Maquillage dell’ingiustizia. A Porto Empedocle l’esempio di come non fare rigenerazione urbana
Un bando per “decorare” i monoblocchi del nuovo Centro di Permanenza per il Rimpatrio di Porto Empedocle è l’occasione per riflettere su questi luoghi e su come non basti una riqualificazione estetica di facciata per risolverne le grandi contraddizioni
Un bando “[…] per la selezione di sette artistə che avranno l’opportunità di trasformare gli spazi di accoglienza delle persone migranti di Porto Empedocle tramite la loro arte”. La nuova “rappresentazione” dell’hotspot di contrada Caos scaturisce da un protocollo d’intesa (22 dicembre 2022) fra la Prefettura di Agrigento e la Fondazione Farm Cultural Park ed è sostenuta dal Ministero dell’Interno. “I colori e l’intensità della loro luce” si legge sul sito ministeriale, “cingeranno in un ideale abbraccio l’hotspot di Porto Empedocle dove ogni “blocco” di prefabbricati sarà decorato da un artista contemporaneo. […] L’idea che anima questo importante progetto, a costo zero per le finanze pubbliche, è quello di contribuire a valorizzare l’immenso patrimonio di bellezza che contraddistingue il nostro Paese”.
Il ruolo del Ministero dell’Interno
La nota dimostra l’attenzione al contenitore piuttosto che al contenuto, coerentemente alla formula “carico residuale” con cui si liquidavano i migranti salvati nel 2022 dalla Humanity1. Migranti “oggetto merce” oppure genitori disfunzionali e irresponsabili. “La disperazione non può mai giustificare condizioni di viaggio che mettono in pericolo la vita dei propri figli”, dichiarò Piantedosi dopo il naufragio di Steccato di Cutro (26 febbraio 2023) in cui si registrarono circa 94 morti di cui 35 bambini. Tuttavia, oggi ad essere indagati per naufragio colposo e omicidio colposo plurimo non sono quei genitori sconsiderati, bensì quattro militari della Guardia Costiera e due della Guardia di Finanza. Nel corso di quest’anno il ministro ha optato per dichiarazioni neutre, concentrandosi sui numeri e sulle percentuali dei risultati raggiunti: più 20% rimpatri migranti irregolari, diminuiti di circa il 60% gli sbarchi, arrestati 118 scafisti. Nessun accenno ai naufragi e ai bambini, alle donne, agli uomini morti in mare. Che ci si concentri piuttosto sulla “bellezza”, come recita la nota di cui sopra. Una “bellezza” che nell’hotspot di Porto Empedocle andrà a supporto di ordine pubblico, sicurezza e turismo.
“Di fronte alla possibilità che questa estate l’hotspot diventi meta turistica in cui la street art legittima nuovi zoo umani, si tratta di non restare passive di fronte alle rivolte nei campi detentivi per migranti, alle forme di autodifesa portate avanti da chi vive in uno dei quartieri sotto attacco della cosiddetta lotta al degrado.” Si conclude così l’articolo L’hotspot di Porto Empedocle e le politiche del colore. Turismo e detenzione in Sicilia, di Zanna Occhipinti su monitor-italia.it.
Una riqualificazione solo di facciata
Le politiche del colore sono funzionali: soddisfano le aspettative degli elettori, rinchiudendone le paure inculcate dietro una recinzione carceraria; ampliano il target di riferimento con un packaging del luogo attraente ed evocativo di una controcultura (quella del Graffiti Writing, della Street Art) che agiva nello spazio pubblico per denunciare le falle delle istituzioni, non certo per esserne complice. Oggi, di quelle voci dissonanti ne sono rimaste poche, ciascuna riconoscibile per stile, capacità critica e contenuti. Il resto, utile a committenti istituzionali e curatori per interventi di rigenerazione/riqualificazione urbana di facciata, ha rinunciato alle prese di posizione scomode e si limita a riprodurre stilemi convenzionali, nel figurativo come nell’astratto, scimmiottando concetti che neppure comprende. E non inganni il seguito che costoro hanno nel mondo virtuale, nella realtà è tutta un’altra storia, raccontata, per esempio, dagli inquilini delle case popolari decorate da murales, ma prive di servizi e infrastrutture essenziali. Dunque, colori e abbracci, ma anche sbarre, telecamere e guardiani in divisa. Il Bel Paese ha fatto passi da gigante, in termini di civiltà e accoglienza. Governi di sinistra e di destra si sono messi al lavoro già parecchio tempo fa per individuare le parole chiave della grande trasformazione.
