E se il ponte sullo Stretto di Messina diventasse un tunnel sottomarino?

Per la più controversa infrastruttura nazionale, l’architetto Angelo Renna propone di adottare il sistema del “Ponte di Archimede”. Una soluzione sommersa e galleggiante in nome di un minor impatto ambientale e dell’integrazione tra mobilità ciclabile, su gomma e alta velocità ferroviaria

Quando nella seconda metà del 1800 l’architetto navale inglese Sir Edward James Reed valutò il modello del Submerged Floating Tunnel (o Ponte di Archimede) per connettere Regno Unito e Francia, alle nostre latitudini il possibile collegamento tra la Sicilia e l’Italia continentale era già materia di indagine. A riprendere oggi in mano quella tipologia strutturale (fin qui mai realizzata integralmente), adattandola proprio allo Stretto di Sicilia, è l’architetto e landscape designer italiano Angelo Renna. A lui si deve la recente la proposta di un tunnel sottomarino tra la costa calabrese e la sponda siciliana: un’alternativa che nello storico (e sempre divisivo) dibattito sulla realizzazione dell’infrastruttura prova ad “aprire una discussione più approfondita e ampia”, come racconta il progettista raggiunto da Artribune.

Bird's-eye view of the bridge from Messina Central Station, showing the Calabria coast on the other side. Copyright Angelo Renna
Bird’s-eye view of the bridge from Messina Central Station, showing the Calabria coast on the other side. Copyright Angelo Renna

Un tunnel sommerso nello Stretto di Messina

Destinato al transito di auto, treni ad alta velocità e biciclette, il ponte concepito da Renna (in team con Kittan Kodijat) ha una lunghezza complessiva di sei chilometri. Posizionato a una profondità di cinquanta metri (una quota, al di sotto della superficie del mare, necessaria per evitare ogni interferenza con il traffico delle imbarcazioni, di qualsiasi dimensione), è collegato a pontoni galleggianti superficiali, senza necessità di ancoraggi al fondale. “Il fatto che il ponte sia sommerso consente una massima attraversabilità in superficie per ogni tipo di imbarcazione e un impatto visivo praticamente neutro”, osserva Renna. Va immaginato come un tunnel, su due livelli, all’interno del quale le auto e i camion transiterebbero nelle corsie laterali, lasciando quella centrale ai treni. Il livello inferiore del tunnel, caratterizzato dalla presenza di terrari con piante e alberi per “migliorare la qualità dell’attraversamento”, sarebbe riservato alle biciclette. Sebbene strutturalmente invisibile nella sua interezza, il ponte a tubo sviluppato da Renna introdurrebbe nel tratto di mare tra la Sicilia e il resto del Paese un “arcipelago” di isole artificiali. Distanti circa 500 metri una dall’altra, le isole sarebbero singolarmente associate ai pontoni necessari alla struttura, ma nello stesso tempo agirebbero a supporto della flora e fauna locali, oltre che delle forme di vita marine. Come? Le piante e la superficie erbosa presenti sulle isole, infatti, fornirebbero un habitat adeguato per uccelli e microrganismi; nella loro porzione sommersa, assumendo l’aspetto di “colline capovolte”, contribuirebbero alla conservazione della biodiversità sottomarina.

Unire Sicilia e Italia senza stravolgere il contesto paesaggistico

Come indicato, alla base del progetto si colloca la volontà di non circoscrivere il dibattito in corso alla sola necessità di costruire l’opera: ponte sì o ponte no? L’intento, piuttosto, è “sviluppare una strategia progettuale che tenga conto della fragilità del territorio”. Del resto se fin dall’antichità – risale addirittura al 251 a.C., secondo Plinio il Vecchio, la realizzazione di una struttura galleggiante per trasferire gli elefanti dall’isola – tale questione si rinnova, senza tuttavia condurre in avanti il processo (e senza neppure interromperlo definitivamente), è perché la materia in questione combina aspetti di natura tecnica, politica, economica e sociale, intrecciando molteplici interessi. Dal canto suo, Renna invita a tenere in considerazione temi come “l’elevata sismicità locale, l’ecosistema marino, la fattibilità economica, e l’impatto di un’opera così grande sulle persone che vivono lungo la costa”. E anticipa che “anche se l’iter decisionale del ponte a campata unica è già a uno stato avanzato”, tenterà comunque di sottoporre il progetto agli organismi competenti.

