non solo a Milano, vengono messi in discussione dalla Procura, di conseguenza viene messo in dubbio anche il nostro operato, nonostante si sia mosso all’interno di un recinto normativo consolidato. Ci sembra discutibile che venga introdotto il concetto di ‘condono’ o, come adesso viene chiamata la bozza di emendamento a cui sta lavorando il governo, di “Salva Milano”, perché questo presuppone che fino ad ora si sia agito contrariamente alle leggi. Quello di cui abbiamo urgente bisogno ora è una chiarificazione normativa che permetta ai progettisti e ai tecnici comunali di lavorare con serenità e certezze. Ma abbiamo anche bisogno di un chiarimento normativo nazionale che preveda maggiori autonomie per le grandi città. Riteniamo infatti che le dinamiche di approvazione dei progetti di sviluppo di una città come Milano debbano essere basate sull’analisi delle caratteristiche dello specifico tessuto urbano, delle potenzialità e problematiche locali, che sono necessariamente diverse rispetto ad altre città italiane. In questo momento i nostri progetti a Milano si sono significativamente rallentati, portandoci a fronteggiare una serie di problemi facilmente immaginabili. Tuttavia, quello che riteniamo più preoccupante è che l’indeterminatezza dei tempi per l’ottenimento dei titoli edilizi stia velocemente erodendo l’attrattività di Milano per gli investitori. Il capoluogo lombardo rappresenta un motore fondamentale per l’industria immobiliare italiana, se gli investitori perdono fiducia in Milano, rischiano di perdere fiducia nell’intero settore immobiliare a livello nazionale. Un intervento legislativo deciso e tempestivo potrebbe ristabilire la fiducia nel sistema Italia favorendone lo sviluppo.
Alfonso Femia – Atelier(s) Alfonso Femia
Pare, in termini generali e particolarmente per le città, che sia questa l’epoca del “fare per fare”. C’è stato un tempo, non perfetto, né per forza fecondo di cose sempre buone, in cui però ogni intervento era esito di una riflessione sulla città, che vedeva la partecipazione degli amministratori, della comunità professionale delle accademie e anche dei cittadini. Trenta, quarant’anni fa? Poi la visione della città si è sfaldata, la politica ha abbandonato una programmazione innescata dal dialogo tra i soggetti. Il vuoto di dialogo, l’imposizione di modelli, talvolta solo speculativi, senza confronto preliminare, ha condotto, come facilmente prevedibile, a un disequilibrio sistemico che ha “intossicato” le città. Non è successo solo a Milano, ma Milano ha un carattere particolare; ha perpetuato nel tempo il grande vanto di essere “la città cantiere della modernità”, anche quando si sono esaurite le motivazioni e le situazioni. Cantieri e storie messe in evidenza dagli ultimi garbugli amministrativi sono sola la coda di un processo di distorsioni urbane, maturato in un tempo sempre più compresso e accelerato, senza pause di rigenerazione del pensiero. Azioni progettuali ed edilizie compulsive hanno prodotto un’enorme quantità di edifici per uffici (servono?) e di residenze (servono!) economicamente insostenibili per i cittadini, nomadi professionali, studenti, giovani famiglie e anziani con il medesimo reddito pro capite da troppi anni. È un momento difficile per la città di Milano: manca equilibrio, il tempo non ha funzionato da contrappeso, lo scenario urbano bascula continuamente. Ma questo è già il passato. In termini proiettivi e propositivi, sicuramente, la sensibilizzazione sulla dimensione sociale stimolerà una progettualità che, nella ricerca della conciliazione tra le diverse velocità del tempo e dell’equilibrio condurrà a una Milano “città buona”.
Processo e risultato – per un’architettura just-out-of-time
La recente impasse subita dalle procedure autorizzative nella capitale lombarda coinvolge molti attori del processo di continua metamorfosi della città. Pur avendo in questi mesi ascoltato diverse opinioni, non mi ritengo capace di esprimere un giudizio “tecnico” sulla correttezza delle prassi autorizzative fin qui seguite. Forse la legislazione italiana in campo urbanistico contiene ancora troppi elementi legati all’espansione delle città avvenuta nel secolo scorso – tra essi i concetti di “standard”, di “oneri di urbanizzazione” o di “destinazione funzionale” – non sempre capaci di regolare trasformazioni contemporanee che spesso avvengono nel corpo della struttura urbana più che sul suo perimetro.
Risponderei quindi alla domanda con un’inversione pur temporanea del punto di vista. In ogni campo umano, una procedura è creata per perseguire un fine collettivamente sentito come positivo; tuttavia, la verifica meccanica dell’obbedienza alle regole sostituisce spesso il giudizio sull’esito che essa produce. Diceva Ludwig Wittgenstein: “Sono disposto a fare una distinzione tra regole essenziali e regole inessenziali. Il giuoco, si vorrebbe dire, non ha soltanto regole, ma anche un succo.” Nel giudicare le qualità di un ambiente urbano, mi trovo spesso ad applicare il cosiddetto reverse engineering: partendo dalla forma finale di un manufatto ritenuto soddisfacente, cerco di capirne attraverso un’analisi e uno “smontaggio” il processo che ha permesso di produrlo. Per paradosso, gli spazi urbani che sono lo sfondo amato della nostra vita quotidiana sono spesso stati realizzati nel passato da attori politici e sociali dei quali oggi non condivideremmo costumi, valori o regole. Non c’è dubbio che un’interpretazione “ampia” da parte della Pubblica Amministrazione del concetto di “ristrutturazione edilizia” abbia favorito a Milano una rigenerazione estesa di porzioni del tessuto urbano consolidato. Non sono in grado di giudicare se la questione degli oneri ad essa legata abbia creato un indebito utile per gli operatori privati o un mancato introito per il pubblico. Pur non amando particolarmente alcuni degli esiti architettonici, ritengo tuttavia che la qualità media dei progetti recenti a Milano sia di gran lunga superiore a quelli di uno dei momenti più bui della storia della mia città: gli anni della cosiddetta “Tangentopoli”, che hanno lasciato solo torri specchiate e parcheggi pavimentati in betonella in luoghi dove avrebbe potuto svilupparsi un nuovo modello insediativo capace di unire senso di urbanità e qualità ambientale.
Ciò non vuole dire che sia a favore di una sorta di “neo-liberismo” per favorire il rinnovo urbano. I nuovi soggetti che investono nell’edilizia spesso vedono la qualità architettonica, urbana o ambientale di un progetto come mere caselle da mettere in colonna per arrivare a un numero, il rendimento atteso dell’operazione. Ma pur se prodotti da una “circostanza”, gli edifici sopravvivono – o dovrebbero sopravvivere – al programma funzionale o finanziario che li aveva generati. Mi interessa quindi giudicare non le procedure quanto la validità degli esiti dell’interazione tra iniziativa privata e soggetto pubblico; forse il concetto di “bene comune” potrebbe aiutare a dirimere in concreto situazioni oggi valutate sul piano puramente processuale. Al di là del risultato finale delle indagini in corso della magistratura, la situazione attuale impone una riflessione collettiva sulle regole che la governano fino a definire un nuovo quadro condiviso capace di essere seguito da tutti i soggetti del processo; un quadro che deve assicurare il valore finale per la collettività al di là dell’ovvia necessità di correttezza procedurale.
Cino Zucchi – Founder CZA Cino Zucchi Architetti
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