Con la Legge Turco-Napolitano del 1998 sono nati i C.P.T., Centri di Permanenza Temporanea. Poi, a causa di alcuni episodi incresciosi, come incendi e morti misteriose, “i creativi” della Legge Bossi-Fini del 2002 si sono orientati verso un nuovo modello, i C.I.E., Centri di Identificazione ed Espulsione. Lì dentro, gli ospiti erano tenuti lontano da parenti, avvocati e giornalisti, in un anonimato che favoriva condizioni disumane e degradanti, come stabilito dalla Corte di Cassazione nel settembre 2023 nel procedimento contro il C.I.E. (oggi C.P.R.) di Bari Palese. Ma ancora qualcosa non funzionava. Forse, “espulsione” era troppo scortese? Molto meglio “rimpatrio” con un pacchetto (sicurezza) che comprende anche un ritorno gratis! Certo, tra povertà, guerre e carestie, ma nella propria terra! Ed ecco i C.P.R., i Centri di Permanenza per il Rimpatrio, istituiti dalla Legge Minniti-Orlando del 2017.
Il CPR di Porto Empedocle e l’arte al servizio della propaganda
Nel bando è scritto che decorare l’hotspot è un’opportunità per gli artisti. Sinonimo di opportuno è adeguato, appropriato, conveniente, pertinente al luogo, alla situazione, alle persone. In un C.P.R., il colore è incoerente se non ne denuncia l’illegittimità e l’uso strumentale che ne fa la propaganda governativa. A dispetto dell’articolo 13 della nostra Costituzione, che sancisce l’inviolabilità della libertà personale, i C.P.R. sono centri in cui i migranti sono a tutti gli effetti detenuti, un provvedimento spropositato rispetto alla violazione amministrativa che gli viene contestata e che di per sé prevede una sanzione e non la detenzione. Illegittimo è non adottare misure alternative ai C.P.R. in base alle vigenti direttive europee in materia di protezione internazionale.
Strumentale è l’uso che i governi di sinistra e di destra hanno fatto e fanno dei migranti.
Il Memorandum d’intesa con la Libia, voluto dal governo Gentiloni e delle cui trattative si occupò nel 2017 il Ministro dell’Interno Minniti, si è rinnovato automaticamente nel 2022 per altri cinque anni, pur trattandosi di un “Paese non sicuro”. L’appello per la cancellazione dell’accordo sottoscritto da Medici Senza Frontiere e da tante altre organizzazioni umanitarie rimane inascoltato. Scrive MSF: “L’accordo prevede il sostegno alla cosiddetta guardia costiera libica, attraverso fondi, mezzi e addestramento.
Continuare a supportarla significa non solo contribuire direttamente e materialmente al respingimento di uomini, donne e bambini ma anche sostenere i centri di detenzione – ufficialmente definiti “di accoglienza” – dove le persone vengono sottoposte a trattamenti inumani e degradanti, vengono abusate e uccise”. Qual è l’obiettivo dell’accordo? Tenere i migranti lontani dall’Italia, “alimentando un sistema di sfruttamento, estorsioni e abusi in cui tanti migranti si ritrovano intrappolati.”
La strumentalizzazione dei migranti e dei CPR a fini politici
L’uso strumentale della questione migranti raggiunge il paradosso quando, pur di alimentare paure e odio e mantenere alto il gradimento, si sacrifica l’economia italiana. Esemplare in tal senso è la proposta che l’Impresa Pizzarotti, proprietaria dell’ex CARA di Mineo, ha avanzato alla Presidenza del Consiglio, ai ministri dei Trasporti, Interno, Difesa ed Economia: “Se è di vostro interesse riaprire il centro di Mineo la nostra società è disponibile a gestirlo in prima persona, con all’interno laboratori artigiani, industriali e agricoli: 100 corsi complessivi della durata di 100 ore a corso per formare ogni anno 2.500 richiedenti asilo. Ma non è tutto, il progetto prevede anche l’assunzione in cantiere di 400 migranti per il 2024, 400 per il 2025, e altri nell’indotto. Ad oggi però, questa proposta è ancora senza risposta”.
