Esiste un’architettura contemporanea dell’Alto Adige? Intervista a Filippo Bricolo
La quarta edizione del progetto espositivo ed editoriale “Architetture recenti in Alto Adige” documenta le trasformazioni di un territorio che crede e investe nelle potenzialità della disciplina. Come ci spiega il curatore Filippo Bricolo
È un allestimento che accoglie le dimensioni dell’istinto, della spontaneità, della trasformabilità quello progettato dall’architetto e docente universitario Filippo Bricolo per la mostra Architetture recenti in Alto Adige 2018- 2024, quarto capitolo della ricognizione architettonica promossa ogni sei anni nell’area sudtirolese. Promosso da Kunst Meran Merano Arte, che lo ospita fino al 16 febbraio prossimo, con Fondazione Architettura Alto Adige e Südtiroler Künstlerbund, il progetto espositivo restituisce gli esiti della selezione condotta dallo stesso Bricolo (al suo esordio come curatore), da Elisa Valero Ramos (architetta e professoressa di architettura presso la Escuela Técnica Superior de Arquitectura, Università di Granada) e Annette Spiro (architetta e professoressa ordinaria di architettura e costruzione all’ETH di Zurigo).
Al Kunst Merano la mostra sull’architettura contemporanea dell’Alto Adige
Insieme i tre professionisti hanno formato la giuria di un’iniziativa concepita, fin dagli esordi, come un’indagine anziché come un premio di settore. Priva, di conseguenza, dell’accezione competitiva propriamente intesa, Architetture recenti in Alto Adige è un’operazione unica nel contesto nazionale, capace di sondare i processi di trasformazione che percorrono un territorio divenuto nel tempo sinonimo di progettazione (e costruzione) di qualità. Oltre 240 le proposte pervenute quest’anno: anche attraverso visite in loco, i giurati hanno selezionato le 28 prese in esame dalla mostra e dal libro associato, che a sua volta estende la prospettiva a ulteriori 28 casi chiave. Dalla “pioggia” di leggeri mobiles, collocati nel grande vuoto centrale del Kunst ed evocativi con le loro silhouette delle categorie in cui Bricolo, Ramos e Spiro hanno identificato i progetti selezionati, all’adozione di un unico modulo ligneo (variamente orientato nelle sale, oltre che riutilizzabile o riciclabile) come supporto per i pannelli esplicativi dei progetti, fino alla possibilità di disegnare in libertà sulle pareti immacolate della sala destinata anche alle iniziative di didattica, il percorso espositivo riesce nel (mai facile) proposito di raccontare l’architettura senza abitarla. Per spiegare il concept Bricolo attinge perfino al jazz, offrendo una convincente metafora musicale per i contrappunti che attendono il visitatore all’interno del Kunst. Rientra tra questi la possibilità di “prendere per mano l’architettura”, attraverso la lettura dei supporti lignei, in formato tascabile, su cui sono impresse le didascalie.
Intervista all’architetto Filippo Bricolo
Al posto di un riconoscimento, da 24 anni l’Alto Adige porta avanti “un’azione di monitoraggio” della scena architettonica locale. Da progettista con molti premi all’attivo, inclusa la recente menzione alla Festa dell’Architetto 2024, come giudica questa operazione?
Denota intelligenza e interesse per l’architettura. Sebbene non sia il nome corretto, potremmo quasi definirlo una sorta di “osservatorio permanente”, che non credo abbia eguali in Europa. È molto importante anche per le modalità scelte: il punto di partenza sono le autocandidature degli architetti. Con una formula ciclica che si ripete ogni sei anni (un tempo congruo per valutare un’evoluzione di questo tipo) una giuria esterna, formata da identità con background diversi, le osserva e seleziona, offrendo una lettura critica esterna al contesto.
La selezione condotta tuttavia finisce per identificare “il meglio” di quanto costruito in Alto Adige.
In realtà noi non indichiamo mai “il progetto migliore”. Piuttosto abbiamo cercato di raccontare le trasformazioni di un territorio con progetti che possono essere considerati “narrativi”, perché portano con sé un racconto delle ricerche in corso qui.
