Pesaro è capitale anche della rigenerazione urbana

È la cultura la leva per il rilancio della città marchigiana a lungo legata alla produzione manifatturiera. Esito di chiara visione politica, il “rinnovamento” di Pesaro passa anche per la rigenerazione del suo centro storico, come spiega l’architetto Simone Capra di STARTT

Roma e Pesaro sono le due città in cui STARTT – studio di architettura e trasformazioni territoriali ha concentrato la propria attività progettuale negli ultimi anni. Lo studio è infatti uno dei quindici coinvolti nel programma 15 progetti per la città dei 15 minuti – Progetti di riqualificazione degli spazi aperti dei 15 Municipi, approvato dalla Giunta Capitolina a settembre 2022. A partire dagli obiettivi espressi dai municipi romani, e sulla base del Documento degli Indirizzi di Progettazione, sono stati affidate a quindici studi le elaborazioni di altrettanti master plan, relativi a specifici ambiti urbani della Capitale. STARTT, in particolare, è autore del progetto – recentemente approvato – per la rigenerazione urbana di una porzione di Roma estesa dalla porta nord di Prati alla porta sud del Foro italico. “È un bellissimo risultato” commenta ad Artribune l’architetto Simone Capra. “Ogni progettista ha immaginato come recuperare un’area di Roma, principalmente per mettere a sistema gli spazi pubblici con i servizi di prima e seconda necessità e razionalizzare la mobilità” spiega, dettagliando il processo. “Il nostro progetto prevede dei passaggi anche molto complessi, perché si tratta di riconnettere tre quartieri: Olimpico, Flaminio, Prati. Un territorio, oggi malamente frazionato, che dispone di connessioni verso il centro storico e anche in uscita, verso nord e i sistemi autostradali. Abbiamo lavorato insieme agli assessorati di urbanistica e mobilità per sostenere la mobilità verde e sostenibile, tenendo in considerazione gli scenari climatici che attendono Roma nei prossimi anni”. L’intervento in questione non è il solo che lega STARTT alla Capitale: recente è pure l’ampliamento dello spazio espositivo della Fondazione Pastificio Cerere, che quest’anno taglia il traguardo del ventennale.

Un ritratto di Dario Scaravelli, Claudio Castaldo e Simone Capra – STARTT. Photo Flavia Rossi
Un ritratto di Dario Scaravelli, Claudio Castaldo e Simone Capra – STARTT. Photo Flavia Rossi

I progetti dello studio STARTT a Pesaro

Siamo diventati un po’ pesaresi di elezione e di questo siamo molto contenti” racconta ancora Capra. In effetti, lo studio è ormai legato alla città di Pesaro da vari interventi: l’allestimento del Museo Archeologico Oliveriano, il recupero del Ridotto del Teatro Rossini e, facendo un significativo balzo di scala, il piano di rigenerazione Decumano Carbon Free.

Quali condizioni avete trovato a Pesaro in questi anni?
Abbiamo incontrato amministratori capaci e competenti, ma anche un terreno fertile a livello di tecnici interni. Per le città medie-piccole, Pesaro è stata un luogo di riferimento nella sperimentazione urbanistica e architettonica in Italia. Il caso ha voluto che, a poca distanza e negli stessi anni, ci siano stati Giancarlo De Carlo a Urbino, con la proposta della città-paesaggio, e Carlo Aymonino a Pesaro, con la città-territorio. Modelli urbani che hanno animato il dibattito sul rinnovamento della città occidentale, in Europa e in America.

E adesso il testimone è passato a voi.
Siamo arrivati in un momento storico in cui, pur essendoci ancora memoria della riflessione di Aymonino e quindi piena consapevolezza che una città non è solo il suo centro storico, le amministrazioni lavoravano su piccole operazioni a causa di budget limitati. Ma il PNRR ha dato la possibilità di ripensare la città all’interno di un sistema.

Qual è il vostro modello per la rigenerazione urbana di Pesaro?
Abbiamo innanzitutto recuperato l’idea che ogni porzione di città ha una specifica vocazione, che la contraddistingue per tessuto, tipo di popolazione insediata, qualità geografica. Piuttosto che un mega quartiere di edilizia popolare, che avrebbe riproposto i soliti schemi di esclusione sociale, distanza dal centro e dai servizi, abbiamo deciso di lavorare su un sistema di interventi puntuali nel centro storico, agendo sul patrimonio dismesso per realizzare edilizia pubblica e sociale e favorire il ritorno della popolazione residente. Con i tecnici del comune e gli altri progettisti convolti, abbiamo concepito una serie di opere di edilizia e di rigenerazione urbana, includendo il recupero del patrimonio storico-monumentale.

“Decumano carbon free” è la denominazione scelta per questo piano. Cosa comprende?
Riflettere attorno al decumano periferico alla città romana, come nuovo asse della residenzialità, era un proposito già di Aymonino: l’abbiamo ripreso. Alla luce poi del cambiamento climatico, con ESA Engineering abbiamo ragionato sulla trasformazione, in termini di sostenibilità energetica, di questa porzione di città storica. Per la prima volta proponiamo un sistema di riscaldamento e raffrescamento che utilizza un anello di condensazione per lo scambio termico tra l’acqua di falda fredda e l’acqua irraggiata di fiume.