La lunga (e travagliata) storia del Ponte sullo Stretto

Tra i punti a sostegno della sua visione, Renna indica alcuni dati a carattere storico. Fin qui un tunnel galleggiante sommerso non è mai stato costruito, ma da anni si compiono sforzi in questa direzione. “Recentemente, il governo norvegese sta pianificando di costruire un ponte sommerso con pontili galleggianti per collegare le diverse isole dei fiordi simile all’impianto che proponiamo anche noi”, spiega e cita il Bergsøysund Bridge, un esemplare galleggiante costruito nel 1992, proprio in Norvegia. Nella travagliata vicenda italiana del ponte sullo Stretto – dal concorso internazionale di progettazione del Dopoguerra ai rilanci dell’iniziativa, tra gli altri, da parte del premier Craxi e del primo governo Berlusconi – esiste persino un “precedente analogo”. Risale infatti al 1969 (e dunque al concorso) la proposta dell’ingegnere Alain Grant di “un ponte sommerso per lo Stretto di Messina, che prevedeva una fitta rete di ancoraggi ai fondali lungo tutta la lunghezza del ponte, con impatto ambientale significativo”, precisa ancora Renna.

Aerial photo of the Archipelago bridge. Copyright Angelo Renna
Aerial photo of the Archipelago bridge. Copyright Angelo Renna

Nel futuro dello Stretto di Messina un ponte a campata unica da record?

Ci riporta infine all’attualità l’approvazione, in sede europea lo scorso 16 luglio, dei fondi per 16 delle 37 proposte presentate dall’Italia all’interno del cosiddetto Bando 2023. Dei 545,7 milioni di euro assegnati al nostro Paese (secondo percettore di fondi, dopo la Francia), circa 25 milioni di euro saranno destinati alla progettazione esecutiva della parte ferroviaria del ponte sullo Stretto.
Un dato che testimonia l’avanzamento dell’iter verso (quello che potrebbe diventare) il ponte sospeso a campata unica più lungo del mondo. Il progetto in questione si basa su un impianto lungo complessivamente 3.666 m, con un impalcato largo 61 metri; a sostenerlo due torri che sfiorano i 400 metri (399 metri, per la precisione), una per sponda. Tre le corsie stradali per senso di marcia previste, più due corsie di servizio; due i binari ferroviari. Senza dubbio, un deciso cambio di prospettiva a livello paesaggistico rispetto allo scenario attuale. Secondo Renna, l’assenza di ancoraggio al fondale marino nella tipologia della sua proposta determinerebbe un impatto ambientale significativamente inferiore rispetto al progetto in progress; un “vantaggio” al quale andrebbe poi a sommarsi la possibilità di rimuovere l’intera struttura (formata da elementi prefabbricati) al termine del suo ciclo di vita. A differenza del tunnel subacqueo della Manica, con il quale Francia e Regno Unito hanno poi risolto il tema di progetto affrontato quasi due secoli fa dallo già citato Sir Reed, quello in questione si troverebbe “completamente al di sotto del fondale marino, nel sottosuolo”. Insomma: niente torri svettanti, niente sistema di sospensione tramite cavi, nessun mezzo di trasporto all’orizzonte (con tutto ciò che ne consegue). Solo una decina di isole a pelo dell’acqua a siglare la nuova unione tra le due regioni.

Valentina Silvestrini

www.angelorenna.com

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Valentina Silvestrini

Valentina Silvestrini

Dal 2016 coordina la sezione architettura di Artribune, piattaforma per la quale scrive da giugno 2012, occupandosi anche della scena culturale fiorentina. È cocuratrice della newsletter "Render". Ha studiato architettura all’Università La Sapienza di Roma, città in cui ha conseguito…

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