Milena Gabanelli e Simona Ravizza ne hanno scritto sul Corriere della Sera (8 aprile 2024). I dati di Unioncamere, relativi alla manodopera mancante, parlano da soli: “tra febbraio e aprile 2024 le nostre imprese hanno bisogno di 24.450 fonditori, saldatori, lattonieri e carpentieri: il 70% non si trova; 29.190 meccanici artigianali, montatori, riparatori e manutentori: difficoltà a trovarne il 69,8%; come il 62,9% dei 18.090 operai specializzati richiesti e il 62,3% dei 66.320 autisti necessari. Nella ristorazione servono 178.460 camerieri e baristi: il 56,8% manca. E il lungo elenco continua con il personale nei servizi di pulizia, costruzioni, manifattura, commessi, ecc.”
Ecco che cosa sta dietro un C.P.R. e chi avalla in qualsiasi modo o mezzo questa ingiusta e nociva forma di accoglienza è complice.
Non-persone: la trasformazione dei migranti da individui a numeri
Sul sito della Fondazione della Farm Cultural Park, sotto la voce Migration Integration, si legge: “In un mondo in cui le migrazioni sono all’ordine del giorno, l’inclusione rappresenta un impegno etico e pratico per costruire comunità più forti, aperte e resilienti. Farm, si pone l’obiettivo di abbracciare la diversità degli “esseri umani” e promuovere luoghi, progetti, processi e azioni che valorizzino ogni individuo, indipendentemente dalla loro origine” (sic!).
“Esseri umani” virgolettato: un’inconscia ammissione dell’ironia di questa parodia dell’accoglienza. “Comunità più forti, aperte e resilienti”, come, con qualche pennellata sul metallo in omaggio al decreto Piantedosi? Una croce sulle spalle dei migranti e delle ONG che impone una serie di obblighi in netto contrasto con le convenzioni internazionali e il diritto-dovere del soccorso in mare. Un esempio recente. Il 26 agosto la Geo Barents è stata multata (3330 euro) e sottoposta a fermo amministrativo per 60 giorni. Il motivo? “Non avrebbe fornito informazioni tempestive al Centro di Coordinamento del Soccorso Marittimo italiano (MRCC) e avrebbe messo in pericolo la vita delle persone”. Il 23 agosto la Geo Barents ha effettuato cinque operazioni in zona SAR (Search and Rescue), salvando 191 persone. Criminalizzare le ONG, ostacolare i salvataggi, perseguire la solidarietà, detenere, sorvegliare e punire.
È in questa cornice che si inquadra la “bellezza” nel C.P.R. di Porto Empedocle. La “bellezza”, il valore morale più alto della nostra civiltà, magistralmente celebrato da Leni Riefenstahl, incaricata da Hitler di girare i docufilm Olympia Festa dei popoli e Olympia Festa della bellezza.
Contrada Caos! Nomen omen
Dopo un viaggio tragico, la “bellezza” allevierà la sofferenza, l’“arte-terapia” sarà un toccasana nel nuovo hotspot in contrada Caos.
Contrada Caos. Il nome è un augurio, a volte un presagio della condizione dell’uomo come personaggio. Pirandello, che lì è nato, ha già scritto in proposito. Non sorprende, quindi, che “a favore di telecamera i e le partecipantə accettano di essere ripresə durante l’effettiva creazione del murale per scopi divulgativi del progetto, senza richiesta di compenso, diritti d’autore o di immagine aggiuntivi, intendendosi pienamente remuneratə con il corrispettivo di cui al punto 5”. Così recita il bando.
Dei sette, uno, Ligama, si è già esibito e a mo’ di epilogo ha scritto: “Un’isola piccolissima mi ha salvato. Terra. Un piccolo abbraccio che stringe con la forza della primavera. Quella bellezza che non esistono parole come non sai perché ti fermi ogni sera a guardare il tramonto. Eppure è lì, ogni sera. Alicudi è mia figlia. Alicudi è la mia isola. È così piccola ma mi ha salvato dalla tempesta. Ho registrato per pochi secondi la sua voce, che gioca e ride, come sempre, come un angelo e da quei codici sonori sono venuti fuori questi colori, che ho amalgamato per donarli a voi” (sic!).
CPR di Porto Empedocle: ignoranza o dolo?