Recentemente, intervistando Sandy Attia di MoDus Architects (tra gli studi in mostra, NdR), all’immagine comune dell’Alto Adige come “isola felice dell’architettura italiana” lei ha contrapposto quella di un faro, un punto di riferimento. Anche grazie alle visite nei siti, che idea si è fatto?
Il saggio che ho scritto per il catalogo ha una domanda come titolo: Esiste un’architettura dell’Alto Adige? Se lo chiedessimo, in tanti ci risponderebbero di sì. Ma nel momento in cui proviamo a descriverlo, lo scenario architettonico locale si fa più complicato, anche perché i progetti, specialmente negli ultimi anni, stanno mutando pure nel modo di essere presentati. Quando questo progetto è partito, negli Anni 2000, i social e la comunicazione di settore erano altro o non c’erano. Non esistevano i grandi siti che potevano permettersi una comunicazione dell’Alto Adige così fluente e diretta come abbiamo oggi.
Come si è tradotta questa condizione nel lavoro curatoriale?
Per le tre edizioni le vallate sono state considerate come il parametro: in qualche modo contenevano delle unità di intenti, immagini, azioni e modalità operative considerate riconoscibili. Noi, per la prima volta, abbiamo rinunciato alla categoria delle vallate. Abbiamo ragionato sull’Alto Adige in maniera più coraggiosa, per quello che attualmente è: un presidio strategico di una modernità umana, dotato della capacità di umanizzare l’architettura. È vero che esiste un atteggiamento razionale, una propensione alla precisione che tutti ravvisano nell’Alto Adige. Nello stesso tempo è indubbiamente presente una sorta di ipertesto poetico e onirico molto forte, che accomuna sia gli architetti originari dell’Alto Adige, sia realtà come MoDus Architects o Carlana Mezzalira Pentimalli che qui hanno realizzato opere straordinarie.
Cosa contraddistingue questa componente poetica?
Si tratta di spazi, forme, luci, materiali che riescono a umanizzare l’architettura, a ridurre il divario tra memoria e modernità. Di conseguenza ci si riallaccia a una permanenza, a una condizione di appartenenza, ma sempre in chiave contemporanea. Di fronte alle architetture un po’ “isteriche” che vediamo in alcune nostre città, in Alto Adige permane una forma di lentezza: ci sono architetture nate per rallentare e collocare in modo puntuale l’uomo al centro, secondo una centralità che non è più quella rinascimentale, restando sempre sensibili al contesto. Non a caso molti di questi edifici sono macchine per vedere oppure si mescolano con il paesaggio.
L’architettura contemporanea dell’Alto Adige in una mostra e in un libro
“Scavo generativo”, “Evocazioni urbane”, “Architettura naturans” sono tra le 8 categorie che, come giuria, avete messo a punto per offrire, in mostra e nel libro, un’interpretazione dei progetti selezionati. Come siete arrivati a coniarle?
Non sono categorie definitive o assolute. Come detto, abbiamo rinunciato alla struttura per vallate e all’impostazione per funzioni, prediligendo la ricerca di elementi ricorrenti. In “Architettura naturans”, per esempio, sono raccolte opere che cercano un dialogo lirico con il paesaggio, attraverso le loro forme e introducono un “richiamo” alla natura. Con Elisa Valero Ramos e Annette Spiro non abbiamo definito dei criteri iniziali, per essere liberi di esprimerci secondo le nostre sensibilità. È stato molto bello lavorare con loro: sono stati giorni di riflessioni intensi, molto interessanti.
“Architetture recenti in Alto Adige” è una mostra, ma anche un libro. Come lo avete immaginato?
Così come nell’allestimento, anche per il libro ho lavorato con Granit Studio, cui si deve tutta l’identità grafica. La volontà era non realizzare un classico catalogo di architettura, che prevede una schedatura e spesso risulta ripetitivo. Piuttosto il nostro è un libro per sé stessi che infatti, fin dalla copertina, si può personalizzare. Alcune pagine hanno un colore che unifica tutti i testi critici. I tradizionali messaggi istituzionali non sono all’inizio: si comincia subito con i contenuti, per intraprendere immediatamente il viaggio nell’Alto Adige contemporaneo. Tra un’architettura e l’altra.
Valentina Silvestrini
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