Di cosa si tratta?
Si potrebbe immaginare come una sorta di “fognatura aggiuntiva”, che ragiona non sul singolo edificio, ma sulla conservazione della continuità del tessuto urbano. Facciamo ricorso a principi di geotermia applicati all’acqua. Se questo ragionamento dovesse funzionare, potremmo estendere tale sistema anche alle utenze private. Altro aspetto chiave del processo è la scelta di coinvolgere le istituzioni culturali (sia come beneficiarie degli interventi di recupero del centro storico, sia come protagoniste nel processo di ripopolamento del centro storico) e le cooperative locali, che a loro volta hanno sviluppato sistemi di assistenza.

Una visione che quindi non passa per il consumo di suolo e cerca di misurarsi con i vincoli dei centri storici.
Sì. Noi scommettiamo che l’emancipazione dell’individuo passi attraverso la cultura: da qui nasce la partecipazione delle istituzioni nella gestione e nei processi di mediazione culturale tra nuovi e “vecchi” residenti. Del resto se rinunciamo alla città come luogo del confronto sociale e culturale e della vita associata, rinunciamo alla dimensione dell’urbano. Per noi progettare per la cultura vuol dire progettare per la città. Questa “visione culturale” è propria dell’atteggiamento italiano applicato al pensiero urbano.

Il metodo di lavoro di STARTT e gli obiettivi futuri

Nel contesto italiano siate tra gli studi in ascesa. Avete all’attivo opere che hanno ottenuti vari riconoscimenti, tra cui quelle museali. Non vi interessa la dimensione europea?
Quanto abbiamo costruito negli ultimi dieci anni ha sempre oscillato tra museale e visione della città come territorio complesso. Da qui a dieci anni ci piacerebbe continuare in questo solco, accanto a istituzioni, private o pubbliche, per la cultura e per il welfare che lavorano all’interno di una strategia urbana. La nostra ambizione è ragionare proprio in termini di strategia urbana e lavorare puntualmente su porzioni chiave di città, così da dare avvio a processi di rigenerazione urbana. Poi, ovviamente, bisogna anche essere fortunati e trovare i partner giusti. In Italia e altrove.

Cosa avete appreso dal lavoro in ambito museale?
È un settore importante, nel quale vogliamo continuare a crescere. Altrettanto importante, per il sostentamento di uno studio, è avere “progetti grandi” che consentano di mettere in pratica ricerche e capacità di pensiero sviluppate nel tempo: a Pesaro è avvenuto proprio questo. Va anche considerato che il museale oggi è l’ambito che ci fa più interrogare su tanti temi, come la ridefinizione del mondo nello scenario globale, tra decolonizzazione, nuove colonizzazioni e guerre. Pensiamo solo alla perdita di vite umane e di patrimonio che stiamo sperimentando nel territorio europeo.

Molti vostri progetti sono accompagnati da titoli che ricordano maestri di varie discipline: penso a Ghirri, Kounellis, Aymonino. Una scelta che riflette un preciso metodo di lavoro?
Dedichiamo sempre le prime tre settimane di un nuovo progetto alla ricerca libera sul tema. È essenziale per avviare il processo, per noi e i nostri collaboratori. Oltretutto lavorare in questi anni con artisti e curatori, e quindi ragionare con il pensiero allestitivo, museologico e museografico, ci ha consentito di riflettere sullo spazio in maniera non immediatamente architettonica. Una lezione alla quale non vogliamo rinunciare. Quindi guardare ad arte, letteratura e altre discipline è la condizione che ci fa uscire dalla nostra dimensione, spesso circoscritta, autocentrata e sempre più legata ai contenuti veicolati attraverso Instagram. Come definire un programma funzionale? Come costruire lo spazio? Noi optiamo per uscire dal perimetro della sola architettura.

Progetti in dirittura d’arrivo?
Uno a Roma, proprio in ambito museale. Guardando però oltre il 2024, pensiamo che sarà interessante capire, a fine 2026 e quindi alla conclusione dei percorsi finanziati dal PNRR, cosa è stato portato a termine nell’operazione pesarese. E, soprattutto, iniziare a vedere come funzionano le mediazioni sociali. Questi ulteriori feedback ci saranno utili per continuare a sviluppare il nostro pensiero sulla rigenerazione urbana.

Valentina Silvestrini

http://www.startt.it/

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Valentina Silvestrini

Valentina Silvestrini

Dal 2016 coordina la sezione architettura di Artribune, piattaforma per la quale scrive da giugno 2012, occupandosi anche della scena culturale fiorentina. È cocuratrice della newsletter "Render". Ha studiato architettura all’Università La Sapienza di Roma, città in cui ha conseguito…

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