Ma, sul serio? È possibile che tu e gli altri, che decoreranno dopo di te, non vi rendiate conto dell’operazione a cui vi prestate? Davvero credete, come è stato scritto, che infonderete fiducia e rassicurazione e ottimi supporti psicologici per chi stressato o traumatizzato giunge in contrada Caos? Avete mai ascoltato qualcuno che ha affrontato l’inferno del viaggio? Ottimi supporti per chi? Per chi è fuggito dalla fame e dalle guerre, ha attraversato il deserto, ha visto cadere dal furgone sgangherato il compagno di viaggio, lo ha visto morire, abbandonato alla sabbia? Per chi è stato appeso a testa in giù e bastonato finché non è svenuto? Per chi ha subito stupri? Per chi ha sopportato l’odore di feci, urina, vomito, chiuso nella stiva della barca? Per chi ha avuto le carni bruciate dal gasolio mischiato all’acqua di mare? Per chi ha visto annegare moglie, marito, figli? Per chi ha perso il fratello minore che viaggiava con la pagella cucita nei pantaloni? Ma davvero si può pensare di paragonare un’esperienza su un’isola che “gioca e ride” con un hotspot in cui nessuno dei reclusi sa quanto dovrà rimanere? Voi che decorate, e vi fermate il tempo di una “pittata”, di una foto, di un video, di un post, siete utili ai vostri committenti e a voi stessi, al curriculum che presenterete al prossimo bando, non di certo ai migranti.
Studiatevi un po’ di storia dei flussi migratori in Italia dal 1998 in poi. Ricordatevi di Cutro. Andate a rivedere quelle immagini, centellinatevi le dichiarazioni che ne seguirono. Infine, fatevi questa domanda: perché gli ucraini sono stati accolti attraverso corridoi umanitari e tutti gli altri no? Osservate bene la rappresentazione della bellezza in Olympia e troverete almeno una delle tante risposte.
Raffaella Ganci
Serena Giordano
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Gentile redazione Artribune,
recentemente un vostro articolo titolava “Maquillage dell’ingiustizia. A Porto Empedocle l’esempio di come non fare rigenerazione urbana”. Le tragedie che si sono consumate in mare, menzionate nell’articolo, sono le stesse che hanno portato Fondazione Farm Cultural Park e la nascente associazione Transition For a intervenire – con gli strumenti a propria disposizione – in questo ingiusto e complesso scenario. Condividiamo l’attacco al sistema di reclusione che ingiustamente si perpetua nel tempo, ma non possiamo essere d’accordo sul ruolo dell’arte. Sì, l’arte è strumento di denuncia – nessuno lo ha dimenticato – ma deve e può essere anche altro. Crediamo possano esistere terze vie, e quella che stiamo percorrendo vuole essere una delle possibili strade che rendano l’accoglienza più umana. Crediamo che l’arte possa avere la funzione importante di creare benessere.
Accanto a quella che le vostre autrici hanno definito una “decorazione di facciata”, c’è un lavoro partecipato di mappatura dei percorsi di accoglienza che raccoglie il punto di vista di chi lì deve permanere o lavorare. C’è stato un lavoro di ascolto in Prefettura, e stanno prendendo forma percorsi di ascolto con persone migranti e organizzazioni che si occupano della loro integrazione sul territorio di Agrigento.
In aggiunta, crediamo che promuovere una call tra gli artisti per intervenire sull’area sia anche un modo per puntare i riflettori su una zona d’ombra, far conoscere il problema a un pubblico più ampio; quindi l’arte per noi non è un modo per nascondere, ma al contrario crediamo nelle potenzialità dell’arte per portare luce e far sapere.
Ancora una volta, concordiamo con voi sull’insufficienza di una “riqualificazione estetica” per risolvere le grandi contraddizioni che negli anni i diversi gruppi politici hanno creato. Dentro questa cornice, però, non rimaniamo con le mani in mano e stiamo cercando un modo per rendere più umana la permanenza forzata in quei luoghi. Abbiamo intravisto uno spiraglio – dato dalla sensibilità del Prefetto di Agrigento – e la nostra volontà è stata quella di intervenire senza ricercare visibilità o nell’intento di sottomettersi al sistema. Dinanzi a ciò che è già esistente, o non si fa niente per paura di sporcarsi le mani, o si fa il massimo che si può con ciò che si ha. Riteniamo che la nostra prospettiva offra un’alternativa, pertanto preferiamo lavorare all’interno del sistema per migliorarlo. Convinti che anche nella vostra redazione agiate per lo stesso sentire, ci auguriamo di aver chiarito il quadro d’insieme della nostra azione.
Cordialmente,
il Consiglio direttivo e i soci di Transition For.
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